Le parole che non possiamo tacere
In una soleggiata mattina di novembre una piccola provincia viene scossa da un grave fatto di cronaca, di quelli che capitano raramente, che fanno, perciò, subito notizia. Tre giovani, uno morto sotto i fendenti di 10 coltellate, una ragazza in gravi condizioni sfuggita alla furia omicida e l’aggressore che si lancia da una finestra a primo piano nel tentativo di farla finita. La tragedia si consuma velocemente, il tentativo di suicidio avviene invece molto più lentamente sotto gli occhi di tutti: passanti, curiosi, soccorritori, forze dell’ordine, giornalisti, la maggior parte provvista di smartphone e fotocamere. Poco prima i militari hanno tentato una trattativa con l’uomo che ha aperto il gas nella palazzina minacciando di farla saltare in aria. La tensione è alta, il ragazzo in evidente stato di shock per l’atto che ha appena compiuto. Sui social si susseguono le immagini e i video, gli occhi digitali puntati su quella palazzina, si vede un poliziotto che bussa insistentemente alla porta, un altro che urla qualcosa alla finestra. Sotto un camioncino dei vigili del fuoco. La ragazza ferita e la vittima sono stati già trasportati in ospedale, ma lì c’è un altra persona, che, per quanto poi sarà chi di competenza a giudicare per quello che ha compiuto, minaccia un atto estremo e chiede, a modo suo, aiuto. Eppure nessuna ambulanza, niente personale paramedico, magari uno psicologo, che aiuti gli inquirenti a portare a termine la trattativa con conseguenze meno gravi possibile. C’è solo una presenza costante e un’unica preoccupazione da parte di tutti, curiosi e professionisti dell’informazione: documentare, filmare, fare già ipotesi sul movente, tutto in tempo reale mentre una persona è lì dentro e minaccia di fare del male a se stesso. E’ una piccola provincia, si sono mobilitati tutti i media locali, tutti sono lì sul posto, perché una cosa del genere accade raramente…All’improvviso si spalanca una finestra lato strada, l’uomo si affaccia e, dopo qualche istante, si lancia. La scena viene filmata integralmente o per fotogrammi…Ad attendere l’uomo nella sua caduta solo l’asfalto.
E’ vero ormai siamo anestetizzati dai social, la nostra vita è per metà, se non di più, traslata lì sopra, se non è “postato” non esiste, non è mai successo. Ma questo è un discorso troppo ampio su cui qualche professionista della comunicazione potrebbe scrivere un trattato, su cui qualcunaltro potrebbe semplicemente ribattere che è “il progresso”, sono “i tempi”, è l’evoluzione. La nostra vita ne è permeata e nel nostro libero arbitrio possiamo scegliere quanto possiamo regalare agli altri della nostra privacy e di tutto il resto… ma chi l’informazione la fa di professione non può esimersi dalla deontologia professionale e dall’etica che caratterizza questo lavoro.
La vicenda a mio parere è stata gestita in maniera approssimativa su un doppio binario e solleva dei dubbi
Primo. La trattativa con l’uomo è stata forse gestita con troppa superficialità senza l’intervento di personale specializzato e con mezzi poco adeguati. Letteralmente un uomo minacciava il suicidio e tutti stavano letteralmente a guardare. Il gesto era quanto mai prevedibile. E non si dica che queste cose qui non succedono mai. Non è una giustificazione, non ci sono attenuanti. Chi di dovere avrebbe forse dovuto agire in maniera diversa.
Il mio stesso dubbio è sorto a tanta altra gente comune e ad altri miei colleghi. La gente comune può scriverlo sui social e si ferma lì, ma noi giornalisti abbiamo il dovere di farlo notare eppure sembra che pochi si siano soffermati su questo particolare che poi non è proprio trascurabile. Troppo scomodo, troppo puntiglioso? In fondo lui è il carnefice e a noi interessano le vittime, il movente, lo stupore della gente, non altro…
Secondo. Un’analisi più approfondita che non entra nella colonne di un quotidiano ci rivela che stiamo, ahimè, perdendo un pò della nostra umanità. Siamo assuefatti alle immagini e al dolore e questo sta cambiando anche il senso di ciò che accade. La soglia del nostro stupore si è innalzata e un suicidio in diretta non ha lo stesso effetto che avrebbe potuto avere un pò di tempo fa… Eppure abbiamo ancora una sensibilità da risvegliare, un senso di rispetto per la dignità umana che dovrebbe farci urlare di fronte a scene del genere, un’empatia che avrebbe dovuto farci pensare che decine e poi centinaia e poi migliaia di persone si stanno rimbalzando le immagini di un uomo che si lancia da una finestra, un uomo che potrebbe essere nostro fratello o nostro figlio.
E questi sono sentimenti universali, nonostante non viviamo in una metropoli, nonostante qui non succeda mai nulla….
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