Uno strano viaggio tra nuvole e stormi di uccelli di Angela Lonardo

Vi presentiamo, per iniziare al meglio la settimana che ci attende, il simpatico racconto di un fantastico e rocambolesco viaggio. Buona lettura!

In famiglia ci chiediamo, da un po’, come mai le lettere non arrivano quasi più. E certo! Perché, adesso, si usano le mail. A questo proposito, mio zio, da autentico napoletano, dopo aver profondamente riflettuto, ha esclamato: «Se è pe’ questo, insieme alle mele, si potessero usa’ pure purtuàlli (arance), mandarini e banane. Una curiosità, però, me la dovete togliere: ma che ci azzecca (cosa c’entra) ‘sta frutta con le lettere.» Piuttosto, ci sarebbe da chiedersi quanto impiega, oggi, una missiva per arrivare a destinazione. Secondo me, ci mette una vita! Pensate che un mio vicino di casa, poco tempo fa, ha ricevuto il bollettino per il pagamento del canone TV con la somma già scritta sopra: 15.000. Il pover’uomo stava per avere un malore pensando di dover sborsare 15.000 euro in un sol colpo. Assolutamente no! Quella era la bolletta di 15.000 lire che avrebbe dovuto pagare il suo bisnonno nel lontano 1954. Così si è spiegato come mai, al bisnonno del mio vicino di casa, sessantaquattro anni fa, sequestrarono il televisore. L’Azienda che ha il compito di recapitare la posta, ritenendosi responsabile di così scandalosi ritardi, ha assunto, di recente, centinaia di postini cimiteriali. Infatti, la corrispondenza ci impiega talmente tanto ad arrivare, che molti dei destinatari, quando l’agognata lettera giunge a destinazione, sono già belli e trapassati. Da tempo, sui loculi si usa mettere l’indirizzo da vivo del defunto, mentre, per ricevere la risposta da un trapassato… basta chiamare un medium. Per ovviare ai ritardi, il Ministero per lo Sviluppo Economico avrebbe seriamente valutato l’idea di ingaggiare uno stormo di piccioni viaggiatori, appositamente addestrati per il recapito della corrispondenza. Avendo, però, il Ministro responsabile, tale Vespasiano Libero, ricevuto addosso litri e litri di escrementi da un branco di questi simpatici volatili, ha fatto retromarcia chiedendo al Presidente del Consiglio di trasferire immediatamente il malcapitato in un altro dicastero. Rivalutando, in seguito, l’opportunità, si è messo in contatto con il responsabile di un progetto danese denominato “Pigeon D’Or” (letteralmente, “Il piccione d’oro”) che ha come obiettivo quello di mettere a punto uno speciale batterio che, somministrato ai piccioni, tramite i loro processi digestivi, trasformerebbe il cibo da loro ingerito non in comuni escrementi, ma in sapone. L’idea, che in Italia avrebbe ricevuto mitragliate di sberleffi, fischi e pernacchi, pare che, nel nord Europa, abbia ricevuto il supporto del Ministero belga della Cultura e della Commissione Fiamminga per l’Architettura ed il Design. Comprendiamo il motivo per cui, tutti gli abitanti dell’Europa settentrionale, per precauzione, hanno smesso di lavarsi. Quando la più importante compagnia aerea italiana è fallita, l’Azienda che si occupa di recapito, ha acquistato, a basso costo, tutti gli aerei che avrebbero dovuto essere rottamati. I meccanici hanno fatto un’unzione con l’olio di semi (naturalmente, per risparmiare, si trattava di quello più scadente, peggiore dell’olio di palma, più puzzolente del durian, che odora come un mix di cipolla andata a male, acquaragia, uova scadute e calzini chiusi nelle scarpe da ginnastica per oltre una settimana), i carrozzieri hanno dato una verniciatina con gli acquerelli, gialli e bianchi per lo sfondo e blu per la scritta laterale, (e dobbiamo sperare che non piova, altrimenti si cancella tutto) poi, con l’assistenza del Padreterno, gli ex autisti dei furgoni, che si sono arrangiati a fare i piloti, gli hanno persino fatto prendere il volo. Un giorno, hanno sentito uno di questi aerei che, mentre cercava di sollevarsi da terra, ha cominciato a emettere strani rumori, avvertendo una flebile voce che sussurrava: «Ho l’affanno! Non ce la faccio a salire. Spingetemi, se no mi schianto.» È arrivato uno sconosciuto, completamente vestito di nero, che ha dato un’occhiatina tutt’intorno all’aereo, lo ha scrutato ben bene in tutta la sua lunghezza e larghezza, si è inginocchiato