Crescita traballante con inflazione e debito pubblico

I cittadini italiani sono in difficoltà. Si stima che 2,2 milioni di italiani non pagano il gas e a volte strappano le bollette. Certo che nell’aumento spietato del gas rientra la sciagurata dinamica nella formazione del prezzo, che viene deciso nella borsa di Amsterdam. Il valore finale non riguarda l’effettivo prezzo, rapportato al costo della produzione, ma elaborato forzosamente dagli speculatori digitali della borsa. Assistiamo ad una vera rapina sociale, che pone in difficoltà l’economia. In base a questi giochi, l’ENI ha realizzato un guadagno del 64% nell’anno scorso.

Per meglio chiarire il concetto, il modo per formare il prezzo avviene in Borsa tramite carte, oggi tradotte in documenti digitali, ignorando la vera economia, basata su beni e servizi. Quando la componente cartacea (titoli e derivati) supera la base essenziale, costituita dall’economia reale, siamo di fronte ad una situazione disarmonica, matrice di forti crisi. Abbiamo il caso tipico di feticismo del mercato finanziario, che attrae tanti cittadini ma resta un gioco di carte digitali a danno dell’economia.

Torniamo all’inflazione, che ha comportato il 18% di aumento del latte, il 17% delle uova e il 16% del pane. Si tratta di prodotti alimentari di base per la sopravvivenza delle famiglie. In questo periodo è subentrata un’inflazione nuova, quella deli profitti delle aziende che hanno visto crescere i profitti del 42%[1]. Quindi non un’inflazione da domanda, che poteva curarsi con l’aumento del tasso ufficiale di sconto, proprio come sta facendo la BCE. La cura dell’elevazione del tasso di interesse si sta rivelando una cura inesatta e inefficace, poiché le ragioni sono diverse e molto inquietanti.

Fra l’altro l’inflazione non è dovuta alla guerra Russia contro Ucraina, poiché il flusso del grano dal paese nordico arrivava al 13%, cifra non ragguardevole ai fini di una così alta inflazione.

Il distillato della finanza nostrana comporta una ricorrente salita del debito pubblico, che appare mostruoso per la libertà dei posteri. Troppi sprechi ripetuti regali inventati, quali numerose elezioni, i ripetuti condoni sotto diverse vesti, l’inspiegabile bonus di Renzi dei 60 euro, il bonus del 110% per le costruzioni, e via di seguito.

Per notizia, il 60% degli italiani che dichiarano redditi inferiori alla linea dei 35 mila euro pagano solo l’8% dell’irpef; questi hanno tutta l’assistenza e contano su continue agevolazioni. Il 13% della popolazione che dichiara redditi dai 35 mila euro lordi in su, paga il 61% dell’irpef; per questi nessuna agevolazione viene prevista.

Il debito pubblico nel 2008 raggiungeva i 1.632 miliardi. A fine 2019 (prima della pandemia) saltava a 2,409,9 miliardi, periodo in cui partiti e sindacati si lamentavano dei vincoli del patto di stabilità. Nonostante la pressione della matrigna Europa, in otto anni i nostri politici di tutti i partiti sono riusciti ad accumulare ben 777 miliardi di nuovo debito, con un incremento del 47%[2].

Quanto sopra riesce strano se si pensa che l’8 settembre del 2011, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Giulio Tremonti, vara un disegno di legge costituzionale, che prevede il pareggio del bilancio statale. Così la legge costituzionale n. 1 del 2012 all’art. 8 recita “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Da allora tutti i governi che si sono succeduti hanno inventato una ragione per spostare la data del pareggio di bilancio.

Con i giochi del rinvio, a fine 2021 il debito raggiunge i 2.678,4 miliardi di euro, per sprofondare a 2,762 miliardi a fine 2022 col governo Draghi; senza freni il debito raggiunge quota 2.843 miliardi nel giugno del 2023, secondo l’ultima rilevazione della Banca d’Italia.

A creare ulteriori problemi, la BCE ha chiuso il programma di acquisto di attività e che i tassi di interesse sui titoli di Stato sono passati dallo 0,63% dei BPT a dieci anni del gennaio 2021 a circa il 4%. Il costo per pagare gli interessi aumenta in modo clamoroso: dal 2009 al 2022 sono stati pagati 975 miliardi e nel 2023 spenderemo 21 miliardi in più. Pare palese chiedersi se giusto che i mille miliardi di interessi li debbano pagare i nostri nipoti!

