La tempesta

Il mio racconto che oggi propongo in questa rubrica si è classificato secondo al Premio letterario Lo spirito del Natale, edizione 2021, promosso da La casa del Menestrello di Matera.

-Sono cadute tutte le foglie e il mio albero ora è tutto spelacchiato. Mi sentirà quel ladro del vivaista. Dovrà restituirmi i miei soldi. Il mio giardino, che è già piccolo, ora sembrerà anche trascurato. Mannaggia a me e a quel pagliaccio di Peter, il perfettino. Lo odio!

– Nick, dovresti finirla con questa rivalità. Non credi che sia da bambini desiderare sempre ciò che hanno gli altri? Sei un uomo adulto, rassegnati. Peter ha un giardino bellissimo, è inutile stare a pensarci.

-Stasera non ho voglia di parlarne, Lyna. Anzi, domani lo taglierò quel maledetto albero e così la farò finita anche con Peter.

Lyna si affacciò dalla finestra appena in tempo per vedere avvicinarsi un nuvolone scuro che procedeva velocemente in direzione della loro casa. Pesanti gocce di pioggia già cadevano in giardino. C’era aria di tempesta. Pensò di ritirare lo stendibiancheria e di chiudere tutte le finestre che aveva aperto per arieggiare la casa.

In qualche minuto si scatenò il finimondo. Sembrava che tra terra e cielo non ci fosse più separazione. Il frastuono del nubifragio rendeva difficile anche pensare. Si avvicinò al camino e gettò nel fuoco un altro ceppo. Poi preparò una tisana di zenzero e arancia, aspettò che nell’acqua bollente iniziasse a diffondersi il colore dell’infuso e che l’odore dello zenzero arrivasse alle sue narici, si avvolse nel suo plaid preferito, quello a quadroni rossi e blu, sottraendolo alle zampe di Pulcinella, che si erano già allungate per appropriarsene, e si sistemò sullo sgabello, a fianco al fuoco e al suo gatto. Mentre la tisana continuava ad arricchirsi anche delle fragranze dell’arancio, fissando le fiamme allegre di quel fuoco vivace, quasi festoso, si perse nei ricordi.

Erano anni che abitavano in quella casa, che lei aveva voluto con tutto il cuore, per la quale aveva impegnato tutte le proprie energie, alla quale aveva affidato i suoi sogni e tante aspettative. Ci avrebbero vissuto tutti insieme, lei Nick, Sofia e Cathrine, e sarebbero stati felici. Ma Nick non era mai felice. Gli rodeva sempre qualcosa nel cuore. Ora era quel Peter a farlo innervosire con la sua dedizione all’orto e al giardino, pratiche per le quali Nick non era per niente tagliato. Lyna, anzi, pensava che fosse proprio negato in qualsiasi cosa includesse bellezza o gentilezza. Ma come aveva fatto a sposarlo, si chiese a quel punto.

Sofia e Cathrine erano andate a studiare lontano, una in Canada e l’altra ad Huston. Erano lontane anni luce da lei, dalla casa, da tutto.

Il temporale si stava allontanando. Gettò un altro ceppo nel camino e andò in bagno. La tisana stava facendo già effetto, ma almeno l’aveva scaldata un po’ ed era più tranquilla. Un po’ di crema idratante sulle mani avrebbe anche protetto la pelle dall’effetto essiccante del camino. La testa ora era vuota e il fuoco le trasmise una piacevole sensazione di sonnolenza. Si adagiò sul divano.

Era nelle sue braccia, mentre le sue mani forti e delicate esitavano nello spingersi in carezze più intime. Lo fermò e gli stampò un lungo bacio sulle labbra. Sorrise imbarazzata e si scostò leggermente da quell’uomo che non vedeva da tempo. Provava un profondo piacere nel riabbracciarlo, poi la colse un’intensa paura e si guardò intorno terrorizzata. Dov’era e, soprattutto, dov’era Nick. Voleva fuggire da quel luogo, sentiva di essere in pericolo, ma non riusciva a sottrarsi al bisogno di piacere e di tenerezza che quell’abbraccio pareva soddisfare e, soprattutto, non riusciva a svegliarsi. Iniziò a urlare, sperando di uscire da quella scomoda situazione.

