LA CASA DEGLI INGANNI di Elisabetta de Feo

La mattina di una domenica di ottobre, mite e soleggiata, due amici di vecchia data si incontrarono nella piazzetta del piccolo borgo dove vivevano.

«Caro Marcello, buongiorno e buona domenica.»

«Arturo bello. Anche tu qui di buon’ora. Prendiamo un caffè al bar, vieni.»

I due si avviarono a uno dei tavolini di vimini e si accomodarono.

«Buongiorno, Emanuele», disse Marcello rivolgendosi al ragazzo del bar, «due caffè, caro».

«Subito, don Marcello», gli rispose mentre dava una sistemata alle sedie a ai tavoli dove aveva posti posacenere, quotidiani e piccole ampolle con freschi fiori di campagna.

«Caro Marcello è un vero piacere trascorrere un po’ di tempo con te e poi hai viso che giornata magnifica e calda! Pensa che ieri mattina, nel mio orto, ho raccolto zucchine e fiori di zucca. Ma ti rendi conto? Siamo a ottobre e ancora abbiamo gli ortaggi di luglio», sottolineò quest’ultima frase con l’enfasi di un ragazzino incredulo.

«Hai ragione, è un’ottobrata stupenda», rispose Marcello spostando i quotidiani sul tavolino accanto. «Tanto bella che manco lo voglio leggere il giornale, per non rovinarmi la giornata».

Scoppiarono a ridere fragorosamente con l’intesa perfetta degli amici di vecchia data.

«Eccoci qua», irruppe Emanuele, «i vostri caffè, signori», e dal vassoio, che reggeva in perfetto equilibrio con una sola mano, servì i due ristretti bollenti. «Un po’ di acqua frizzante e qualche pasticcino offerto dalla casa», aggiunse.

«Fatti dalla signora Maria?», chiese Arturo apprezzando il cordiale gesto e addentandone uno senza attendere la risposta.

«Delizioso, mani d’oro!»

«Riferirò!» esclamò sorridente Emanuele tornando al banco soddisfatto.

Sorseggiarono i caffè e gustarono i loro pasticcini in rispettoso silenzio.

«Certo che la quiete di questo paesino è un vero toccasana! Le giornate ancora cosi miti, la campagna che sembra respirare gioiosa. Io mi sento proprio rinvigorito da questa bell’aria. Ma poi questi nostri borghi sono l’ideale per chi ama rilassarsi e per chi vuole condurre una vita tranquilla, non credi?»

«Eh sì! Sono perfettamente d’accordo con te amico mio», rispose Marcello sospirando e sorridendo beato.

«Marcello, guarda. Sta passando Frank, il nipote del dottore. Chissà com’è finita quella storia.»

«Quale storia, Arturo?»

«La disputa, quella della vendita della casa. Si vocifera che la canadese gli abbia fatto il servizio.»

«Ah sì, ti riferisci a “quella” storia. È ancora in corso se vuoi saperlo.»

«E tu che ne sai?» chiese Arturo volgendosi di scatto verso l’amico.

«Purtroppo anche in questi nostri luoghi così tranquilli, succedono a volte tristi storie di soprusi e incomprensioni pericolose.»

Fece volutamente una pausa.

«A volte le cose non sono come sembrano, Arturo, e quel bel ragazzo ne è un esempio. Un bravissimo giovane, di buona famiglia, persone per bene.»

«Certo, li conosco. Persone squisite, discrete. Ma a volte la sfortuna…»

«E già! Dipende sempre da chi incontri sulla tua strada e, a volte, le persone non sono quello che sembrano. Voglio dire, a sto’ ragazzo non mancava niente. Bello, intelligente, onesto. Dopo il diploma di geometra si mise subito a lavorare il legno. Un artigiano abilissimo.  Però poi la sfortuna gli si è messa di traverso. Anzi, a dirla tutta, quello che sembrò un colpo di fortuna si è rivelato poi una vera e propria sciagura! Tutto è iniziato quando ha incontrato quella donna.»

«Ma tu come li sai tutti sti fatti? Eh eh, stai entrando in fatti privati.»

«Per l’amor di Dio, Arturo! Io sono amico fraterno del dottore, i fatti sul nipote me li ha raccontati per filo e per segno.»

«Ma scusa, Marcello, io ricordo che il giovane se ne andò in Canada dopo aver conosciuto quella bella signora, come si chiama?»

«Mafalda La Cornacchia in Garrow.»

«Mi prendi in giro? Mafalda? La Cornacchia?»

«Sì è vero! Non ti prendo in giro.»

«In Garrow?»

«Sì. Sposò un mecenate da cui poi si è separata. Ha avuto due figli, che forse hanno l’età di Frank.»

«Ma non erano tre figli?» riprese Arturo.

«In realtà sì, però una delle figlie l’ha avuta con il primo marito, un nativo, non so di quale tribù dei nativi canadesi. Gli altri due, un maschio e una femmina, col secondo marito.»

«Un bel quadretto!»

«Diciamo che la signora non è stata proprio con le mani in mano.»

Risero garbatamente.

«Quando lei, la canadese, arrivò in Italia nell’estate del 2011, in visita ai suoi parenti, qui in paese», riprese Marcello, «Frank non aveva ancora trent’anni e lei era libera da impegni. Mafalda si invaghì perdutamente di lui, al punto che inizialmente lo avvicinò per presentargli la più giovane delle figlie.»

«Poi però pensò bene di proporsi lei, a quanto pare.»

«Prima o poi sarebbe successo», rispose sicuro Marcello. «Mafalda è sempre stata una bella donna, molto curata, attenta alla sua immagine esteriore, e comunque una donna avvenente oltre che in forma, anche se con molti accorgimenti chirurgici»

«E, mi sembra, anche molto ricca.»

«Sì è vero, Arturo, ma questo è un dettaglio trascurabile. Frank si vide oggetto dell’interesse di una donna matura, certo più’ di lui, ma affascinante. È normale che se ne invaghisse. Il loro rapporto è durato oltre sei anni. Non è stata solo infatuazione.»

«Come no, lo so. È per questo che si è trasferito in Canada. Infatti il giovane parla un inglese perfetto!»

«Eccolo, sta uscendo dal bazar. Vorrei salutarlo, Arturo.»

«Ottima idea, anch’io. Chiamalo.»