per tastargli la pancia e, alla fine dell’attenta ispezione, gli ha fatto una passata di olio, così delicata da sembrare una carezza. Si pensava fosse un altro tecnico, forse un esperto di meccanica e aerodinamica. Ma quando mai! Quello era il prete che, con l’olio santo, (avanzato dall’ultimo moribondo visitato) praticava un’estrema unzione al velivolo agonizzante! L’aereo, vista la mala parata, con le poche forze che gli restavano, ha cacciato dall’ala una bottiglietta di olio di ricino e se l’è bevuta tutta d’un fiato con un più che evidente intento suicida. Prima di bere pare abbia esclamato, stoicamente: «Meglio il ricino che la puzza del durian!» Solo che, dopo aver bevuto tutto il contenuto della bottiglietta, invece di schiattare, ha incominciato a emettere rumori ancora più strani. Tutti pensavano: “Sarà il motore che si è ripreso o, forse, è l’hostess che sta macinando il caffè.” Neanche per idea! Era la pancia dell’aereo che incominciava a rivoltarsi. Dopo cinque minuti… si è sentita una puzza spaventosa. Inspiegabilmente, l’aereo, come per miracolo, è riuscito a decollare. Unico problema: non aveva la forza di raggiungere le altezze solitamente toccate dai velivoli di linea, per cui si è accontentato di viaggiare a bassa quota (più di così non ce la poteva fare), sobbalzando per il solletico provocato dalla sommità di alberi e vette montane che gli sfioravano la pancia. La cosa bizzarra è stata che tutti, ma proprio tutti i bambini, che i passeggeri hanno avvistato durante il volo radente, puntavano l’indice in alto esclamando: «Mamma, guarda che strano palloncino. Lo voglio anch’io. Me lo compri?» e immancabilmente le mamme mollavano loro un ceffone urlando: «Ma è possibile che, con i pochi soldi che guadagna tuo padre, ti vuoi far comprare solo schifezze?» E avevano ragione i bambini che pensavano di vedere un palloncino.

Quando, in occasione dell’ostensione del 2015, ho deciso di visitare la Sacra Sindone, sono arrivata all’aeroporto di Capodichino e sono salita su uno di questi aerei in partenza per Torino, così rotondi da sembrare dei grossi bombi, (quelle vespe un po’ più grandi). Dopo varie peripezie, (tuffo dalla scala, perché la stessa era collocata a due metri di distanza dal portellone d’ingresso dell’aereo, dondolio ondulatorio-sussultorio del sedile, cintura di sicurezza attaccata col nastro adesivo, busta per il vomito già usata) l’aereo ha decollato tra cigolii e sbuffi del motore. Quando sono arrivata davanti alla Sacra Sindone, Gesù in persona mi è apparso e mi ha detto: «Cara sorella, per il viaggio di andata te la sei cavata proprio bene, ma adesso miracoli non ne posso più fare. Fammi il piacere: o prendi un aereo svizzero diretto a Napoli o, in alternativa, fattela a piedi, che vai più sicura. Vuol dire che il pellegrinaggio lo farai al ritorno.» Mentre decidevo sulla soluzione da adottare, mi è apparso Budda in tutta la sua maestosità. L’ho guardato, mi ha guardato e, quando ha notato l’amletico dubbio disegnato sul mio viso stupefatto, ha detto, con voce tonante: «Non guardare me che sono all’opposizione! Pacifica, ma sempre di opposizione si tratta. Se non ti può aiutare il massimo esponente della tua religione, figuriamoci io che posso fare!» ed è sparito, così com’era apparso, andandosi a nascondere nella lampada di Aladino. Ho pensato, a quel punto, che la cosa migliore fosse tornare a Napoli con le mie Nike taroccate d’incerta fabbricazione, (forse provenienti dalla Cina o, più verosimilmente, fabbricate a Forcella) calzini spaiati e buco in corrispondenza dell’alluce. Insomma, ho deciso di farmela a piedi. Durante la faticosa marcia verso la città partenopea, ho incontrato l’hostess che avevo notato, qualche giorno prima, sull’aereo per Torino. «Viaggia anche lei a piedi?» le ho chiesto, sorpresa, e lei mi ha risposto: «Che ne parliamo a fare? Quando venivo pagata dalla compagnia aerea che adesso è fallita, potevo mantenere la mia famiglia e anche quella di mio fratello, che è disoccupato. Da quando sono passata alle dipendenze dell’Azienda che, invece di recapitare le lettere, si è messa a volare, con la miseria che mi davano, mi è venuto l’istinto suicida e, così, mi sono lanciata dall’aereo insieme ad un bombo di nome