I GIOVANI DIVENTINO TESTIMONI DELLA MEMORIA

Al Kitikaka Garden Food in P.zza don G. Morosini (rione Valle AV) un incontro in occasione della Giornata della memoria organizzato dall’Associazione Il Bucaneve

In un luogo insolito come il Kitikaka che ha ospitato il pomeriggio con piacevole cordialità e accoglienza, si è svolto sabato 27 gennaio 2017, l’incontro Raccontami…per non dimenticare.

Un incontro denso di contenuti che ha visto la partecipazione di alcuni iscritti all’Associazione il Bucaneve, di Maria Ronca sua Presidente e ha avuto tra gli ospiti Gaetana Aufiero che, da sempre, si interessa del triste avvenimento della Shoah.

Tra i partecipanti, membro anche della suddetta associazione, l’artista Dorotea Virtuoso con il suo quadro Auschwitz.

Passato e presente, memoria e testimonianze, poesie e racconti si sono alternati in un pomeriggio che ha unito diverse persone nella celebrazione della Giornata della memoria.

Il percorso di un viaggio attraverso esperienze, studi e ricerche.

Maria Ronca, nella sua introduzione, sottolinea, a partire dalle parole scritte da Primo Levi “É accaduto, quindi, potrebbe accadere di  nuovo…”, quanto sia necessaria la comunicazione in quanto la diversità, non solo di razza, non è ancora ben accettata perché si teme che essa possa ledere al nostro modo di vivere.

Gaetana Aufiero parte dalla sua esperienza personale, da quando lei cercò di capire, chiedendo spiegazioni a suo padre e ai suoi familiari, perché nella casa in cui vivevano insieme ad altri sfollati, il pavimento fosse scuro. Ogni volta la risposta era che lei era troppo piccola per sapere, per capire. Ma negli anni la curiosità è aumentata fino a quando non ha scoperto ogni cosa. Essere insegnante ha fatto sì che lei potesse affrontare l’argomento con i suoi studenti, tramite le interviste ai parenti e a ricostruire ogni cosa fosse avvenuto.

Racconta, Gaetana Aufiero, dell’incontro con Elisa Springer, un’amicizia profonda, di un rapporto che le ha cambiato la vita. Elisa era stata con Anna Frank e ricordava di “una bambina che cercava pezzi di carta su cui poter scrivere”, aveva subìto l’umiliazione di non dover mai rivelare che fosse ebrea, di essere stata usata come cavia negli esperimenti di Josef Mengele.

Rivela Gaetana che non gliene ha mai parlato apertamente perché era troppa la sofferenza che portava dentro  di sé e che qualche volta le diceva di provare a leggere in ciò che non diceva.

Gaetana Aufiero si dichiara una testimone indiretta della Shoah e si pone il problema di “passare il testimone” poiché ben presto per motivi anagrafici i sopravvissuti non ci saranno più e toccherà a qualcun altro ricordare a tutti ciò che accadde.

Leggendo i documenti si ritroveranno molte espressioni che oggigiorno stanno ritornando ed è per questo che i giovani devono continuare a cercare e a ricordare perché, come sottolinea Maria Ronca, passa il testimone, passa anche il messaggio.

In sala è presente Cristina Colace, una studentessa che avrebbe dovuto partecipare con la sua scuola ad un viaggio ad Aushwitz. La particolarità di questo viaggio, che ogni anno è organizzato tra diverse scuole della città, è che ai ragazzi viene dato il nominativo di un deportato e loro non devono fare alcuna ricerca su quella persona perché scopriranno ciò che le è accaduto durante il percorso all’interno del campo. Un’esperienza forte per dei giovani studenti, quella di riconoscersi in un deportato.

Ebbene, racconta Cristina, il viaggio non si è più fatto e lei, pur avendo mantenuto la promessa di non documentarsi sul “numero” che le avevano dato, quando ha saputo che il viaggio non si sarebbe più fatto ha deciso di dare un volto a quel numero ed ha scoperto così che né lei né tutta la sua famiglia erano sopravvissuti alla prigionia. Cristina legge alla platea un suo racconto, un dialogo con la persona, le pone domande come se le stesse parlando. “Eri stata portata al campo perché dovevi lavorare?” Cristina non pensa sia stata una scelta, no, è stata costretta ad abbandonare ogni cosa e ogni affetto perché nessuno sceglie di soffrire, di assistere ai soprusi su una figlia e all’uccisione di una nipotina. Aveva 56 anni quando è stata uccisa.

Il suo respiro è stato soffocato.

Cristina però non la dimenticherà, vuole che lei sappia che le loro vite hanno lo stesso valore, che le spetta diritto alla parola e alla memoria.

Concordo con Maria Ronca nel pensare che non poteva esserci migliore testimone a cui passare il compito di trasmettere e ricordare. Le parole di Cristina, commoventi e accorte, piene di dignità e rispetto fanno davvero ben sperare.

Tocca poi a Dorotea Virtuoso la quale nonostante la sua simpatia fa un po’ fatica a parlare data la commozione che aleggia nella sala.

Il quadro di Virtuoso rappresenta una bellissima ragazza, con splendidi occhi azzurri, che sembra innamorata della vita ma guarda nel vuoto come se conoscesse il suo destino. Il suo corpo è pieno di filo spinato e dietro di lei il cielo azzurro sembra intristito da un velo grigio. Il quadro, del 2014, è donato da Dorotea a Gaetana Aufiero perché con i suoi studi e le sue storie ha davvero reso omaggio alle vittime.

Una testimone è anche la poetessa Paola De Lorenzo che racconta che suo padre era una camicia nera e quando i fascisti furono fatti prigionieri, egli fu deportato nel campo di concentramento a Coltano, dove insieme a 12.000 altri prigionieri rimasero soli senza neanche cibo. Un campo di concentramento di cui pochi parlano perché rappresenta una vergogna per l’Italia.