Era sudata. Aveva davvero urlato? Il gatto continuava a dormire di un sonno profondo, accanto al fuoco che lentamente si andava affievolendo. Si scosse, era ancora frastornata da quello che voleva considerare un incubo. Non aveva mai stretto così un altro uomo da quando aveva conosciuto il suo Nick. Ma cos’era cambiato tra loro? I loro sogni dov’erano finiti? E le loro risate? Da quando non la toccava più, se non per mollarle un ceffone, preso dall’ira del momento? Nessuna spiegazione, nessuna scusa. Il mutismo dell’uomo aveva accompagnato la decisione di lei di negargli il suo corpo. Era successo sette anni prima, dopo l’aborto a cui l’aveva convinta vincendo le sue reticenze. Da quel momento non era riuscita più a conciliare la violenza della collera del marito con la loro intimità, che riteneva definitivamente perduta. E così si era ritrovata, in breve tempo, a covare nei suoi confronti una sorta di acredine, mentre aveva visto spuntare sul proprio viso una ruga nuova che, evidenziata dall’espressione che andava prendendo sempre più spesso, la rendeva anche brutta. Non si piaceva più, questa era la verità. E aveva smesso anche di acquistare quei bei vestiti che mettevano in risalto la sua spiccata femminilità, le sue forme provocanti, le sue gambe slanciate. Non era più lei e si rammaricava di non riuscire neanche più ad amare.

-Che cavolo ci fai sempre buttata su un divano, mentre io mi do da fare per rendere più bella la nostra casa?

-Ma che dici, Nick? Non vedi che tempo c’è fuori. Cosa mai vorresti fare? Ti vuoi dare una calmata? Siediti anche tu vicino al fuoco, vedrai che ti farà bene.

Aveva cercato di essere gentile, colta da qualcosa che sembrava un senso di colpa. Ma in colpa per cosa poi, pensò. Non ci sarebbe ricascata.

-E va bene, mi siederò qui se tu sarai così gentile da spiegarmi cosa stavi sognando. Sorridevi e non riesco a capire cosa ti abbia resa così felice. Le si fece vicino.

-Beh, allora dovresti chiederti più spesso cosa può rendermi felice, visto che per te sembra che io non conti più niente.

Ora era sarcastica e lui si irrigidì, ritraendosi. Forse aveva esagerato? Lo avrebbe saputo subito.

Lui la guardò offeso, poi adirato, poi parve ripensare a quello che la moglie gli aveva sbattuto in faccia. Si era alzato ed era scomparso dalla sua vista. Un’altra occasione per parlarne andata all’aria, pensò Lyna.

Si alzò anche lei, fuori il tempo era ancora minaccioso, ma la bufera sembrava essersi dissolta. Il giardino era sconquassato e l’albero di Nick si era spezzato, la grandine aveva riempito i fossi scavati dalla pioggia violenta e ora stagnava lì, in attesa di sciogliersi. Quando il tempo fosse migliorato, ci avrebbe pensato lei a sistemare tutto. Faceva sempre così. Amava molto quel luogo e soffriva nel vederlo sottosopra.

Iniziò ad aprire gli scatoloni che la sera prima aveva portato su dal garage per addobbare la casa per il Natale ormai alle porte, quando il gatto balzò giù dal divano, attirato dal rumore dello scotch strappato dagli imballi. Per lui era sempre una pacchia gettarsi tra i festoni e occupare le scatole vuote. Lo lasciò fare, avvertiva un gran bisogno di complicità.

Era una mattina luminosa e Lyna aveva deciso di darsi da fare fuori, sapeva che un po’ di sole avrebbe fatto bene alle sue ossa e al suo umore. Pensò che non poteva continuare a commiserarsi così. Aveva intuito che le figlie, lontane, non riuscivano neanche più a capire i suoi sfoghi, anche se un po’, poverine, erano in pena per lei. Non voleva angustiarle. Aveva letto da qualche parte che tenere un diario può essere un utile rimedio a questo genere di stato emotivo e così aveva pensato che le avrebbe fatto bene schiarirsi le idee e affidare all’inchiostro i suoi sentimenti.

Aveva sognato altre volte quell’uomo di cui non ricordava la faccia, ne ricordava le mani, però, e l’odore, intenso ma dolce. Rassicurante. Così aveva cominciato a scrivere storie sotto forma di diario, neanche tutti i giorni, ma solo quando aveva voglia di parlare con qualcuno. L’aver preso una villa così distante dal centro, dove, tranne il vicino odiato dal marito e poche altre villette, non c’era pressoché niente, non era stata alla fine una buona idea. Questo lo riconosceva, ma allora era così entusiasta che nessuna considerazione su questo aspetto della sua scelta le avrebbe fatto cambiare idea. Proprio come era accaduto quando aveva presentato Nick a sua madre. Jennifer era stata subito critica nei confronti del futuro genero.

-Non è alla tua altezza, Lyna, ripensaci. Tu sei una ragazza istruita e volitiva, lui non ha la tua apertura mentale. È un bravo ragazzo, si vede, ma non è per te, no!