Ciccio, che, pace all’anima sua, era la mascotte della linea aerea. Il povero Ciccio aveva fatto un corso di addestramento per terroristi islamici, infilandosi di nascosto nei mutandoni di uno jihadista e apprendendo la sacra arte del suicidio ispirata al fanatico integralismo islamico.» «È un miracolo che non si sia punta e, da quel che vedo, nemmeno sfracellata! Nonostante tutto, è rimasta indenne e senza ponfi.» «E per forza! L’aereo è riuscito a salire giusto un metro dal suolo. Sono saltata e mi sono ritrovata con le ginocchia per terra. Me la sono cavata con qualche escoriazione. Il bombo mi ha guardato con religiosa quanto disperata pietà e ha fatto harakiri col pungiglione, iniettandosi il veleno da solo. Lo shock per il grosso rischio affrontato mi ha fatto precipitare, come può immaginare, in una profonda depressione.» Scoppia, d’improvviso, in un pianto irrefrenabile ed io, per confortarla, le dico: «Non faccia così, non si preoccupi, ho un amico che lavora come capofattorino al cimitero di Poggioreale. Se gli dico due paroline, quello la fa assumere immediatamente.» «Non sono mica un becchino!» mi risponde, ancora tra le lacrime. «Non si tratta di fare funerali. A Poggioreale, cercano un corriere che porti i telegrammi ai morti. Quest’amico è bene ammanigliato con i dirigenti.» L’hostess, a questo punto, smette di piangere, si asciuga le lacrime e mi dice: «E secondo lei, io dovrei rischiare di tornare alle dipendenze di quella schifezza di Azienda che, invece di portare la posta, ha pensato di comprare gli aerei? Ma mi faccia il piacere! Con quello che pagano, è meglio che mi faccio campa’ (sostenere economicamente) da mio fratello disoccupato.»

Passato un po’ di tempo, sono dovuta tornare a Torino per una visita medica prenotata più di un anno fa. Si sa, con i tempi biblici della sanità in Italia. Nonostante varie ricerche su internet, non ho trovato altre compagnie aeree che fossero dirette nella città dei gianduiotti, pertanto, mi è toccato risalire sul bombo di metallo bianco e giallo con la scritta blu. Mi sono fatta il segno della croce e ho raccomandato l’anima a Dio, prendendo posto tra i soliti sediolini traballanti. Uno dei finestrini era spalancato ed un signore napoletano, secondo le abitudini partenopee, teneva il gomito sporgente dalla suddetta feritoia. Gli ho subito chiesto se poteva chiudere l’oblò, perché io soffro di cervicale. Mi ha risposto che non poteva perché, invece, lui soffre di claustrofobia. “E va bene,” mi sono detta “vuol dire che metto la sciarpa del Napoli (prestata da mio fratello, fervente tifoso della squadra del “ciuccio”), così evito di congelarmi l’osso del collo.” Mentre prendevo posto e incollavo la cintura di sicurezza con un residuo di nastro adesivo che, oramai, adesivo non era più, è salito, pronto per la partenza, un pilota che sembrava tale e quale a un fedayn. Ho avuto il forte presentimento che ci avrebbe dirottati su qualche città iraniana per costringerci a inneggiare all’Islam. Mi vedevo in tuta arancione e benda nera sugli occhi, con una sciabola appoggiata alla nuca, pronta per la decapitazione, senza avere nemmeno il conforto di una mascotte come Ciccio, aspirante suicida, passato ormai a miglior vita. In quel momento, l’unica preoccupazione è stata cercare di ricordarmi se m’ero fatta la ceretta, se mi ero pettinata bene, perché certamente avrebbero girato un video da trasmettere nei telegiornali e, a casa, mi avrebbero visto tutti quanti. Mia madre, di sicuro, avrebbe trovato da ridire se non ero azzimata e inappuntabile. Mentre mi preoccupavo del mio aspetto, il pilota si è avvicinato al signore napoletano e ha chiuso con violenza il finestrino tranciando di netto il gomito del malcapitato. “Siamo combinati proprio bene!” ho pensato, tenendo per me questa riflessione per paura di prendere le mazzate. Quando il pilota è sparito, entrando nella cabina di pilotaggio, tra i passeggeri si è materializzata una hostess. L’attempata signorina, (la cui data di pensione era slittata di dieci anni grazie ad una strampalata legge emanata da una tizia di nome Elsa), portava, con molta disinvoltura, folti baffi schiariti con l’acqua ossigenata mentre sul viso sporgeva un neo peloso grande come una ciliegia, che