Con fare disinvolto, Marcello si alzò dalla sedia e fece per raggiungere il ragazzo che in quel momento si voltò verso di lui e lo vide.

«Buongiorno, avvocato.»

«Caro Frank, come stai?»

Si strinsero la mano vigorosamente.

«Potrei stare meglio, avvocato.»

«Figlio mio, conosco tutta la vicenda e posso immaginare cosa stai passando. Vieni a sederti, ti offro un caffè»

Si avviarono al tavolino dove Arturo li attendeva in piedi e sorridente. Con una pacca sulla spalla salutò il ragazzo e lo invitò a sedersi.

«Mamma e papà come stanno?» chiese premuroso Arturo.

«Stanno bene, grazie. Li vedo spesso, sai com’è mamma, ogni occasione è giusta per averci a casa sua.»

«Ma tu abiti qui in piazza?»

«Sì sì, vivo qui nella “casa contesa”», disse abbozzando un sorriso ironico.

«Da solo?» chiese Arturo

«Con Vicki. Spesso si ferma qui in paese, quando non ha impegni fuori regione. Oggi è qui, a casa.»

«La “casa contesa”?» Ribadì’ Marcello, «hai detto così?»

«Si, perché è così.»

«Ho parlato con tuo zio, Frank. Mi ha detto…»

«Mio zio non sa nulla», lo interruppe risentito il ragazzo. «O meglio, sa solo quello che vuole sapere.»

«Non essere così duro con lui, Frank.»

«Mio zio è con-causa di quello che mi è successo. Tu non conosci i fatti a fondo, Marcello. Il mio risentimento non è mal riposto.»

I due amici si guardarono mesti mentre Emanuele tornò al tavolino dove posò il bicchiere d’acqua frizzante, il caffè fumante e il pasticcino dorato.»

«Ecco, tieni il resto ragazzo.»

«Grazie, don Marcello», rispose fiero il giovane barista.   

«Grazie mille, Marcello, sono in debito», rispose Frank prima di sorseggiarlo.

Il ragazzo riprese il racconto.

«Avevo 29 anni quando mi sono trasferito in un paese straniero, lasciando la mia famiglia e il mio lavoro, l’unico che sapessi fare. Lavoro il legno da quando avevo 13 anni, ho imparato da solo. Avevo come una passione innata che mi spingeva a prendere un pezzo di legno e farne un oggetto. Con nonno Salvatore, che mi osservava e mi stava accanto, passavo interi pomeriggi a intagliare tronchetti di castagno, noce o ciliegio.»

«Lo ricordo bene nonno Salvatore», intervenne Arturo mentre Frank abbozzò un sorriso malinconico, poi prosegì.

«Quando partii per il Canada ero pieno di vigore, speranze e buoni propositi. Non sapevo cosa mi attendesse, ma ero sicuro che con Mafalda non avrei avuto nulla da temere. E poi andavo in un Paese che è il regno del legno. Lì avrei trovato finalmente un lavoro certo e duraturo. Mi sbagliavo.»

Suonò il cellulare e Frank, sposando dal viso i suoi lunghi capelli lisci e neri, rispose: «Eccomi cara, sono in piazza con due distinti signori», fece una breve pausa. «Non ho dimenticato il pranzo dai tuoi, arrivo tra un po’».

«Oggi sei ospite, e non da tua madre?», intervenne Marcello sorridendo.

«Qualche volta ci lascia la libertà’ di andare altrove. Andiamo dalla famiglia di Vicki. Ci fermiamo per pranzo.»

«Certo. La domenica sembra essere perfetta per fare visita alla famiglia.»

«Vicki, in verità, non la pensa proprio così. Per lei la domenica è fatta per stare a casa propria e riposare finalmente membra e mente», rispose Frank.

«E forse non ha tutti i torti», esclamò consenziente Arturo.

«Non vogliamo trattenerti, mio caro ragazzo. Avremo modo di incontrarci ancora e continuare, perché no, la nostra piacevole chiacchierata e magari con fatti nuovi e positivi.»

«Lo spero tanto, caro avvocato. Ma vedi, ho perso le speranze. Sono ormai quasi sicuro di aver perso la casa e i soldi. La casa tornerà a Mafalda e i soldi ormai sono già in tasca del tuo ‘esimio collega’.»

«A chi ti riferisci?» chiese incupito Marcello.

«Mi riferisco all’Avvocato Leonida Maria Cerza.»

Prima che Marcello potesse rispondere, fu Arturo questa volta a irrompere in una brusca risata che non riuscì proprio a trattenere mentre non credeva alle sue orecchie. Dopo La Cornacchia, ci mancava pure Cerza, pensò.

«Ma siete sicuri che non si tratti di una barzelletta?» riuscì a stento a pronunciare.

«Con tutti questi bizzarri cognomi mi sembra di essere in un libro di Collodi.»

«Non scherzare, Arturo», lo riprese Marcello, ma sforzandosi di essere serio anch’egli.

«Ma veramente ha ragione», sbottò Frank. Questa è proprio una barzelletta.»

Risero tutti e tre di buon gusto.

«Voglio dirti quello che penso, ragazzo mio», riprese Marcello. «Intanto a tuo zio ci penserò io, ho da fargli qualche domanda, e questa volta non sarò indulgente. Quanto al mio ‘collega’, sospetto che avesse ben chiaro il da farsi sin dall’inizio. Fu lui a interessarsi e a seguirvi nella compravendita della casa nel 2014 se non erro.»

«Su accorato consiglio di mio zio che me lo presentò come tra i più virtuosi avvocati del foro. Sono andato a fiducia, Marcello. Era mio zio, il fratello di mia mamma, sangue del mio sangue. Era lui che me lo stava proponendo come legale che avrebbe dovuto seguirci nell’acquisto dell’immobile. Mafy non parlava italiano, è chiaro che si stava affidando a me in quel momento. Ma qualcosa di molto grosso deve essermi sfuggito».

Fece una pausa. Poi pensieroso, riprese.

«Esiste una procura speciale, ma esiste anche una scrittura privata, e a quanto pare esisteva anche un movente perché tutto andasse a mio discapito. Non credo nella giustizia, l’iter è talmente contorto e annodato che mi sembra chiaro si tratti di un complotto escogitato alle mie spalle.»