Così aveva liquidato la madre quello che era l’amore della sua vita e lei aveva preso le parole della donna come un giudizio e non le aveva accettate. L’attrazione che provava per quell’uomo le aveva chiuso gli occhi. Ora ne era certa. Fatto sta che, col passare dei giorni, lo stratagemma del diario l’aveva distratta da quel malessere interiore e lei stava iniziando a prenderci gusto, iniziando a inventare, fantasticando su storie possibili, e anche impossibili. Chissà che non avrebbe anche potuto diventare una scrittrice, pensava. Per il momento ciò che contava, però, era sopravvivere a quel torpore, inventandosi un’alternativa.

Tutte le strade del centro erano addobbate a festa e anche la sua casa ora era a posto. Era riuscita a farsi mettere anche le lucine colorate che contornavano esternamente il profilo della villa. Aveva dovuto chiamare una ditta, ovviamente, anche se il marito si era offerto di farlo lui. Per carità, si sarebbe ammazzato, aveva chiuso lei. Chissà come sarebbe stata la vita senza di lui. Si accorse, pensandoci, che questa evenienza non le provocava alcun turbamento. Si chiese se stesse diventando pazza.

La verità è che non riusciva a perdonargli molte cose. Qualche volta le elencava sulla punta delle dita, pensando che così avrebbe domato i demoni che aveva dentro. Ma niente: quei ricordi erano rimasti dolenti lo stesso. Non gli perdonava gli schiaffi in pieno volto, il fatto che l’avesse insultata e battuta di fronte alle figlie, il fatto che le figlie fossero fuggite da quella casa appena possibile e il fatto che le aveva rubato la sua gioia innata, la sua bellezza, la fiducia che aveva in lui.

La serata era bellissima. Guardando le luminarie allestite per le strade, un calore le toccò il cuore. Una chiesa cattolica era aperta, non ce n’erano molte, era comunque un piccolo centro. Volle entrarci. Anche lì si sentiva il profumo del Natale, ma era condensato intorno al piccolo presepe settecentesco, che il parroco aveva portato dall’Italia, quando era rientrato da un incontro sinodale. Lei non frequentava molto la chiesa, ma qualche volta si ritrovava a ripetere le preghiere che le aveva insegnato nonna Mary, che invece era molto devota alla Vergine Maria. La nonna recitava sempre il Rosario, teneva sempre in mano quella corona, che poi le aveva regalato prima di morire, diversi anni prima. Il presepe, illuminato da piccole luci colorate, emanava una singolare aura che invitò Lyna a sedersi al primo banco, una posizione da cui poteva osservarne meglio i dettagli. Il sughero, con cui erano riprodotte le rocce dell’erta, su cui si arrampicava una stretta scala, era cosparso di anfratti scuri, intorno ai quali il muschio riproduceva la vegetazione. Tra luci e ombre i pastori conducevano le loro pecorelle bianche, un pastore dormiva sereno, un altro alzava le mani al cielo in segno di meraviglia, un vecchio barbuto alzava la sua lanterna. Distanti dalla grotta della natività, i re Magi avrebbero aspettato il 6 gennaio per avvicinarsi. E lì dentro, nel fulgore luminoso, i genitori, insieme al bue e all’asinello, aspettavano il miracolo: la nascita di Nostro Signore.

Lyna si perse in quell’attesa. Fu il parroco a risvegliarla da quell’estasi. Mi perdoni, signora, purtroppo devo chiudere, ma potrà tornare domani mattina se le va e, se ha bisogno di me, sarò contento di esserle utile. Lei si scosse e, ringraziando, uscì. La gente si affrettava a raggiungere le proprie case per la cena, l’aria si era fatta pungente e qualche fiocco di neve iniziava a posarsi sulla strada.

-Nick! Nick!

Nessuna risposta.

-Nick, sono rientrata. Ma fa freddo! Non hai acceso il camino? Ma che cavolo…

Di fronte a lei sembrò materializzarsi una figura mostruosa, una statua, suo marito con un’espressione deformata dalla rabbia. Aveva gli occhi di fuoco.

-Ma cosa è successo? Mi fai paura. Che ci fai piantato lì con quella faccia?

Lyna cercava di darsi coraggio, ma capì di essere in pericolo non appena lui iniziò ad avvicinarsi.

-Cosa ti prende… Nick!?

-Non sei altro che una poco di buono. Lo sapevo che nutrivo una serpe. Pensavo da tempo che mi tradissi. Ed ora ne ho le prove! Brutta bagascia!

-Di cosa diavolo stai parlando?

Il viso di lui divenne visibile uscendo dalla penombra in cui, fino a quel momento, si era celato. Il suo colorito era grigio, gli occhi stralunati guardavano nel vuoto. Aveva in mano il quaderno di Lyna. Il suo diario.

