Europea, carta vincente. Una ricostruzione dei fatti che hanno preceduto il conflitto Russia-Ucraina nel Focus di Giuseppe Rocco

L’Unione europea è un’istituzione che non mostra grosse negatività sul piano etico. Abbiamo costruito un’entità di grande portata ideologica e costruttiva. In armonia con la storia, che vuole potenziare le aggregazioni per meglio organizzare i servizi. Ma l’Unione è di più: è un salvataggio dalle guerre; è un volano per l’economia; è un equilibratore per la componente sociale e sanitaria; è una spinta al benessere.

Il modello renano, incentrato su un ruolo da protagonista nell’economia delle banche e delle imprese, ha fatto scuola per decenni; soltanto negli ultimi anni, il delirio della finanza è esploso nella sua grossolanità, ponendolo in discussione.

La nascita dell’Unione è un’idea che serpeggia da secoli nella mente di illuministi europei. Alcuni attribuiscono a Carlo magno il merito di voler fondare l’Europa. Già il 4 ottobre 1926 a Vienna, il primo congresso paneuropeo, richiama la costituzione di un’entità politica. L’autentico vero progetto per l’integrazione risale al primo dopoguerra, da parte del conte austriaco Richard Coudenhove-Kalergi, per prevenire ulteriori guerre fratricide e per intercettare i nuovi centri di potenza che si stavano costituendo: Usa, Giappone e Unione sovietica. L’idea dell’Europa unita è un concetto che si fa strada con la resistenza, come richiamo naturale al rischio di dominazioni dittatoriali. Fra tutti i movimenti della resistenza, quello italiano appare il più convinto dell’unità europea; tra i partiti antifascisti che partecipano alla resistenza, quello più assiduamente impegnato per la causa dell’unità europea è il partito di azione, che per la forte componente culturale si delinea aperto ai rapporti internazionali. Purtroppo questo partito ha poca vita.

Diventa un processo di relativizzazione della sovranità degli Stati, in cambio della pace, del rafforzamento delle nazioni e del principio di sussidiarietà che copre aree e tematiche non gestibili a livello nazionale. Col trattato di Maastricht si introduce un forte coordinamento dei bilanci nazionali e successivamente con l’Atto unico si stabilisce la liberalizzazione tra gli Stati membri dei movimenti di merci, persone, servizi e capitali. Questo nuovo modello di rapporti di grande levatura e di civiltà, in presenza della globalizzazione impone una guida per bloccare manipolazioni borsistiche e lo stravolgimento dell’economia, minata proprio dai giochi di borsa senza regole in un delirio di liberalismo senza codifiche.

I rischi inventati dalla diabolica campagna dei sovranisti e dei populisti non trovano aderenza con la realtà. Chi rema contro l’Unione si pone fuori dalla storia: da quando esiste il mondo, gli Stati hanno combattuto per conquistare nuove terre, utili all’esercizio della collettività. Inoltre cadono in una spirale di bassa politica, poiché l’agglomerazione meglio risponde ai requisiti di organizzazione e di facile successo. La Cina ne è una dimostrazione. Infine il richiamo economico rende comprensivo l’impulso di agglomerato: porsi assieme consente meccanismo di crescita che diversamente non si potrebbe ottenere. Se una coltura non funziona su un terreno, si può utilizzare un altro terreno più fertile o più ricettivo. E’ opportuno sensibilizzare il popolo all’accettazione dell’Unione, per evitare di tornare indietro nel sottosviluppo.

L’Unione europea ci ha regalato la moneta più forte nel mondo, l’euro. Questa moneta che viene attaccata dai sovranisti, quasi a renderla colpevole di crisi economiche. Assistiamo ad affermazioni senza senso, improntate a rivolte anarchiche o a strumentalizzazioni politiche. Nella conversione dalla lira all’euro, vi è stata una scarsa vigilanza governativa, ma soprattutto una scanzonata interpretazione da parte di lavoratori autonomi che hanno che ne hanno raddoppiato la posta. Il danno è stato consumato e tornare indietro varrebbe far peggiorare il bilancio e forse far fallire lo Stato, come è accaduto in Albania, in Argentina, in Venezuela. Le vicende internazionali ci offrono spesso situazioni di scelte nichiliste e di improvvisazione politica. Sono certo che il popolo italiano saprà difendersi dai facinorosi. Un processo iniziato con la sospensione della convertibilità del dollaro e l’abolizione del sistema dei cambi fissi. Si corre al riparo nel 1972 con l’adozione del “serpente monetario”, che prevedeva una fluttuazione delle monete comunitarie; nel 1978 si procede con il Sistema monetario europeo (SME), basato sulla fissazione della parità di ciascuna moneta con una moneta-paniere di riferimento, ossia l’ECU, il cui valore veniva determinato dalla media ponderata del valore delle monete della Comunità; indi nel 1998 la creazione dell’Unione europea monetaria (UEM), prodromica dell’Euro. Un vero e proprio miracolo monetario, l’Euro dovrebbe divenire la moneta base per gli scambi mondiali, per il peso e l’importanza primaria nel pianeta.