«Non posso pronunciarmi su quanto affermi, Frank. Potresti parlare così perché troppo coinvolto, troppo amareggiato, accecato dalla rabbia. Oppure potresti avere ragione»

«Marcello, quella mattina l’atto rischiava di saltare, perché io e Mafalda avevamo litigato di brutto. Una delle solite litigate che spesso ci capitava di avere, in maniera anche accesa. Lei mi aveva promesso la casa, aveva deciso di comprarla qui in Italia, nel paese di origine di suo padre, e aveva insistito per intestarla a me. Ma per l’atto di compravendita voleva essere sicura ci fosse anche un legale oltre al notaio.»

«E fu allora che lo zio ti presentò… quel Ceffo, Cezzo, Coffio,… ? quello lì… come cavolo si chiama… l’avvocato…»

«Cerza, Arturo. L’avvocato Leonida Maria Cerza», intervenne Marcello sbuffando, ma trattenendo una fragorosa risata per l’imbarazzante confusione dell’amico.

«Esattamente. Quella mattina io, Mafy e Cerza ci recammo dal notaio. Gli animi si erano placati e finalmente fummo al rogito. Chiaramente io ero molto nervoso e sul punto di non volere nessuna casa. I numerosi diverbi tra noi erano non solo sempre più frequenti, ma anche violenti verbalmente. Inoltre le motivazioni che ne causavano il ripetersi cominciarono a essere serie e a intaccare la reciproca fiducia.»

«Tradimenti?»

«No, almeno non in quel senso. Ma il sentirmi continuamente controllato a vista mi preoccupava. In quei sei anni, vi confesso, Mafy non voleva io lavorassi. Diceva che non ne avevamo bisogno e che lei avrebbe sempre provveduto a me. Per questo decise di intestarmi la casa, era un modo per farmi stare tranquillo. Ma purtroppo sentirsi privare della propria libertà e della possibilità di avere un lavoro equivale a farti sentire inutile e insoddisfatto.»

«E tu così ti sentivi, inutile e insoddisfatto?» gli chiese Arturo.

«Inutile e insofferente. Ma comprendevo i suoi sforzi e la sua continua premura. Per questo quando arrivammo finalmente dal notaio, la quiete era tornata e io mi ero calmato. Ma rimanevo ancora molto turbato e ricordo bene che avevo una certa irrequietezza. Arrivammo dunque al momento di firmare l’atto, ma prima di formalizzarlo mi vennero presentati due documenti: la procura speciale e la scrittura privata. Maledetto quel momento in cui ho sottoscritto entrambi, è in quell’esatto momento che mi sono condannato da solo. Non li ho letti, sono andato a fiducia, mi fu portata fretta e firmai, ma mi tremava la mano.»

«Non li hai letti?» intervenne incredulo Marcello, «Figlio mio, la legge non ammette ignoranza.»

«Me ne sono accorto soltanto adesso, era quello che volevano.»

 Solo questo riuscì a sussurrare Frank mentre abbassava la testa.

«Non ti scoraggiare. Troveremo il modo di fare luce su tutta questa malsana vicenda.»

«Speriamo solo che ‘azzeccacarbugli’ non la faccia franca», rispose lesto Arturo.

«Non la farà franca. Chi la fa sporca prima o poi nella melma ci ricade da solo. Adesso vai figliolo, oppure Vicki ti prenderà a ciabattate.»

«È più probabile che mi lasci qui in piazza, conoscendola. Cari signori, Vi saluto.»

«A presto.»

«Ciao Frank.»

Fu così che i due amici rimasero di nuovo da soli, a fissare il vuoto e a restarsene in silenzio.

Arturo con lo sguardo fisso sulla piazza, disse: «Caro Marcello! Quello che voglio dirti è che, in tutta questa faccenda quello che mi spaventa di più è l’intenzione lucida e premeditata che sta alla base dei fatti. E ciò che mi lascia esterrefatto è che l’artefice di tutto sia un uomo di legge!»

«Quella mattina Cerza si precipitò a curare i propri interessi, non quelli dei suoi assistiti.», pronunciò preoccupato Marcello.

«Parli della mattina dell’atto?» chiese Arturo.

«Eh sì, quella del 2014… sulla scrivania, sotto il naso del giovane, c’erano le altre “due carte”.»

«Sì, è vero. Ma, mi chiedo, perché la procura?»

«Il punto è proprio questo, Arturo. La procura blindava Cerza, perché in questo modo diventava il procuratore di Frank che a quel tempo viveva in Canada. E, comunque, i punti oscuri sono ancora molti.»

«Adesso parli da avvocato, vero? Uno dei migliori che la nostra provincia abbia potuto avere.»

«Io ti ringrazio, amico mio, per la stima. Ma ti dico che questa è l’arte dell’inganno. È tutto lì. La procura speciale è il cardine, capisci? Al ragazzo gliela propinarono perché viveva all’estero e ne avrebbe potuto avere bisogno. Ma mi chiedo perché mai ne avrebbe dovuto avere bisogno? E l’unica spiegazione che sono riuscito a darmi oggi, col senno di poi, è che in realtà è stato pensato al peggio».

«Non ti seguo», rispose Arturo.

«Ragioniamo insieme. Mafalda stava acquistando la casa a Frank. In un rapporto consolidato si fanno progetti per il futuro, giusto? Ma è pur vero che in questi casi chi possiede di più vuole anche cautelarsi».

«Esatto», rispose Arturo che con un lampo aggiunse «quindi La Cornacchia, che aveva accanto il compagno giovane e bello, volle assicurarsi che, in caso di sciagurati eventi, la casa tornasse a lei».

«E probabilmente sotto consiglio dello stesso Cerza, prepararono la procura speciale che guarda caso lo nominava procuratore del ragazzo» concluse abilmente Marcello.

E la scrittura privata?», chiese Arturo.

«La scrittura privata era ed è un’appendice dell’atto di compravendita. Lo controbilancia e contraddice.»

«Perché?»

«Perché affermava che al ragazzo si riconosceva la proprietà formalmente solo a titolo di donazione. Metà dell’immobile, in realtà, rimaneva di proprietà della signora La Cornacchia. In questi casi si parla di compravendite simulate. Infatti, non a caso la scrittura privata prevedeva che, in caso uno dei due avesse venduto la casa, l’altro avrebbe incassato la metà dell’acquisto. Ma temo che anche in questo caso Cerza abbia escogitato la furbata.»

