Foibe, la storia rifiutata, di Carmine Leo

In questi giorni si è riacceso il dibattito storico-culturale sulla reale necessità di celebrare una giornata per gli eventi esecrabili delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata. Ad accenderlo è stata una dichiarazione rilasciata all’ANSA dallo storico Eric Gobetti su quei misfatti: “Le uccisioni commesse sul confine orientale e nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 non possono essere in alcun modo considerate un tentativo di genocidio e le vittime non sono individuate in quanto appartenenti ad uno specifico popolo”.

La risposta secca e concisa dell’On. Giorgia Meloni non si è fatta attendere: “ questo è il “fine intellettuale”.

Sin dalla scuola primaria il percorso educativo dei nostri bimbi è teso a creare in essi quel senso critico che l’invogli a scoprire, insieme ai propri docenti, il mondo reale passato e presente, immaginando un futuro più  roseo costruito con il loro sapere.

In questo senso lo studio del passato deve essere un prezioso riferimento per il presente, favorendo l’avvento di un mondo migliore tecnologicamente, ma soprattutto teso a combattere l’ingiustizia sociale, la criminalità, la soppressione della libertà e dei diritti umani, la povertà, lo sfruttamento, la disoccupazione. E il passato è storia da cui non può prescindere il presente. Per questo è importante conoscere il passato, raccontarlo secondo i canoni della veridicità e dei contesti in cui essi sono maturati. E se questo è il compito dello storiografo, ben più difficile resta quello dello storico che oltre a raccontare i fatti ne dà anche una lettura, che certamente sarà di parte. Ma questo è nella norma.

Il giornalista è come lo storico: non può prescindere dai fatti, ma ne può dare un’interpretazione, dovuta alla sua formazione e alla sua appartenenza politica, sociale, religiosa, ma sempre nel rispetto della ricerca della verità derivante dai fatti e da una corretta premessa, come insegnano i sillogismi del grande Aristotele, anche perché, come diceva San Bonaventura, filosofo e dottore della Chiesa Cattolica, “contra factum non valet argumentum”. Contro l’evidenza dei fatti non c’è argomentazione che tenga.

È per questo motivo e in questo contesto, molti eventi tragici del passato non possono essere taciuti, ma devono essere pubblicizzati e conosciuti per non ricadere negli stessi orrori.

È il caso della Shoah, l’Olocausto, degli Ebrei, commessa da uomini esecrabili che concretizzarono la loro disumanità con la “soluzione finale”, lo sterminio, di ebrei, nomadi, zingari, altre etnie, omosessuali, oppositori del potere. Una pulizia etnica, per la conservazione della razza pura, quella Ariana.

I responsabili di questo genocidio hanno un nome: nazisti e  fascisti, Hitler e Mussolini! Dittatori che mandarono ai forni crematori o condannarono a morire nei campi di concentramento oltre sei milioni di esseri umani, spesso togliendo loro anche la dignità di una sepoltura.

Dal 1º novembre 2005,  l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite invita tutti ad un giorno di riflessione, per non dimenticare.  Il 27 Gennaio del 1945 fu il giorno in cui  le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz e si scoprì l’orrore e la cattiveria umana. È il “Giorno della Memoria”!

Nessun negazionismo può essere tollerato su quella che resta una delle pagine più nere della storia dell’umanità! E i giovani devono conoscere e tramandare ai posteri la verità.

Ma, dopo aver condannato senza ‘ma’ e senza ‘se’ gli avvenimenti della Shoah nazifascista, vanno ricordati e condannate tutte le altre atrocità passate, presenti e future, nel rispetto della verità storica mam soprattutto, per il rispetto dovuto a tutte le vittime di tali assassinii. La lista è lunga: dai milioni di morti ucraini ad opera di Stalin, nei primi anni ’30, forse, il più imponente sterminio della storia europea del XX secolo dopo l’Olocausto, secondo lo storico inglese Robert Conquest, giudizio condiviso da tanti altri storici come  Roy Medvedev, che sosteneva che le vittime della repressione politica tra il 1927 e il 1953 fossero state 40 milioni, al genocidio dei monaci, della popolazione e della cultura tibetana da parte dei Maoisti, ai 1.500.000 morti di Pol Pot, dittatore della Cambogia, capo dei khmer rossi.