svettava attraverso due centimetri di fondotinta. Gli occhi strabici erano truccati con una linea nera esagerata, stile Nefertiti, regina dell’antico Egitto. Solo che Nefertiti era bella assai e l’hostess… lasciamo perdere! Fatto sta che l’anziana signorina sorrideva continuamente. “Strano”, ho riflettuto tra me, “perché sembra avere l’atteggiamento tipico di una persona acida e, poi, non vedo cosa ci sia da ridere, visto i rischi che stiamo correndo tutti.” Dopo un po’, mi sono accorta che non sorrideva affatto. Il suo ghigno e l’evidente strabismo erano frutto di una paresi facciale. Passando nel corridoio dell’aereo e guardandomi negli occhi, ha chiesto: «Gradisce un panino?» Scrutando, attraverso la busta trasparente, la muffa che avvolgeva la pagnotta, le ho risposto: «Scusi, ma non si è accorta che ‘sti panini sono andati a male?» L’hostess, di rimando: «La domanda era rivolta alla sua vicina di posto. Lei cosa c’entra? Si faccia gli affari suoi, per favore, e mi faccia lavorare in pace!» La mia vicina, per paura di essere malmenata, non solo s’è mangiato il panino riempito con un uovo sodo risalente, in maniera plausibile, al giurassico (si trattava, probabilmente, di un uovo di titanosauro) e condito con un’abbondante dose di muffa ma, vuoi per l’emozione del volo, vuoi per la paura di acchiappare le mazzate, s’è inghiottita pure la busta di plastica che lo conteneva. Durante il viaggio, all’improvviso, siamo entrati in una turbolenza. L’aereo si moveva tutto e noi eravamo imbalsamati dalla paura, gli occhi spalancati, le labbra aperte per lo stupore misto a terrore, le buste per il vomito già pronte per l’uso. La mia vicina ha esclamato: «Mi scusi, io non ho la busta, facciamo un po’ per uno con quella che ha lei?» Poi, ha aggiunto: «Stabiliamo bene una cosa, però: vomita prima lei o vomito prima io?» Nell’indecisione, la vicina di posto mi ha vomitato direttamente sulla camicetta, così la busta è tornata a mia completa disposizione. A un certo punto, si è sentita una puzza di zolfo insopportabile. Mi sono detta: “Cosa sarà successo, ora? Mi sembra di stare all’Inferno. Mamma mia! Allora, siamo tutti morti!” Altro che Inferno e turbolenza! Abbiamo scoperto che, a provocare i movimenti ondulatori e sussultori dell’aereo e la conseguente puzza infernale (pressurizzata), era stato il pilota fedayn attaccato da un violento “panzimoto”, altrimenti detto sconvolgimento intestinale. Aveva mangiato anch’egli il panino con muffa incorporata, gentilmente offerto dalla compagnia aerea. Gli odori sgradevoli passavano, attraverso i bocchettoni dell’aria condizionata, dalla cabina di pilotaggio all’abitacolo, andando a colpire i nasi di noi poveri passeggeri. E che delizia, voi non potete immaginare! Passata la puzza, il problema è stato che il pilota con la faccia da fedayn ha dovuto lasciare urgentemente la guida. Dalla cabina di comando è passato direttamente alla cabina del WC. Secondo voi, chi ha potuto sostituirlo alla guida dell’aereo? Ve lo rivelo immediatamente: l’hostess strabica truccata da egiziana. In conclusione, invece di sbarcare a Torino, siamo atterrati vicino al golfo del Tonchino, nel cortile di una signora, dal colorito giallo e una faccia da orientale, che stava irrigando le piante. Ci ha accolto con un aperto sorriso dicendo: «Day là Ha Noi!» Noi abbiamo capito “Vai là da noi!” mentre quella, poverina, ci diceva solo che eravamo sbarcati ad Hanoi, che nessuno sapeva in che provincia fosse. Siccome il pilota fedayn, che intanto si era ripigliato dal “panzimoto”, era piuttosto nervoso, ha mollato uno schiaffo alla povera signora perché anch’egli aveva inteso che ci stava cacciando via. Un ghigno si è stampato per sempre sulla faccia della donna e, così, la poveretta ha continuato ad avere un’espressione apparentemente sorridente mentre, tornando ad irrigare le piante, non si capiva bene dove finisse l’acqua e dove cominciassero le lacrime di dolore per la guancia gonfia che la faceva sembrare un’allegra giapponese in piena cura ricostituente. Intanto, noi tutti avevamo un problema, quello del rientro a Torino. Per capire come tornare indietro, abbiamo chiamato i Carabinieri che, in questo paese così singolare, sembrano appena usciti da un ammollo effettuato