«E mi sa di sì, caro Marcello. Infatti La Cornacchia comprò la casa al ragazzo, se ne assicurò la metà di sua proprietà, quando due anni dopo, nel 2016 si lasciarono, l’abile Cerza, in qualità di procuratore, a insaputa di Frank gli vendette la casa che, guarda caso, riacquistò La Cornacchia.

E oggi Frank si ritrova in una casa che gli è stata venduta a sua insaputa senza aver nemmeno incassato la metà che gli spettava di diritto dalla vendita, perché i soldi li ha intascati l’avvocato- procuratore Cerza. Capito Arturo che bell’imbroglio?»

«Sissignore», rispose Arturo, poi continuò «E poi c’è la faccenda del bonifico, eseguito da La Cornacchia su conto estero. E comunque né il bonifico, né la procura speciale, né la scrittura privata vengono richiamati nell’atto di compravendita.»

E continuò: «E non ci vuole la palla di vetro, Marcello, per capire che la scrittura privata e la procura sarebbero servite a contrastare quanto contenuto nell’atto.»

«Eh già, bravo, amico mio!» esclamò soddisfatto.

«Ma perché tutto questo?» replicò sul momento Arturo, che continuò «Che rabbia!» e si morse la mano destra portandola alla bocca.

«Se ci fossi stato io seduto quel giorno, col cavolo che firmavo! Mi sarei alzato, dopo averli guardati a tutti e tre negli occhi, con un mezzo sorriso accennato sul volto, me ne sarei andato fiero, senza neanche salutare, lasciandoli a bocca asciutta! Questo avrei fatto.»

«E avresti fatto bene Arturo! Avresti evitato tutto quello che è successo dopo. Ma, soprattutto, non avresti fatto il loro gioco, perché alla fine si è verificato proprio quello che avevano architettato. E questo è un altro punto che proprio non mi va giù. Come è possibile che a distanza di anni, si sia verificato proprio quello che avevano tanto abilmente previsto? Mah!»

«O, più semplicemente, hanno fatto in modo che ciò accadesse. In fondo se hanno architettato un disegno, lo hanno potuto anche abilmente gestire, sapendo quali fili muovere e quali no. Non credi, Marcello?»

«No, non credo. Nelle dinamiche di coppie non vi possono essere previsioni. Piuttosto immagino che abbiano atteso il momento giusto. In fondo i due personaggi, Frank e Mafalda intendo, erano molto chiacchierati in paese. Era una coppia che faceva invidia a molti: lui bello, attraente, lei una donna facoltosa e ben tenuta, grazie anche alla chirurgia plastica! Alla luce dei fatti, credo che due caratteri ‘alfa’ difficilmente possano incastrarsi. Credo sia andata proprio così…»

Il ragionamento dei due venne interrotto, nel frattempo, dall’orologio del campanile in piazza che scandiva, indisturbato, undici rintocchi e mezzo.

«Ma sono già trascorse due ore?»

«A fare Sherlock Holmes e il dottor Watson il tempo vola!»

«Sono davvero senza parole, Marcello Sherlock Holmes», disse divertito Arturo che tornò presto serio e afflitto.

«Mi spiace davvero tanto per quel ragazzo, davvero tanto.»

«I fatti nascondono l’inganno. Adesso posso confessartelo, amico mio. Ho letto le carte. Devi sapere che l’avvocata che difende il ragazzo, è stata una mia egregia tirocinante, oggi valido avvocato, che però, da quando ha avuto mandato a intervenire, e cioè, fammi ricordare con precisione», si fermo a riflettere, «e cioè… ah ecco, esattamente da dicembre 2020, venne da me per sottopormi la questione.»

«Ma queste sono cose da pazzi! … quando si dice la “coincidenza.», rispose Arturo.

«E infatti! Senti qua… un pomeriggio, poco prima del periodo natalizio del 2020, ero davanti al caminetto, a casa, a fumare la mia pipa, e leggevo il giornale, essendo rientrato da poco dai mercatini di Natale. Me lo ricordo come fosse ieri… una giornata meravigliosa!»

Sorrise emozionato Marcello, inseguendo un suo ricordo.

«Quel pomeriggio, come ti dicevo, squillò il mio cellulare e con molto piacere risposi alla mia ex allieva e tirocinante, la quale, dopo i soliti convenevoli, mi chiese una consulenza “per un caso delicato ma estremamente intricato, che mi sta particolarmente a cuore, avvocato, e non solo professionalmente parlando”. Queste furono le sue testuali parole.»

«Ovviamente le diedi appuntamento la mattina seguente. Quando l’indomani mi raggiunse», proseguì Marcello, «mi espose tutti i fatti, per filo e per segno, portandomi tutta la documentazione inerente: l’atto di compravendita del 2014 con la scrittura privata e la procura speciale.»

Prese fiato e continuò, «l’atto di compravendita del 2016, quello firmato dall’Avvocato e Procuratore Cerza, tutti i fascicoli della causa. Insomma, tutto»

I due amici erano talmente immersi nella loro conversazione, che solo in quel momento si resero conto che tutti i tavolini della piazza erano pieni.

Ciò non servì a interrompere il loro racconto. E Arturo infatti chiese: «E il giorno del secondo atto, quello del 2016, Frank dov’era?»

«Era rientrato dal Canada definitivamente un paio di giorni prima del fattaccio, inconsapevole e ignaro di tutto quello che sarebbe successo di lì a 48 ore», rispose Marcello, che continuò.

«Quando tornò in Italia, una volta giunto in paese, si fermò giustamente a casa dei genitori e, dopo qualche giorno, si sistemò nella casa nel vicolo, sempre ignaro di tutto.»

«Quindi il ragazzo tornò dopo la rottura con La Cornacchia, e si sistemo nella sua casa?»

«Certo!», ribadì Marcello. «Come poteva anche solo sospettare una sventura del genere?»

«Ma allora, caro Marcello, il ragazzo tornò in Italia, afflitto e sconsolato, senza niente, perché in Canada non lavorava, o meglio non l’aveva fatto lavorare, va per sistemarsi nella sua casa, che pensava fosse l’unica cosa rimastagli, per scoprire poi che non era neanche più la sua?»

«Esatto!»

«E il signor procuratore, perché non l’aveva informato dei fatti? Possibile che a Frank non fu detto niente né prima né dopo la vendita della sua casa? Ma siamo impazziti!»