E, se la maggior parte dei dittatori non raggiungono i livelli di crudeltà di Hitler o di Stalin, la storia abbonda di oppressori, criminali di guerra, sadici, sociopatici e assassini. Michel Micombero (Burundi), Jorge Rafael Videla (Argentina), Teodoro Obiang (Guinea Equatoriale), Radovan Karadžić (Repubblica Serba), Than Shwe (Myanmar), Stroessner (Paraguai), Castelo Branco (Brasile), Pinochet (Cile), Peron (Argentina), la dinastia di Kim Jong (Corea del nord) ne sono un esempio. E come dimenticare il genocidio dei Curdi e dei Siriani o, ancora, il massacro continuo di uomini, donne e bambini in Africa, o le violenze e le uccisioni dei bianchi contro i neri in Sudafrica e ancora i le vittime di  Osama bin Laden o di Abu Bakr al-Baghdadi dell’ISIS e tanti altri?

Ma va anche sottolineato che spesso il silenzio o l’appoggio delle grandi potenze militari ed economiche sono state mandatarie e continuano ancora oggi a far nascere dittature sanguinarie e violente che dovrebbero suscitare, lo speriamo, orrore per la sistematica violazione dei diritti politici e, soprattutto, umani.  

Josip Broz Tito è solo un altro carnefice, consegnato alla storia per la sua crudeltà accertata. La sua vicenda si collega a quella degli Infoibati: al massacro delle “Foibe e all’Esodo Giuliano – Dalmata”, ovvero l’emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dall’Istria e dalla Dalmazia.  Si stima che gli infoibati siano staiti tra i 15.000 e i 30.000 e ancor più quelli che fuggivano per non morire; fuggivano per non essere infoibati, per non essere perseguitati e torturati. Tra 300 e 350.000 esuli giuliani, fiumani e dalmati italiani emigrarono forzatamente dalle loro terre di origine perdendo tutto.

Fuggivano disperati e speranzosi verso la madre patria che invece, per anni, li ha disconosciuti!

Palmiro Togliatti, grande uomo politico del PCI, su quei poveri profughi italiani, disse: “Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi.”

(Da Profughi di Piero Montagnani su L’Unità – Organo del Partito Comunista Italiano – Edizione dell’Italia Settentrionale, Anno XXIII, N. 284, Sabato 30 novembre 1946).

Su questa onda politica va rammentato che il “treno della vergogna”,  il convoglio ferroviario che nel 1947 carico di esuli italiani, offensivamente definito “treno dei fascisti” fu oggetto di un  “comportamento ignobile contro gli esuli”.  Scrisse Pansa“Il sindacato dei ferrovieri annunciò che se il treno dei fascisti si fosse fermato in stazione di Bologna, sarebbe stato proclamato lo sciopero generale. Il convoglio fu costretto a proseguire. E il latte caldo destinato ai bambini venne versato sui binari. Pure ad Ancona i profughi ebbero una pessima accoglienza. L’ingresso in porto del piroscafo “Toscana”, carico di settecento polesani, avvenne in un inferno, di bandiere rosse. Gli esuli sbarcarono protetti dalla polizia, tra fischi, urla e insulti al grido di fascisti, mafiosi e criminali”.

 (Giampaolo Pansa, articolo su Libero Quotidiano, 11 febbraio 2012)

Quegli italiani che avevano perso tutto, ma non la loro dignità, traditi dalla propria patria, sono restati senza voce e senza volto, nascosti nell’oblio della vergogna, per molto tempo. 