in una vasca stracolma di purè di piselli. In effetti, hanno le divise verdi e la faccia, dai tratti orientali, avente lo stesso colore. Quando abbiamo chiesto informazioni su come riprendere la direzione per Torino, quelli hanno risposto in una strana lingua. “Forse sono di Mondragone!” ho pensato io, invece ho scoperto che erano vietnamiti. Abbiamo dovuto fare una colletta per fittare una flotta di pullman turistici che, in due settimane, ci riaccompagnasse a Torino via terra. L’interprete traduceva solo dal vietnamita al siciliano. C’è voluta la mano di Dio per capire quale strada percorrere per tornare in patria. Persone strane, questi asiatici. Intanto, ho dovuto prenotare ancora una volta la visita medica, rinviata di due anni, e pare che m’hanno fatto persino un favore! Il costo della chiamata che ho fatto da Hanoi… (ahinoi!) lo sto ancora pagando… a rate… e ne avrò per oltre dieci anni. Durante il lungo e intricato viaggio di rientro in Italia, abbiamo avuto la costante compagnia di un eterogeneo stormo di uccelli, e non solo, che non ha smesso mai di sorvolare i nostri bus. Al comando, svettava un’aquila reale dallo sguardo severo, seguivano quaglie, beccacce, ghiandaie, gazze, rondini, allodole e pavoncelle ignare di andare incontro a cacciatori in attesa di sparar loro addosso. Infiltrati abusivi, in quello stormo, svariati bombi travestiti da innocue api da miele, con cinture esplosive nascoste tra le pelose strisce gialle e brune. Per puro caso, in mezzo ai bombi kamikaze, si è trovato un piccione viaggiatore che, avendo smarrito una lettera da recapitare, per non essere licenziato, ha preferito darsi alla clandestinità. Giunti in Italia, siamo scesi dai bus, un po’ anchilosati per il lungo tragitto, allo scopo di riprendere ognuno la strada di casa. In mezzo ai passeggeri, non si sa per quale scherzo del destino, è capitato il famoso ministro Vespasiano Libero che, staccandosi dal gruppo per raggiungere una viuzza isolata, riceveva addosso l’enorme quantitativo di guano che lo stormo in volo, dopo giorni di costipazione forzata, aveva liberato con sollievo. Il piccione, camuffandosi da poiana, si è subito dileguato per non prendersi la responsabilità dell’accaduto, mentre i bombi kamikaze, per la gran puzza, hanno preferito fare ritorno in Vietnam, attaccandosi alle ali di un aereo di linea.

Durante il tragitto per Hanoi, qualcuno, eroicamente, ha fatto esplodere il velivolo al grido di “Allah Akbar”, espressione che un passeggero proveniente da Napoli, tale Gennaro Esposito, ha interpretato come: “’Amm’ a là, ché sta ‘o bar”! (Andiamo di là, ché c’è il bar) dirigendosi, un attimo prima dell’esplosione, verso lo sgabuzzino dei viveri, in cerca di un caffè. L’Antiterrorismo ha iniziato una serie di indagini a tappeto (persiano, naturalmente) per scoprire se l’esplosione fosse stata provocata da Gennaro o dai bombi kamikaze. Nell’eseguire accertamenti sul signor Esposito, non sono emersi straordinari flussi di denaro, in quanto al poverino risultavano solo dieci euro residue su una carta postepay e un conto corrente più rosso del libretto di Mao. Appariva, perciò, assolutamente inverosimile che il signore napoletano potesse foraggiare il terrorismo islamico. Da ciò che è filtrato dalle indiscrezioni di alcuni giornalisti, anche sui bombi non sembrano emergere particolari di rilievo. Unica ipotesi ancora da accertare è se fosse scoppiata una delle protesi di seconda mano che un’hostess di linea, ritoccata dalla testa ai piedi, si era fatta impiantare al seno ad opera di un noto chirurgo, finito tra le sbarre per truffa ed esercizio abusivo della professione medica. Anche Vespasiano Libero è esploso… per la rabbia, rinunciando per sempre a tutti gli incarichi istituzionali e richiedendo, alla Prefettura competente per territorio, di aprire un’istruttoria per il cambio del proprio cognome, ritenendo lo stesso come vero responsabile di quella insana attrazione dei volatili a scaricargli addosso tutti gli escrementi. Riguardo a me, dopo questa tragicomica esperienza, ho preferito rientrare a Napoli con l’autostop, valutando che sarà molto ma molto difficile che io decida di salire di nuovo su un aereo.

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