«Esatto, Arturo. Proprio lui, il procuratore, gliela aveva venduta a sua insaputa, aveva incassato la somma», precisò Marcello, «e senza informare Frank dei fatti. La cosa assurda fu che neanche la famiglia avvisò Frank. Lo zio sapeva, sapeva tutto».

Arturo rimase basito.

«Frank si sistemò in casa e vi rimase lì da solo per diverso tempo, fino a quando poi non conobbe la sua attuale compagna, che, udite udite, è la migliore amica dell’avvocata che sta seguendo il caso, e che è la mia ex allieva.»

Arturo sbarrò gli occhi.

«Anzi, – continuò Marcello- fu proprio la compagna di Frank a chiamare l’amica avvocato quando si rese perfettamente conto che la faccenda puzzava di bruciato.»

«Il processo risale al 2017, se non erro», disse Arturo.

«Sì.  L’iter giudiziario stava filando liscio come l’olio, perché Frank, sempre su consiglio del Cerza, non si era mai costituito parte in causa. Quindi il ragazzo non era rappresentato praticamente da nessuno.»

«Frank venne a conoscenza della vendita, a distanza di mesi, perché La Cornacchia, dal Canada, cominciò a mandargli messaggi su Whatsapp, dove gli scrisse che la casa era stata venduta, che lui non era più proprietario, e che lo avrebbe portato in tribunale …gli scrisse: see you in court! E questo lo so, caro amico mio, perché nella documentazione della mia preparatissima e precisa allieva, vi erano tutte le conversazioni di messaggi, email, whatsapp e pec! Insomma, da quel momento in poi per il giovane ragazzo iniziò un periodo senza pace, che ancora oggi, purtroppo, continua!»

«Oh mio Dio! Un incubo!

 «Fu allora che Frank andò su tutte le furie, cominciarono giorni d’inferno, in cui si precipitò a chiedere spiegazioni a tutti: allo zio, alla famiglia, allo stesso avvocato-procuratore, dal quale si presentò di persona, accompagnato dallo zio per avere chiarimenti. Lo so perché i particolari me li ha riportati la mia ex allieva. Nessuno parlava»

«E lui? Come si è giustificato quella faccia di corno, dopo aver venduto la casa e aver fatto i giochi della canadese?»

«Lui, il “gran signore togato”? Con serafica eleganza, temendo il peggio, forse, cominciò a tranquillizzare il giovane invitandolo a stare calmo, a non muovere un dito e a rimanere in casa. Disse che poteva stare tranquillo, che stava provvedendo a tutto lui, che quell’atto non significava nulla e che avrebbe sistemato tutto lui.»

«Stai scherzando?»

«Assolutamente no, Arturo, quello gli disse addirittura di non uscire dalla casa, di non preoccuparsi e di non muoversi da lì, perché lei non avrebbe potuto fare nulla. Ti dirò di più, gli consigliò di cambiare anche la serratura della porta! E quel povero ragazzo così fece, anzi so addirittura che la spesa la sostenne Vicki, poiché in quel periodo aveva un po’ di difficoltà economiche!»

«E la famiglia di Frank?»

«Questo è un mistero, caro Arturo, non ha mai fatto nulla. Anzi, gli diceva di fidarsi Cerza, che non poteva assolutamente avere dubbi, era amico fraterno dello zio, doveva stare tranquillo.»

«E si è visto.», rispose Arturo.

Pensieroso Marcello infilò la mano destra nella tasca a destra della giacca, e tirò fuori la sua pipa finemente lavorata in legno di palissandro, che emanò all’istante un lieve e gradevole profumo d’Amphora con lievi note fruttate. Con gesto elegante l’accese e aspirò dal bocchino.

«A questo punto, caro Arturo, la storia si infittisce di sotterfugi, inganni, fraintendimenti, al punto che ancora oggi non se ne viene a capo.»

«Perché ancora non è finita, vero?»

«E sì, ancora non è finita». Aspirò. «Ci sono ancora molti lati oscuri da chiarire.»

«Per esempio? Hai scoperto nuovi fatti?»

«Dalla documentazione che la mia ex allieva mi ha sottoposto, vi è il bonifico che risale proprio al 2016, un documento di estrema importanza, ed è per questo motivo che ti prego di avere il massimo riserbo.»

«Una tomba, caro amico.»

«Lo so, lo so», replicò Marcello pensieroso, dando un paio di colpetti affettuosi sulla gamba dell’amico, di cui sapeva di potersi fidare.

«Il bonifico», continuò, «fu eseguito due giorni prima dell’atto di compravendita del 2016, due giorni prima, capisci», ripete’ serio, «ma non mi spiego perché non venne richiamato nell’atto di compravendita specificando le modalità di pagamento.»

«Scusami, Marcello, ma stai parlando del bonifico della metà della somma che spettava al ragazzo?»

«Esatto. La signora effettuò il bonifico nel 2016, esattamente due giorni prima dell’atto di compravendita, ma non venne richiamato nell’atto, e fu eseguito da banca canadese e versato su un conto in Repubblica Ceca intestato direttamente a Cerza e ciò altrettanto strano, non recava alcuna causale.»

«E la somma di denaro versata?»

«Corrisponde esattamente alla metà dell’intero importo di acquisto dell’immobile. Quella che doveva essere incassata da Frank.»

«Vale a dire che la somma versata con bonifico era quella della vendita della casa, che il procuratore avrebbe dovuto incassare, ma non detenere, e quindi riconoscerla al ragazzo?»

«… che sta ancora aspettando!»

«Ma la situazione adesso qual è?»

«Te la faccio breve, perché parlando parlando, si sono fatte le dodici, e io devo rientrare.»

«Certo, anche io… però adesso dimmi dimmi.»

«Nel 2017 lei fece causa all’avvocato Cerza, che fu citato in giudizio. Di riflesso anche Frank fu chiamato in causa, era il novembre del 2017, ma per quattro anni non venne mai informato dei fatti. Anzi, la versione ufficiale era sempre la stessa: che doveva stare tranquillo perché stava pensando a tutto Cerza, che non doveva assolutamente costituirsi in giudizio e che non doveva abbandonare la casa per nessun motivo.  E in effetti in apparenza era così. Per reggere il gioco Cerza gli mise degli avvocati di facciata, diciamo, favori tra ‘colleghi’.»

