LE PORTE DI DEDALO – Successo ad Avellino

La manifestazione Le Porte di Dedalo ad Avellino ha squarciato il silenzio del tempo. Molti gli interventi di studiosi di storia e di arte che hanno portato il loro prezioso contributo all’iniziativa dei giovani di Social District, nella sezione dedicata appunto alla Cultura in Piazza. Mentre diverse iniziative si sono intersecate con questa nelle vie del centro storico del capoluogo irpino per una due giorni ricca di enogastronomia, arte, musica, animazione e visite guidate. La città storica ha ripreso vita respirando un’aria di partecipazione civica tanto auspicata dagli intellettuali locali. Tutto però parte sempre da loro: i giovani cittadini impegnati che hanno di fronte il futuro. Un futuro che vogliono migliore del presente per la loro città.

WWWITALIA ha preso parte, a fianco di questi ragazzi, ad alcuni di questi momenti culturali, di cui vogliamo condividere degli stralci significativi.

Abbiamo incontrato l’architetto Pino Bartoli, che è uno dei membri di www.avellinesi.it, un sito web che raccoglie una quantità considerevole di testimonianze storiche, tra foto e documenti, della città di Avellino.

Inoltre, è un docente di storia dell’arte al liceo che trasmette la sua passione per la storia e l’architettura ai suoi allievi. Nel contesto della manifestazione in questione, Bartoli ha affrontato l’antico concetto del Genius Loci nell’ottica della realtà storica avellinese. Il suo discorso è partito dalla considerazione che riguarda l’affetto che si prova per il luogo in cui si è nati e in cui si è cresciuti. Il Genius Loci è sia un luogo fisico che spirituale, e per i romani era un dio. Proprio nell’impero romano c’erano persone scelte a individuare il luogo dove collocare il Genius Loci di una futura città da fondare. Ma di cosa si tratta? In poche parole è ciò che dà il volto ad una città, come il Colosseo di Roma, la torre Eiffel a Parigi, o gli skyline nelle moderne metropoli. Ecco, a proposito di questi ultimi, la questione è più complessa, perché gli skyline hanno un profilo standardizzato, quindi, in questo caso il Genius Loci rappresenta più la metropoli in generale che una metropoli nello specifico. Tuttavia, questo elemento è capace di rievocare tutta una serie di emozioni e ricordi nella mente di un uomo che è vissuto all’ombra del Genius Loci della propria città. Nel caso di Avellino, per molti, ciò è rappresentato dalla Dogana, un edificio del Seicento ormai in decadenza. Ma il concetto si estende anche a quei luoghi intimi, come un giardino, un’abitazione, un paesaggio particolare che rievocano determinati sentimenti in una persona. Nel corso del colloquio Il discorso si è spostato sul problema dell’incuria e della urbanizzazione selvaggia, che ha portato a trasformare una città semplice ed elegante come Avellino in un luogo pieno di mostri dell’edilizia e di quartieri orrendi. I problemi sono sorti, principalmente, con il terribile terremoto che colpì l’Irpinia nell’80. Dopo questa calamità naturale sono caduti o sono stati abbattuti i palazzi storici e sono sorti nuovi quartieri che di elegante non hanno nulla. Un altro luogo malmesso è il castello di Avellino, una antica fortezza smantellata dagli stessi Caracciolo (famiglia con un ruolo chiave nella storia avellinese) secoli fa. Ora non resta quasi nulla e i tentativi di recupero dell’area hanno portato ad una situazione di stallo con un cantiere fermo, bloccando la viabilità nella zona antistante il civico cittadino, Teatro Gesualdo. In definitiva, l’architetto Bartoli spiega che i giovani possono migliorare la situazione, ma devono partire innanzitutto dalla pulizia della città, come primo requisito di civiltà.

Lo storico Armando Montefusco, invece, ha raccontato la storia di una realtà meridionale di cui si conosce ancora poco: quella industriale. “Molti pensano che quella di Avellino fosse un’economia agricola”  ha affermato lo storico, che a suo carico ha parecchie pubblicazioni sulle origini della città e sul suo sviluppo urbanistico nei secoli. “Non è affatto così, perché già nel Cinquecento la città aveva una vocazione industriale. Già dal Mille la rete idrica del bacino avellinese, seppure non ricca in corsi d’acqua né in portata, è stata regimentata con il sistema della ‘palate’ (canali)  in modo da convogliare l’acqua ad una serie di mulini che ne sfruttarono l’energia per i secoli successivi, grazie alla naturale e costante pendenza del percorso che unisce il territorio di Monteforte Irpino (nell’area detta all’epoca Plaiora) con l’area di Pianodardine, ai confini con Atripalda”. Lo studioso, rispondendo alle nostre domande  e a quelle del  pubblico, ha anche mostrato la tavola da lui costruita della planimetria dello sviluppo di detti canali. L’industria molitoria serviva, oltre alla macinazione del grano, proveniente dalle Puglie e destinato alla capitale del Regno di Napoli, anche alle gualchiere (lavorazione della lana), tintiere, cartiere , infine, ferriere, nel ‘600. Anche il sistema di macinazione era all’avanguardia già nel Medioevo, essendo affidato alla gestione di più utilizzatori, che si dividevano uso e manutenzione partecipando in mesi di uso dei mulini, paragonabili alle moderne azioni societarie. “I Caracciolo, che governarono la città per tre secoli, fecero tesoro – ha raccontato Montefusco- della grande quantità di provvedimenti e opere messe in campo nel Cinquecento dalla duchessa spagnola Maria de Cardona, donna di eccezionale talento”. Anche il piano ferroviario dei Borbone, a detta dello storico, avrebbe incluso Avellino, mettendola al centro del sistema di comunicazione della Campania con la Puglia, ma l’Unità d’Italia sottrasse Benevento al controllo papalino e la costruzione della rete ferroviaria seguì la via più favorevole, che ovviamente passa per Benevento, escludendo definitivamente da questo progetto la città irpina.

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Dagli incontri che Social District ha distribuito in diverse location del centro storico, dando al pubblico la possibilità di spostarsi tra un intervento e l’altro e di visitare la città riflettendo sui temi trattati dagli esperti, è venuto fuori che sono in molti a volere riappropriarsi della loro città, partendo dalla storia, recuperando quei luoghi una volta adibiti all’incontro e alla condivisione, al confronto e alla protesta quali erano le piazze.

Soddisfatti gli organizzatori tra i quali Carmen Siniscalco, Antonio Chiummo e Carmine Venezia, che si sono spesi, tra le tante difficoltà incontrate per creare l’evento, per amore della loro città.

                                                                       A cura di Eleonora Davide e Flavio Uccello

 

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