Va pure ricordato che probabilmente nel 2024 sarà reintrodotto il patto di stabilità e la situazione peggiorerà. Il rischio di finire come la Grecia diventa sempre più vicino.

Dobbiamo essere razionali. Una famiglia non può spendere più di quanto guadagna, anche perché non troverebbe creditori disposti a fornire alimenti o altro per lungo tempo senza il corrispettivo della moneta. Un’azienda se spende più del guadagno fallisce rapidamente e sparisce dal quadro imprenditoriale. Lo Stato per una serie di aggiustamenti riesce a sopravvivere con un bilancio negativo, ma non è certo un segnale di buona amministrazione.

Riscontriamo elementi gravemente esplosivi sul piano sociale e il popolo italiano sembra indifferente: la povertà esplode, diseguaglianze crescono, l’inflazione corrode gli emolumenti, la sanità peggiora in modo consistente, l’evasione fiscale riduce le entrate dello Stato. L’aspetto meno qualificante è l’atteggiamento dei sindacati, davvero pigri e svogliati.

Tutti ciò accade in un momento in cui avremmo potuto contare sul piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), che è stato trattato con sufficienza per utilizzare un eufemismo. Si doveva puntare sulla sanità e sulla giustizia, il che voleva dire aumentare l’occupazione, ricorrendo all’assunzione di sanitari e rappresentanti della giustizia e della polizia. Invece il patrimonio di risorse, messo a disposizione dall’Unione europea, è stato dissolto in migliaia di rivoli, senza scosse risolutive. E pensare che un regalo così ricco è stato un evento storico irripetibile. Come si fa a non capire il momento gestionale per risanare l’economia sociale di un Paese. In questa critica ricade pure il fuoriclasse della finanza, Mario Draghi, che purtroppo all’opera governativa, è risultato mediocre.

Si diceva il popolo tace, con una rassegnazione eccessiva. Un dato per tutti. Nel 1979 votava il 90% degli aventi diritto al voto, nel 2002 la partecipazione è stata del 63% e tende a diminuire. Le temperature politiche e sindacali sono di intensità decisamente sotto tono.

L’inflazione è salita persino al 10% (ora lievemente calata) e gli italiani restano muti. L’inflazione viene pagata dai dipendenti e dai pensionati. I lavoratori autonomi godono della flat tax e in buona parte dai condoni, che sono la gioia di Salvini, nell’infausto tentativo di favorire il nord dell’Italia, rammentando gli spropositi di Bossi, che addirittura sognava e sogna ancora la secessione del popolo padano dal suolo italico. Si ripete, i lavoratori autonomi aumentano le tariffe in proporzione al costo della vita, ma il pensionato (e il lavoratore dipendente) resta fisso allo stipendio e subisce la tassa iniqua dell’inflazione, vedendosi ridurre il potere di acquisto. Soprattutto a livelli medio-alti gli emolumenti vengono esclusi dall’aggiornamento del costo della vita.

Come prova del nove, possiamo pensare agli altri Stati europei. I francesi vivono un clima quasi rivoluzionario, fuori dalla storia, ma espressivo di certe aspettative; la Spagna è immersa in una paralisi politica dall’esito incerto e nonostante cresce più di noi; persino la Grecia va meglio, con uno spread largamente inferiore al nostro.

Nell’intrigato marasma pubblico, la burocrazia diventa una calamita artificiale che paralizza il mondo produttivo e sociale. La Confederazione nazionale dell’artigianato (CNA) ha redatto un rapporto in cui ha dimostrato che occorrono 73 adempimenti per iniziare un’attività di gelataio, dietro ai quali vi sono altrettanti procedimenti e che questi costano 13 mila euro[3]. Alcuni adempimenti sono necessari, poiché riguardano la sicurezza alimentare, la salute e l’uso del suolo. Diventa importante accelerare le funzioni obsolete e disordinate, per ricorrere alla velocità che ci indica la storia e la civiltà.


[1] Notizia emersa nella trasmissione “Presa diretta” del 25 settembre 2023.

[2] Articolo di Alberto Brambilla a pag. 8 del Corriere della sera del 18 settembre 2023

[3] Riportato a pag. 5 della Rubrica “Economia e politica” del Corriere della sera  5 del 25 settembre 2023.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.