Per l’incontro Paola ha composto due poesie che legge. La prima Gennaio 1946 è personale mentre la seconda, Tracce, è dedicata al popolo ebreo. “Vivono in ognuno di noi, acquattati in mezzo al cuore…”

Le riflessioni diventano interessanti e pertinenti a partire da chi parla di negazionismo (che si affaccia sempre più spesso anche in Italia), del rastrellamento che avvenne a Roma e racconta del binario 21 della stazione di Milano, dal quale partivano i deportati e che è rimasto intatto proprio a simboleggiare ciò che è accaduto. Ricorda Franco, ad esempio, che in Italia vi erano molti campi di raccolta. La cosa che più lo ha impressionato ad Auschwitz è stata la sala dei forni di cremazione al cui lato vi sono dei piani inclinati che servivano a far colare il sangue di chi, prima di entrare nel forno, veniva sparato e il suo corpo doveva avere quanti meno liquidi possibili per essere sciolto o, ancora le cataste in cui veniva raccolto tutto ciò che rimaneva a partire dai capelli, gli occhiali, tutto ciò che utilizzavano per il riciclo. Così come il lavoro serviva per costruire per le industrie tedesche, i materiali venivano utilizzati per riprodurre ogni cosa.

Carmen De Vito racconta di aver conservato un diario di suo zio che fu prigioniero nel campo di Dachau, in cui egli racconta la prigionia. Lui era addetto a portare i corpi ammassati nei forni e raccontava che alcuni di essi si muovevano, quindi venivano bruciati ancora vivi. Il diario è molto crudo.

Quindi, conclude De Vito,  conservare le testimonianze come i libri, i diari, tutto ciò che anche è conservato nelle scuole è molto importante perché la memoria non si perda.

La sua poesia è Vogliono risalire. Vogliono risalire aggrappandosi ai brandelli dei cuori dei vivi… vogliono risalire per liberare la bocca dalla terra, per poter gridare che ciò che è stato non si ripeta…

Il giovane Roberto Lombardi, musicista, poeta e aspirante scrittore racconta che il suo componimento è stato scritto non pensando al passato, ma pensando alla vita dopo la morte di tutte le vittime della Shoah “Loro sono in ogni cenere, in ogni campo…”

Infine Gilda Parmigiano di Solofra con suo marito Francesco Lastaria illustrano alcune ricerche effettuate. La prima è stata sui campi di sterminio o di raccolta irpini. Gilda nella sua ricerca ne ha trovati tre: a Solofra, Monteforte e Ariano.

Quello di Solofra era una casa signorile  in cui vennero internate delle donne che avevano sposato degli antifascisti, a Monteforte c’erano, invece, un centinaio di detenuti antifascisti mentre in quello di Ariano (che somigliava di più a quelli tedeschi) vi erano trecento persone che vivevano segregate in delle casette.

Il campo peggiore si trovava a Campagna, in provincia di Salerno, nel quale era rinchiusa una comunità proveniente dall’Est Europa che furono salvati dall’irpino Giovanni Palatucci.

Francesco Lastaria riporta una nota storica su un campo di concentramento di Buchenwald nei pressi di Weimar. Quando questo campo fu liberato il 16 aprile 1945 dagli Americani, un’ordinanza del comandate statunitense costrinse mille cittadini di Weimar a visitare il campo per la visione di reperti riguardanti un orrore ancora visibile dopo la liberazione. Fu organizzata una specie di mostra degli orrori dei crimini perpetuati dai nazisti, lo scopo era quello di dimostrare ai cittadini ciò che fecero i loro connazionali nazisti e di far capire di quali crimini anche essi si erano resi implicitamente complici poiché molti avevano asserito di non sapere che cosa fosse successo a pochi chilometri dal luogo in cui vivevano. Su dei tavoli all’aperto erano posti in mostra diversi pezzi che dimostravano la crudeltà degli artigiani nazisti come  paralumi fatti di pelle con tatuaggi degli uccisi, teste umane miniaturizzate di alcuni prigionieri.

Passa poi alla lettura della poesia di Joice Lussu, Scarpette rosse, che cita, appunto, il campo di Buchenwald “erano di un bambino di tre anni e mezzo…il suo pianto lo possiamo immaginare, anche i suoi piedini li possiamo immaginare, scarpa numero 24 per l’eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono…”

È difficile per me aggiungere considerazioni a tutto ciò che si è detto perché sia parla di crudeltà inaccettabili e inspiegabili sia dal cuore che dalla mente. Note negative e note positive si sono toccate durante l’incontro, le testimonianze e le letture crude, che sanno di un dolore ancora bruciante e le speranze dei giovani intervenuti che assolutamente lasciano una grande speranza che l’Olocausto non sarà mai dimenticato.

Maria Paola Battista

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About Maria Paola Battista

Amo ascoltare, leggere, scrivere e raccontare. WWWITALIA mi dà tutto questo. Iniziata come un’avventura tra le mie passioni, oggi è un mezzo per sentirmi realizzata. Conoscere e trasmettere la conoscenza di attori, artisti, scrittori e benefattori, questo è il giornalismo per me. Riguardo ai miei studi, sono sociologa e appassionata della lingua inglese, non smetto mai di studiare perché credo che la cultura sia un valore. Mi piace confrontarmi con tutto ciò che è nuovo anche se mi costa fatica in più. Attualmente mi sto dedicando alla recensione di libri e all'editing. Ho scritto, inoltre, diverse prefazioni a romanzi. Grazie ai lettori di WWWITALIA per l’attenzione che riservano ai miei scritti e mi auguro di non deluderli mai. mariapaolabattista@wwwitalia.eu

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