La donna capì il motivo della sua rabbia e cercò di spiegargli che si trattava solo di storie inventate, frutto della sua fantasia, che ne voleva fare un romanzo, che niente di tutto quello che era scritto in quelle pagine era vero. Guardando il marito, la sua voce iniziò a tremare. Così iniziò a vacillare anche la convinzione che niente di male poteva accaderle. Lui sembrava non aver sentito una sola parola di quelle che gli aveva detto. Allora la sensazione di non essere stata mai presa in considerazione seriamente da quell’uomo le salì fino in gola facendole dimenticare il rischio che stava per correre. Iniziò a vomitargli addosso tutto il disprezzo covato per anni nei suoi confronti, la sua mancanza di rispetto, la violazione del suo quaderno, dei suoi sentimenti, dell’amore che aveva per se stessa e per lui. Gli disse, infine:-Avrei dovuto tradirti, lo avresti meritato e mi pento di non avere mai avuto il coraggio di metterti le corna, di riprendermi il mio tempo e la mia vita. Ti odio!-  prima di scoppiare a piangere a dirotto, ripiegata su se stessa.

-Non ti lascerò andare via da me, non da viva!

Urlò Nick che sembrava aver del tutto perso il senno, avventandosi sulla donna accasciata a terra. Due mani strette intorno al collo. Gli occhi di lei che sembravano fuoriuscire dalle orbite, con una strana espressione, tra il sorpreso e il rassegnato, trafissero l’uomo che non riusciva a smettere di stringere. Piangeva e non riusciva ad allentare la presa. Piangeva e uccideva.

Il campanello della porta squillò e poi dei colpetti ai vetri della porta, martellanti e incalzanti, distolsero Nick quel tanto da permettere a Lyna di riprendere fiato. Tossiva convulsamente cercando di tornare in vita. Nick era lì davanti a lei a guardarsi le mani, incredulo. Lei riuscì ad alzarsi e a trascinarsi fino alla porta mentre la testa le girava forte, non voleva svenire prima di aprire.

Era Peter. Aveva in braccio una pianta, anzi un vero e proprio albero, le cui foglie gli ricoprivano in parte la faccia.

-Ragazzi, ho visto che il vostro albero è stato abbattuto dal tornado dell’altra sera e ho pensato che potevo darvene uno dei miei. Sarei felice accettaste il mio dono.

Quando Peter posò a terra l’albero, si rese conto che quello che aveva di fronte era qualcosa di serio. La donna mezza svenuta si toccava il collo tossendo forte, il marito era fermo in mezzo alla stanza e guardava le sue mani, inorridito.

Peter, fino a quel momento, non aveva avuto né la voglia né il coraggio di andare in quella casa, a causa dell’antipatia che provava per l’uomo, ma capì in quel momento cosa significava ciò che gli era capitato qualche ora prima, quando un jingle natalizio aveva cominciato a suonargli nelle orecchie e gli aveva messo in testa la voglia di andare a consolare i suoi vicini che avevano subito molti danni dall’acquazzone di alcuni giorni prima…

Riporto la motivazione del premio

Per il coraggio di voler affrontare un tema così attuale e delicato come la violenza sulle donne. Inserirlo in un contesto natalizio ci ricorda che, purtroppo, queste feste non sono per tutti luce, gioia e amore come dovrebbe essere. Quindi grazie, Eleonora, perché ci hai fatto capire che lo spirito del Natale ci può fornire maggiore sensibilità e ci può aiutare a guardare anche fuori dalle mura di casa, e una piccola attenzione, come nel caso di questo racconto, può magari, in qualche modo, salvare qualcuno. Grazie, Eleonora!

Maria Chiara Trabberi – La casa del Menestrello

©Riproduzione riservata

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About Eleonora Davide

IL DIRETTORE RESPONSABILE Giornalista pubblicista, è geologa (è stata assistente universitaria presso la cattedra di Urbanistica alla Federico II di Napoli), abilitata all’insegnamento delle scienze (insegna in istituti statali) e ha molteplici interessi sia in campo culturale (organizza, promuove e presenta eventi e manifestazioni e scrive libri di storia locale), che artistico (è corista in un coro polifonico, suona la chitarra e si è laureata in Discipline storiche della musica presso il Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino). Crede nelle diverse possibilità che offrono i mezzi di comunicazione di massa e che un buon lavoro dia sempre buoni risultati, soprattutto quando si lavora in gruppo. “Trovo entusiasmante il fatto di poter lavorare con persone motivate e capaci, che ora hanno la possibilità di dare colore e sapore alle notizie e di mettere il loro cuore in un’impresa corale come la gestione di un giornale online. Se questa finestra sarà ben utilizzata, il mondo ci apparirà più vicino e scopriremo che, oltre che dalle scelte che faremo ogni giorno, il risultato dipenderà proprio dall’interazione con quel mondo”.