In memoria della strage di Acqualonga. Il racconto di Antonietta Urciuoli

Domani ricorre una data che tutto il Paese non può dimenticare. Il 28 luglio del 2013 un pullman di pellegrini precipitava nel vallone Acqualonga a Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, dal viadotto autostradale della Napoli-Bari. A causa dell’incidente morirono 40 persone, tra cui il conducente, fratello del titolare della ditta di trasporti, e molte furono ferite. Tante le responsabilità a carico della ditta di autotrasporti Lametta che non aveva eseguito la manutenzione del mezzo, ma anche della società Autostrade per l’Italia, perché il guardrail, che avrebbe dovuto trattenere il mezzo che aveva perso il controllo, non era solidamente ancorato alla strada.  Ma il  processo è ancora in atto. Il ricordo della strage, oltre a commemorare la scomparsa di vittime innocenti, serve a ricordare quanto dolore può costare l’approssimazione o la truffa quando in ballo ci sono delle vite umane. Il Comune di Monteforte domani inaugurerà il Giardino della Memoria proprio nel luogo in cui precipito il pullman.

Il breve racconto che Antonietta Urciuoli ci propone in questa occasione sintetizza il dramma di quel 28 luglio.

Domenica 28 luglio 2013 di Antonietta Urciuoli

 

«Calmati ,calmati! Smettila di piangere. Non fare così! Andrea, dov’è? Non farti vedere in questo stato. Potrebbe spaventarsi. E’ ancora piccolo per comprendere ciò che è accaduto».

Passarono alcuni minuti e dall’altra parte del telefono la giovane donna cercò di parlare anche se le parole, inizialmente, si strozzavano in gola. «Mamma, mamma! Non hai idea di come mi sento. Che giornata nera!» Nel tardo pomeriggio di ieri eravamo a bordo della nostra autovettura, percorrevamo l’autostrada A 16 Napoli-Bari, dopo aver fatto una gita fuori porta. Giunti nei pressi del viadotto di Acqualonga, tutti i veicoli che ci precedevano hanno frenato di colpo e ci siamo incolonnati senza poterci più muovere. Ci siamo domandati che cosa fosse successo. Quello che si vedeva era che tutti i guidatori scendevano dai propri mezzi e, correvano verso la testa della colonna dei mezzi che si erano fermati. Quando all’improvviso abbiamo sentito gridare “È accaduta una terribile sciagura, un autobus è precipitato dal viadotto nelle vicinanze di Monteforte (Av)” .

Un pullman di pellegrini, dopo aver fatto sosta a San Giovanni Rotondo, stava rientrando a Telese Terme, loro paese di origine. Chi sa per quale motivo, il loro automezzo era sbandato, andando a sbattere contro il guard-rail del viadotto, precipitando da un’altezza di circa 30 metri, andandosi a schiantare sul terreno sottostante. Da ieri sera non faccio altro che star male.

Giovanni è sceso subito insieme agli altri uomini perché improvvisamente nell’aria si sono sentite sirene a tutto spiano. Noi siamo rientrati a casa a appena ci è stato possibile. Mio marito è tornato a casa a mattina fatta, usufruendo di un passaggio. Aveva un viso stravolto, come se avesse partecipato a qualcosa di terrificante. Si è seduto al bordo del letto. Si è stretta la testa con entrambe le mani e mi ha detto: “Giulia, moglie mia, non puoi immaginare che cosa hanno visto i miei occhi! Monteforte, il nostro paese, mi è sembrato un luogo di guerra: polizia, autoambulanze, Croce Rossa”. Poi mi ha raccontato  quello che hanno fatto i Vigili del Fuoco e tanti volontari. Una squadra era sull’autostrada e alcune erano giù ad apportare i soccorsi a chi era ancora in vita e poi a recuperare i corpi di chi non c’era più. Non è stato facile, chi coordinava i lavori era di una competenza straordinaria. Col passare delle ore l’oscurità predominava in quel luogo di dolore.

Tra le tante difficoltà i Vigili del Fuoco hanno messo in essere tutta la loro professionalità, lavorando col cuore in gola. Da un momento all’altro blocchi di cemento potevano staccarsi e precipitare, aggravando una situazione già di per sé complessa.

Hanno lavorato instancabilmente, per ore e ore fino alle 7,00 del mattino, immagazzinando scene indimenticabili, in un silenzio cupo, tombale interrotto da grida strazianti di parenti accorsi, dilaniati dal dolore.

La scena più straziante cui ho assistito è stata quella della palestra della nostra scuola che è stata trasformata in un vero e proprio obitorio. Ho ancora le urla dei parenti nelle orecchie e il dolore di chi cercava i suoi cari tra quelle fila. Adesso, mamma, li stanno portando via, l’impresa funebre ha messo a disposizione tutti i carri.

Sono allineati sotto la mia casa. E’ una fila lunghissima che mi graffia l’anima. Per fortuna che i bambini si sono salvati. Ora sono all’ospedale di Napoli, il “Santobono”. Povere anime innocenti non sanno che hanno perso i genitori.

Una bambina, dicono i telegiornali, sta chiedendo della nonna che è in uno di questi carri colmi di fiori. Da ieri nell’aria c’è una tristezza. C’è tanto movimento ma dentro di me c’è una sensazione di freddo gelido.

«Non piangere! Potevi prendere il bambino e venire da me ad Avellino».  «No, mamma! E’ come se questa tragedia, in parte, ci appartenesse. E’ successo nel luogo dove abito e poi avrei pianto lo stesso. Qui tutti hanno fatto del loro meglio. C’è stata una grande gara di solidarietà. Tutto il paese si è stretto intorno a persone colpite dal dolore. Adesso stanno partendo i primi carri. Si stanno muovendo lentamente. Immagina che spettacolo funesto sull’autostrada. Questa tristezza accompagnerà molti di noi per molto tempo.

Ho letto i giornali e ho visto qualche telegiornale. Ascoltando varie voci, c’è chi sostiene che è stato il pullman che si è rotto. C’è chi dice che si potevano salvare se il guardrail avesse resistito all’urto. Ci sono troppi ma e troppi se. Io so che sono morte 38 persone che stanno sfilando sotto i miei occhi. Mamma, mamma mi ascolti, perché non parli?» «Sto piangendo anch’io! Sto pensando a quelle famiglie e soprattutto a tante nonne che non potranno più abbracciare i loro nipotini. Poi, figlia mia, sono addolorata e nello stesso tempo arrabbiatissima, spero tanto che gli uomini non dimentichino subito questa tragedia che si poteva evitare se tutti avessero fatto il loro dovere fino in fondo.

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