«E così si andò avanti per quattro anni, tra udienze, rinvii, deboli e presunte difese, insomma la vicenda legale è andata avanti in qualche modo indisturbata mentre Cerza ha avuto di fatto campo libero per destreggiarsi come meglio potesse fare»

«E il ragazzo non si era informato? Non aveva dei sospetti?» chiese anche un po’ meravigliato l’amico Arturo, che aveva preso molto a cuore le sorti del giovane.

«Gli veniva continuamente riferito che non aveva motivo di preoccuparsi! Si era creata un’ampolla di vetro intorno alla faccenda e Cerza, dal canto suo, procedeva per sé e a discapito di Frank. Sai, Arturo, sono dinamiche a volte anche familiari. Sei portato a fidarti delle persone che sono di famiglia o che orbitano intorno alla famiglia, sei portato a non mettere nulla in discussione. Benedetta Famiglia. Pensi sia sacra e metterne in dubbio i valori sembrerebbe sacrilegio. Ma le cose non sono ovviamente sempre così, e infatti molti aspetti erano poco chiari comunque, sia a Frank che a Vicki. Questa poverina», continuò, «per cinque anni ha patito ingiurie, nervosismi, maldicenze, contrasti, litigi, al punto che più volte ci sono stati diverbi interni alla coppia.»

«E ci credo.»

«Ormai, e questo me lo ha confidato l’amica avvocato, la povera Vicki si era sobbarcata di un carico di stress, al punto che più volte dovette allontanarsi da lui e dalla casa, tanto era diventata irrespirabile l’aria. In casa non c’era più pace, Frank dava spesso di matto in preda a un esaurimento nervoso.»

«La vita ti riserva veramente delle difficili prove, Marcello.»

«È vero. Ma ti posso garantire che, in una situazione del genere, in cui sei preso in giro e sei ingannato da chi ti fidi, mantenere la calma è un miracolo.»

«E adesso?»

«Dopo le udienze degli ultimi due anni, purtroppo non vi sono stati progressi. Giorni fa ho sentito la mia ex allieva molto sconfortata ma estremamente convinta ad andare avanti nella difesa! Ha preso la questione a cuore, e non solo per affetto e amicizia. Ha un’etica professionale che le fa onore. Vuole giustizia.»

«E giustizia deve essere fatta! Io so che il ragazzo rischia lo sfratto. Ma è vero?»

«I fatti sono questi, mio caro Arturo. A luglio 2021 ci fu l’ultima udienza. In tribunale si presentò anche la canadese con il suo avvocato toscano. Il giudice dopo un mese emise l’ordinanza, riconoscendo la casa alla canadese e condannando Frank ad abbandonare l’immobile. Andarono avanti diversi tentativi, ma “nulla di fatto”. Dopo due ordinanze di sfratto, la terza è diventata esecutiva lo scorso luglio. Frank e Vicki dovranno lasciare la casa. Adesso pare sia in corso una serie di azioni contro entrambi, perché o la casa o i soldi Frank dovrà pur averli! Speriamo bene»

«Giuro che alla Messa di oggi pomeriggio, con mia moglie pregherò’ per questo povero ragazzo e per la sua compagna, affinché giustizia sia fatta! Non si può essere ingannati così!»

«Sei un brav’uomo, Arturo, ed è per questo che ti ammiro e che mi sento fortunato ad averti come mio amico. Sei e sarai sempre un conforto per me.»

«Amico mio, lo stesso vale per me.»

«Lo sai una cosa, Arturo?  Me ne vado a cuor leggero, perché parlarne con te mi ha liberato di un peso e di un pensiero. Il tuo appoggio mi ha confortato. Buon pranzo e buona domenica. Saluta Marta.»

«Certo, grazie. Ci vediamo in settimana, un abbraccio a tutti in famiglia!»

«Sarà fatto!»

I due amici si salutarono con un energico abbraccio e guardandosi negli occhi, sorridenti e lucidi di intima commozione, si intesero dandosi una pacca sulla spalla a vicenda.

Trascorsero diversi giorni e i due vecchi amici si incontrarono di nuovo, ma questa volta a casa di Marcello che aveva insistito che l’amico lo raggiungesse per mostrargli nuova documentazione.

Si trattava dell’esito, anch’esso negativo, delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza a seguito della diffida depositata da Frank alla Procura della Repubblica diversi mesi prima.

Arturo uscì di casa verso le quindici di un caldo pomeriggio autunnale, con l’animo pronto ad accogliere tutte le emozioni che lo avrebbero colpito. Sapeva che sarebbe successo. E con un sospiro si avviò a piedi verso la casa dell’amico.

Il viale alberato che dalla strada principale conduceva all’antica dimora nobiliare della famiglia Cretazzo, creava un leggero imbarazzo in chi lo attraversava e preludeva all’antico fasto degli ampi ambienti di palazzo. Il variopinto vortice creato dalla miriade di colorate e leggere foglie autunnali che giacevano sul viale, sembrava accompagnare, come una danza di benvenuto, il passaggio dell’amico Arturo, affascinato da quel sontuoso nartece formato dagli alberi ad alto fusto prima dell’ingresso. Era come lo attraversasse per la prima volta. Il portone in massiccio castagno intagliato, era appena socchiuso e troneggiava al centro della chiara pietra di travertino che lo incastonava e incorniciava tra eleganti lesene. Insomma, per Arturo come sempre il solo attraversare quel viale e raggiungere quell’imponente dimora, lo riempiva di sommo piacere al punto da sentirsi un privilegiato a varcare quei privati e nobili luoghi.

Marcello Cretazzo intanto sedeva sulla sua poltrona in velluto giallo ocra e legno intagliato, immerso nella lettura del documento che avrebbe mostrato all’amico, con la testa bassa, gli occhiali sulla punta del naso, le ciabatte di velluto a coste e la vestaglia da casa in seta color tabacco che lo avvolgeva morbida e profumata.

Fu così che Arturo, che sapeva di essere atteso e che conosceva perfettamente la strada, si introdusse seraficamente nel vano ingresso, dove lo sorprese, come sempre, l’impatto dello scalone in marmo che si avvolgeva sul lato destro della casa, e che conduceva alle eleganti stanze del piano notte, attraverso il ballatoio sospeso al piano superiore, dal quale si affacciò, abbaiando tra la balaustra in ferro battuto, Micio’, l’impertinente e simpatico volpino bianco che ad ogni piccolo rumore sospettoso si intrufolava dappertutto. Alla vista di Arturo, dall’alto del ballatoio, si precipitò giù per lo scalone, saltellando allegramente per ricevere l’amico di famiglia.

