Intervista a Michele Sozzi, autore di La complicanza

Il nostro appuntamento mensile con la rubrica L’autore del mese, dedicata agli autori segnalati dal gruppo Facebook La Casa del Menestrello, oggi è dedicato allo scrittore Michele Sozzi, cui porrò alcune domande. Il gruppo Facebook accoglie scrittori e lettori per la divulgazione di opere e la condivisione di opinioni e recensioni, oltre ad organizzare eventi, premi e video-presentazioni ed video-incontri, grazie all’attivismo dell’instancabile Domenico Faniello. Chi volesse leggere le precedenti interviste le trova QUI.

Michele Sozzi, lei è un gastroenterologo. Due romanzi legati alla sua professione: La zattera, uscito nel 2015, e quello di cui parleremo oggi, La complicanza, pubblicato nel 2019 da Bertoni Editore, selezionato al Premio Letterario Nazionale per inediti “Subiaco, città del libro”. Giallo e psicologia sono gli ingredienti principali del libro. Vengo alla domanda: come concilia il distacco dalle emozioni che caratterizza l’esercizio di una professione così delicata con l’immersione emotiva propria, invece, di un romanzo di questo genere, che tende a scavare nell’animo e nel dolore?

Credo che non si tratti di due realtà inconciliabili. Al contrario, sono convinto che l’atteggiamento distaccato, lucido e razionale di chi svolge una professione sanitaria, atteggiamento necessario per poter intervenire efficacemente sulla malattia, è (o dovrebbe essere) il risultato di una profonda comprensione della sofferenza. Si deve conoscere il dolore se lo si vuole combattere. Chi non lo fa rischia di esserne sopraffatto. Il protagonista del libro, medico esperto, abituato a un approccio razionale alla sofferenza, usa il medesimo approccio anche con sé stesso quando precipita nel baratro della depressione. Si arrovella in auto-analisi e in ricostruzioni del passato, ma l’emotività, messa a dura prova dagli eventi, gli impedisce di comprendere la realtà che lo circonda e lo fa sballottare di qua e di là come una falena. Eppure, sarà proprio la sfera emotiva, sollecitata positivamente dal rapporto con gli altri, a dargli la forza per riscattarsi dopo le tormentate e inconcludenti immersioni della ragione negli abissi del dolore. Insomma, emotività e razionalità si intrecciano in un viluppo unico e danno al protagonista spessore umano e dignità.

Le posso chiedere qual è stato lo spunto da cui è partita la scrittura di questo suo secondo lavoro? Esperienze vissute o fatti realmente accaduti?

L’idea del libro è nata quando ho saputo che un collega chirurgo, professore universitario, che conoscevo a malapena e del quale avevo sempre sentito parlare bene, era stato escluso dall’attività chirurgica e relegato in un ambulatorio generico dopo una complicanza in sala operatoria per la quale era stato condannato. Sapevo solo questo, niente di più. Poi, basandomi sulla mia conoscenza dell’ambiente ospedaliero e sulle mie esperienze lavorative, ho inventato questa storia. L’idea che mi aveva sedotto era quella del confine labile tra il bene e il male. Persone eccellenti possono macchiarsi di gravi colpe, vere o presunte, e avere la loro reputazione irrimediabilmente infangata come, viceversa, persone meschine e mediocri possono, per meriti anch’essi veri o presunti, ottenere dagli altri rispetto e ammirazione. È questo gioco delle parti, questo inestricabile groviglio di meriti e colpe, questa ambivalenza dell’animo umano che mi ha affascinato.

Trieste, la magnifica città in cui vive, è il teatro di La complicanza. Mi può dire quanto il carattere di una città così complessa, in ragione di una storia legata al confine orientale, incide sulle vicende vissute dal dottor Drioli, il protagonista?

Sicuramente Trieste è una città complessa e contraddittoria, ma a misura d’uomo e con un’eccellente qualità di vita. Sei sul mare, ma nel giro di una o due ore puoi raggiungere le montagne. Hai l’altipiano carsico a portata di mano e poco più in là ci sono l’Istria e il Collio friulano. Alla varietà di questi paesaggi, concentrati su una superficie così ristretta, corrisponde una varietà umana, etnica e culturale in cui si sentono contemporaneamente la profondità, la gravità e la problematicità della tradizione culturale centro-europea (non uso il termine mitteleuropea perché mi pare un po’ abusato) e la leggerezza ariosa e persuasiva del mondo mediterraneo. Qui sembra di vivere in un caleidoscopio di prospettive differenti. Il dottor Drioli, di origini per metà istriane e per metà austriache, riflette nel suo carattere questa diversità: ha un’impostazione etica di stampo nordico, puritano, frutto di un’educazione severa, ispirata a principi di lealtà cavalleresca e di onestà intellettuale, ma allo stesso tempo ha l’attitudine a fantasticare, a lasciarsi sedurre dalle bellezze della natura e della creatività umana, spaziando dalla scienza alla musica, alla storia, all’architettura come un pensatore greco o un uomo del rinascimento italiano. Ama passeggiare col naso all’insù per le vie di Trieste, guardando l’architettura eclettica dei suoi edifici e fantasticando sulle genti che fin dai tempi dell’istituzione del porto franco sono affluite in questa città da ogni parte dell’Impero Asburgico. Ama anche camminare lungo le Rive e andare incontro al mare sui moli che vi si si protendono, fino a raggiungere la Lanterna, l’antico faro, decaduto e poi restaurato, che lo fa riflettere sulla mutevolezza delle sorti umane e sull’importanza della memoria.     

Oltre ai racconti che ha scritto e che sono stati oggetto di numerose premiazioni in concorsi letterari, ha nel cassetto un altro romanzo?

Sì, sto già lavorando a un altro romanzo di genere differente. Si tratta di una storia in cui si mescolano biografia e autobiografia e nella quale si sovrappongono i tempi di narrazione in un tempo unico, soggettivo, che è quello della mente del narratore. La protagonista è una donna che è nata all’inizio della Seconda Guerra Mondiale e che ha vissuto gli anni del boom economico con speranze di pace, benessere e prosperità, speranze che sono andate in gran parte deluse. È un tema che sta tornando di grande attualità ora che il rischio di una nuova guerra in Europa ci fa riflettere sulla fragilità degli ideali che credevamo essersi definitivamente affermati nella nostra società. Non voglio rivelare altro di questo mio progetto, anche perché non so ancora bene quale sarà la sua realizzazione definitiva.

Print Friendly, PDF & Email

About Eleonora Davide

IL DIRETTORE RESPONSABILE Giornalista pubblicista, è geologa (è stata assistente universitaria presso la cattedra di Urbanistica alla Federico II di Napoli), abilitata all’insegnamento delle scienze (insegna in istituti statali) e ha molteplici interessi sia in campo culturale (organizza, promuove e presenta eventi e manifestazioni e scrive libri di storia locale), che artistico (è corista in un coro polifonico, suona la chitarra e si è laureata in Discipline storiche della musica presso il Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino). Crede nelle diverse possibilità che offrono i mezzi di comunicazione di massa e che un buon lavoro dia sempre buoni risultati, soprattutto quando si lavora in gruppo. “Trovo entusiasmante il fatto di poter lavorare con persone motivate e capaci, che ora hanno la possibilità di dare colore e sapore alle notizie e di mettere il loro cuore in un’impresa corale come la gestione di un giornale online. Se questa finestra sarà ben utilizzata, il mondo ci apparirà più vicino e scopriremo che, oltre che dalle scelte che faremo ogni giorno, il risultato dipenderà proprio dall’interazione con quel mondo”.