Le Foibe sono state riconosciute come un orrore che il despota Tito e i suoi partigiani titini hanno perpetrato contro italiani e contro altre etnie. Per decenni non se n’è mai parlato, né studiato nelle scuole; neppure un accenno. Troppo disonore, o troppa vigliaccheria nell’ammettere di aver permesso, osannato o addirittura tifato e giustificato quella tragedia umana. Grandi personaggi della politica italiana si sono macchiati di quel sangue. “E oggi storici di parte vorrebbero riscrivere la tragedia delle foibe e dell’esodo istriano, dandole un taglio di carattere giustificazionista o riduzionista, quando non negazionista”.

Ancora restano, per esempio, i differenti approcci dell’informazione che, sottende una certa cultura, relega “il giorno del ricordo” ad una celebrazione secondaria rispetto alla Shoah sia nella trattazione, sia nelle modalità di approccio. Programmi televisivi ridotti rispetto al giusto tempo dedicato all’Olocausto, celebrazioni scolastiche talora dimenticate o disattese o lasciate alla buona volontà di qualche docente.

Ma domandiamoci “perché?”  e “cui prodest?”. La Shoah e le Foibe seppure con numeri differenti, con dittatori di colore e ideologia differenti, hanno raggiunto livelli altissimi di disumanità! L’una non è negazione dell’altra, ma il loro ricordo dovrebbe aumentare il rigetto per gli orrori del passato e unirci nel combattere tutte le dittature, tutte le violenze, tutte le privazioni delle libertà, tutte le oppressioni e le soppressioni dei diritti umani e civili messe in atto da qualsiasi colore, potere politico ed economico. Siamo tutti figli dello stesso cielo e tutti abbiamo gli stessi diritti. E il primo diritto è il diritto alla vita. Chi nega tale diritto, anche ad un solo uomo, è un assassino. Chi n’è complice si macchia dello stesso reato.

Alcuni direttori di giornali sanno ben spiegare quale sia il compito del giornalista, ma spesso essi stessi non lo praticano per amor di appartenenza. Il loro informare partigiano non aiuta a prevenire altri olocausti, ma anzi fomenta quell’odio che additano ad altri. È la storia dell’eversione di destra e di sinistra che in Italia, negli anni settanta, ha devastato le coscienze umane, facendo tante vittime. E, se qualcuno addebita solo alla destra la disumanizzazione, probabilmente ha una trave nell’occhio che non gli permette di vedere. Ogni giorno, giornali, social e una certa editoria benpensante, sovvenzionata e di convenienza tenta di veicolare scelte politiche che dovrebbero far crescere valori come umanità, socialità, pace, accoglienza, cultura, fratellanza. Molti soloni, arrogandosi il diritto di giudicare gli altri, si ergono a moralisti e depositari della verità, negando il diritto alla diversità di veduta.

Ma, come scriveva la scrittrice Evelyn Beatrice Hall, “Non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita affinché tu possa dirlo” . Questo è un bell’esercizio di democrazia e di rispetto.

Continuare ad affermare che il male sta da una sola parte è pretestuoso e rischioso, perché favorisce valori di divisione, opposti e contrari alla coscienza universale e al godimento dei diritti umani. I morti delle foibe e gli esuli, per questi stessi principi, devono essere rispettati e considerati; altrimenti si predica bene, ma si razzola male!

Non solo è giusto che “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale ‘Giorno del ricordo’ al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”(Legge 92 del 30 marzo 2004), ma ben vengano altre giornate commemorative per combattere i focolai della disumanizzazione ancora presenti in questo mondo. Non solo per vivere meglio, ma per costruire un futuro migliore per i nostri discendenti in cui l’uomo sia veramente l’apice dell’evoluzione naturalistica, valoriale ed intellettiva.

                                                                                          Carmine Leo*

*scrittore, autore di Il colore del sangue, ed. Delta 3

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