Preceduto cosi da Micio’, che fece gli onori di casa, Arturo si avviò nel salone dove Marcello lo attendeva davanti la maestosa mostra di camino che campeggiava nella sontuosa stanza, resa ancora più accogliente dall’aurea dorata del fuoco che proiettava lunghe ombre sul lucido parquet di rovere.

«Sei sempre stato il preferito di Micio’. Le feste che riserva a te non le ha mai nemmeno riservate a me» – borbottò simpaticamente Marcello all’avvicinarsi dell’amico e del cagnetto.

«Guarda che ti ho sentito, e anche Micio’… che se ne intende in quanto a gusti … umani!»

Risero entrambi mentre, lanciandosi il solito sguardo d’intesa, Marcello invitava con un cenno di mano, l’amico ad accomodarsi sulla poltrona di fronte. E Arturo, sedendosi, notò che alla sua sinistra vi era un’altra comoda poltrona, di velluto rosso, che sembrava in attesa di essere occupata.

E infatti «Aspettiamo qualcuno amico mio?» chiese.

«Una sorpresa mio caro, una piacevole sorpresa. Vedi, mi sono preso la libertà in questi ultimi giorni di rivedere tutta la documentazione che la mia ex allieva ha prodotto, e con grande dispiacere ho notato che ha commesso un grave errore, dovuto forse a dimenticanza, negligenza, distrazione? Non so! ma un avvocato non può, non deve, avere nessuna défaillance. È un modus operandi cui tengo tantissimo e che ho sempre trasferito e preteso dai miei allievi.»

Le parole di Marcello risuonarono incisive.

«Lo scorso anno», riprese, «come ti dicevo, ci fu udienza, a seguito della quale il giudice, senza tenere conto dei documenti prodotti dalla mia ex praticante e il suo collega, sentenziò a sfavore di Frank. In realtà», si corresse, «si tratto di un’ordinanza.»

Dopo una breve pausa, continuò.

«Vedi Arturo, un fascicolo di oltre cento pagine in cui i due avvocati di Frank hanno egregiamente riportato per filo e per segno tutte le anomalie del caso, non fu preso in nessuna considerazione dal giudice.»

Poi cominciò a rigirare nervosamente i documenti che aveva in mano e aggiunse: «Per impugnare l’ordinanza del giudice e procedere con opposizione in appello, si sarebbe dovuti intervenire entro i trenta giorni successivi. Non mi spiego perché da luglio, gli avvocati di Frank si siano mossi solo il febbraio successivo, ovvero sette mesi dopo. Mi chiedo: possibile non accorgersi di una pec di tale importanza?»

La domanda sembrò perentoria al punto che Arturo ne avvertì tutto il peso e chiese: «Dubiti di qualcosa?»

I due tacquero.

Poi Marcello parlò.

«Mi sono permesso di invitare la persona che ha seguito l’intera vicenda al fianco di Frank, Vicki Battaglia.»

«La giornalista Vicki Battaglia?» chiese Arturo, «la compagna di Frank. Sarà un vero piacere conoscerla».

E, dopo una breve pausa, riprese chiedendo: «Ma come mai?»

«Per conoscere i fatti. Per avere la sua versione. Ho avuto il contatto dalla mia allieva, che è appunto sua amica, oltre che legale. È stata molto cortese al telefono. Ha accettato l’invito senza esitare.»

«Cos’hai in mente? Se l’hai interpellata un motivo c’è», chiese Arturo.

«Sarò sincero e schietto. Non sopporto l’idea che siano commessi errori in una vicenda legale. Il fatto che la mia allieva l’abbia fatto, mi fa dubitare che non si tratti di negligenza o sbadataggine. E poi, la verità’? Perdere casa e soldi. Troppo strano. È evidente che l’emerito Cerza centri molto più di quello che sembra.»

Poi continuò.

«Chiederò alla Battaglia di pubblicare la storia, di servirsi della sua penna per prendersi una piccolissima rivincita, visto che non hanno potuto godere della giustizia. Sarò felice di guidarla, di suggerirle i passaggi tecnici, la metodologia di approccio e il linguaggio appropriato, si sa che nel trattare una materia giuridica questi aspetti e questo supporto potrebbero risultare indispensabili. Le dirò di non aspettarsi nulla, ma di combattere per questa giusta causa, e di farlo con l’arma che possiede: la scrittura.»

In quel preciso istante Miciò sobbalzò al suono del campanello. Si sentirono dei passi e lo scricchiolio del portone che veniva aperto.

Fu allora che si udirono le parole, «Buonasera, sono Vicki Battaglia, sono attesa dall’avvocato Cretazzo».

Marcello a quel punto alzandosi, seguito da Arturo e Miciò chiese garbatamente a Dorina di farla accomodare.

Il caschetto biondo oro incorniciava un viso ovale che sprigionava tanta solarità. Gli occhioni neri si illuminarono di gioia mentre si avvicinava ai due distinti amici che l’attendevano in piedi.

«Grazie per aver accettato il nostro invito».

Fu Marcello a parlare facendo gli onori di casa e lasciando da subito intendere, nell’utilizzo del plurale, l’invito corale.

«Non avrei mai potuto declinare la vostra graditissima richiesta.»

Seguirono le presentazioni, ad Arturo e a Miciò, che nel frattempo si era riposizionato in grembo all’amato padrone.

La conversazione cominciò tra i classici convenevoli, tra domande e risposte in un dialogo garbato che presto divenne confidenziale e ricco di particolari.

Vicki Battaglia ebbe la sensazione, da subito, di dover rispondere a un impegno serio e improcrastinabile. Era di fronte e di fianco a due uomini per bene, che la ascoltavano in silenzio e con attenzione mentre riepilogava i fatti di cinque lunghi anni.

La delicatezza e il rispetto di Vicki nell’affrontare l’argomento risaltarono immediatamente ai due amici. Nelle sue parole vi era un rispettoso riguardo nel parlare di Mafalda La Cornacchia e di Leonida Maria Cerza, nonostante il terribile danno arrecato a lei e a Frank.

«Vedete», confessò Vicki, «trovarsi in certe situazioni può indurre facilmente ad assumere un atteggiamento di astio e di vendetta nei confronti di chi ti ha reso un torto simile. Sin dall’inizio abbiamo avuto l’impressione che la faccenda fosse torbida, e difatti lo è. Ho letto e riletto tutti gli atti, le anomalie sono evidenti anche a me che non sono un avvocato.»

«Ma forse un avvocato mancato!», irruppe Arturo, che ebbe subito il consenso di Marcello.

«Mi lusingate, mi sarebbe piaciuto diventarlo. Ma mi domando, perché non trattare direttamente la questione con Frank ab origine

Si fermò ad osservare i suoi due interlocutori poi continuò.

«Voglio dire, perché non recarsi dal notaio direttamente con Frank e procedere all’atto di compravendita. Frank non avrebbe certo opposto resistenza, in fondo non ha mai dimostrato attaccamento per quella casa.»

Era sicura di quello che affermava al punto che aggiunse con fermezza: “Conosco Frank e quanto sia importante per lui stare lontano dai guai. Ama la chiarezza, la sincerità e la linearità. Mafalda avrebbe dovuto recarsi con Frank dal notaio, eseguire l’atto di compravendita, riconoscergli la metà della vendita, come da accordi, e porre fine a quel capitolo in maniera onesta e civile, senza inganni, sotterfugi e vendette. In questo modo si sarebbero evitati procuratori, bonifici anomali, e ogni altro tipo di complicazione. Non credete?»

La domanda riecheggiò nel silenzio del sontuoso salone, mentre il crepitio del camino faceva da sottofondo.

Fu evidente ai due amici che cinque anni di iter legale, con tutte le problematiche e i disagi che questo comportava, avevano procurato molti disagi alla giovane coppia, che ne usciva provata. Cambiavano all’evidenza i profili di tutti i protagonisti.

Fu Arturo a rompere il silenzio.

«Riconosco che, alla luce dei fatti, Mafalda non mi appare più come la bella e onesta donna che vive in Canada, di origini italiane, che si innamora del giovane Frank e lo conduce con sé in Canada per creare insieme una vita e costruire un sano rapporto d’amore e fiducia. Da quello che apprendo oggi, lei era non solo molto gelosa e per questo preoccupata di perdere Frank, ma anche litigiosa, presuntuosa e dispettosa. La sua probabilmente, mania di riavere la casa qui in paese, è stata dettata solo da un capriccio e dal dispetto, atteggiamento di megalomania e di delirio di onnipotenza.»

«Dove di onnipotenza vi è ben poco!» rispose Marcello.

Risero garbatamente tutti e tre guardandosi in faccia.

«Per non parlare di Cerza. Il sedicente uomo di legge che ha fregato tutti sotto la luce del sole!»

Arturo proferì quest’ultima frase con disgusto.

«Posso soltanto dire che non è stato facile e non sarà facile affrontare questo ulteriore prova!» confessò a sguardo basso Vicki.

«Sono molto preoccupata per Frank, il suo umore è a pezzi. Ha perso ogni speranza. La sua malattia non potrà certo trovare giovamento da tutto ciò, anzi. Bisogna monitorarla costantemente.»

«Malattia!?» domandò Arturo.

«Franck soffre di diabete giovanile da venticinque anni», aggiunse Vicki. «Non può’ subire nervosismi, sbalzi di umore né tantomeno abbattersi o deprimersi. In questo periodo siamo stati continuamente tra medici e ospedali, visite, controlli, analisi mediche e accertamenti. Insomma. In casa l’aria è spesso irrespirabile. A causa dei continui malumori anche il nostro rapporto sta subendo gravi ripercussioni».

Fece una pausa mentre i due amici rimasero, in silenzio anch’essi, a osservarla.

«Tutta questa faccenda», riprese, «ha cambiato profondamente le nostre vite, ne ha deviato irrimediabilmente il corso.»

«Mia cara Vicki», intervenne in tono autoritario Marcello.

«Ti ho chiamata qui per conoscerti, per sentirti raccontare, e mi rendo conto di quanta sofferenza c’è dietro le tue parole. Non sai quanto dispiacere nell’apprendere le difficoltà che state affrontando e posso solo immaginare, da uomo, da genitore e da avvocato, i disagi, il peso dell’ingiustizia e la condanna di una discriminazione dei potenti.»

Il suo sguardo era fisso nello sguardo di Vicki e si fece ancora più intenso quando, prendendole le mani, le replico ‘ con tono fermo ma paterno:

«Scrivi, mia cara. È in tuo potere. È l’unica arma che hai. Falla valere. Devi riportare tutto in un libro, in un racconto, in un articolo. Scrivi!»

Vicki rimase catalizzata da quello sguardo così magnetico e stringendo le mani nodose ma delicate di quell’uomo così affascinante, e che ora le era anche stranamente familiare, pronunciò con fermezza: «Lo faccio. Lo prometto, lo faccio».

EPILOGO

Molte questioni rimanevano aperte. Vicki ci pensava continuamente ed era ossessionata da quella donna che con fare disinvolto conduceva la sua vita oltreoceano indisturbata e serafica. Perché non aveva venduto la casa direttamente a Frank? Perché tramare alle sue spalle e vendere la casa con il procuratore se Frank era in Italia? Perché Cerza si era prestato ai giochi e incassato i 55 mila euro senza mai riconoscerli a Frank? Perché la Famiglia di Frank non si è mai recata da Cerza a chiedere spiegazioni e rivendicare quei soldi?

Cosa si celava dietro tutto questo? Cosa spingeva la famiglia a non pretendere spiegazioni da Cerza, a tacere, a fare finta di niente? Perché avevano atteso tutti che la casa tornasse alla canadese? Questi e altri mille interrogativi occupavano la mente di Vichi.

Da sola davanti la sua Olivetti M40 scriveva ininterrottamente passando nella mente tutti i fatti, le ore, i minuti, di quelle giornate furiose e ogni istante le era stampato nella mente. Scriveva, scriveva e scriveva mentre le pagine si riempivano di inchiostro nero. L’amicizia di Marcello e Arturo le aveva lasciato un marchio profondo. Da quel momento stava costruendo la sua rete di affetti nuovi e solidi con due persone legate da profonda amicizia. Questo adesso le importava. E questa era la strada da seguire.

©Riproduzione riservata

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