Al 2022 l’Unione europea conta 27 Stati membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Dal 2020 con la brexit, l’Inghilterra ha abbandonato L’Unione. Questa scelta spregevole e scellerata, all’insegna del culto del sovranismo, danneggia in parte l’Unione e soprattutto indebolisce l’economia dell’Inghilterra.

L’Unione europea non vuol rimanere nella staticità politica e storica, poiché gli altri Stati corrono per affermarsi. Pensiamo alla Cina, che si evolve e crea fermento nel mondo. Nel secondo dopoguerra Mao Tse Tung introduce la rivoluzione culturale, la quale apparve un modello per le nuove generazioni della sinistra, deluse dal comunismo bolscevico. Negli anni ottanta il Dragone volta pagine, con l’avvento di Deng Xiaoping, il quale seppellisce il marxismo e avvia una colossale crescita che ha reso la Repubblica popolare come l’economia più dinamica del globo.

Le aziende industriali occidentali cercano il loro tornaconto con una serie di investimenti produttivi ed esportazioni di tecniche tecnologiche. In tal modo si crea ricchezza e si regala una straordinaria prospettiva ad una Nazione, ambiziosa e determinata a riscattare i lunghi anni del declino imperiale. La collaborazione vive un conflitto esistenziale, nel quale i paesi industrializzati vogliono diventare fornitori e nel contempo temono che questa economia diventi una potenza politica e militare.

In tale contesto, la concorrenza fra Usa e Cina è diventata una conseguenza inevitabile. Alternandosi fra cautele e minacce. L’Europa è stata sempre a guardare al traino degli americani. L’arrivo del presidente Biden ha impresso una scossa preoccupante e forse delirante. Si apprende nel settembre 2021 che è nata “Aukus”, una Nato asiatica, composta da Stati Uniti, Regno Unito e Australia. L’associazione ha esordito commissionando per l’Australia una flotta di sottomarini nucleari, che nelle aspettative dovevano essere forniti dalla Francia.

Assistiamo ad una situazione imbarazzante per l’Europa. Vi è uno spostamento di poteri nell’area asiatica che chiaramente indebolisce il nostro Continente. Forse è ora di agire e cementare l’Unione europea, per poter poi avviare quel processo di difesa e di iniziative contestuali di controllo strategico. Pare che il momento sia favorevole, ma occorre essere determinati ed energici, al fine di restare sulla scena mondiale nella veste di protagonista.

Nei diversi malesseri che turbano l’impianto europeo, stiamo scorgendo il muro anti migranti. Dodici paesi hanno scritto alla Commissione europea e alla presidenza di turno, nell’ottobre 2021, per chiedere nuovi strumenti al fine di proteggere le frontiere esterne dell’Unione di fronte ai flussi migratori[1]. I paesi baltici e la Polonia nelle ultime settimane sono rimasti sotto la pressione per i migranti spinti al confine dalla dittatura bielorussa, con l’intento di destabilizzare l’Europa. Sono populi che hanno subito la dittatura comunista in prevalenza e che ora non vogliono perdere la libertà a causa di una eccessiva presenza di stranieri. Il momento storico è delicato. Dopo le ingerenze americane di voler portare la democrazia in Iraq e nel medio oriente, causando anarchia e guerriglia con facili tentativi di emigrazioni; dopo l’intervento franco-americano per portare la democrazia in Libia, altro evento che ha provocato immigrazioni massicce; ora il nuovo serbatoio che potrebbe provenire dall’Afganistan; tutte evenienze che pongono a dura prova l’unione.

Questo appello in verità evidenzia la mancata organizzazione dell’Unione, rimasta sempre inerme di fronte alle immigrazioni selvagge, che hanno colpito particolarmente l’Italia. Registriamo diversi tentativi di difesa dei paesi europei. Abbiamo eretto mille chilometri di filo spinato per circondare la fortezza Europa, dopo il 2015 quando più di un milione di siriani in fuga dalla guerra si sono presentati alle porte del vecchio Continente. L’ultimo muro ad essere completato è quello del governo greco, eretto questa estate 2021 per 40 chilometri al confine della Turchia: una barriera dotata di un sistema di sorveglianza militare ad alta tecnologia, con droni, video camere e radar; sistema a cui si aggiungono ai 400 agenti di frontiera marina per scoraggiare eventuali arrivi. Il Parlamento della Lituania ha autorizzato la costruzione di 508 chilometri di barriera con la Bielorussia. Varsavia ha annunciato che innalzerà un muro sulla frontiera di circa 130 chilometri. Tra Bulgaria e Turchia esistono pure altri 200 chilometri di filo spinato e torrette armate. L’Ungheria ha eretto 500 chilometri di recinzione lungo il confine con Croazia e Serbia. La Slovenia ha innalzato 200 chilometri con la Croazia. Infine le barriere di Ceuta e Melilla, finanziate dall’unione europea, per bloccare i migranti dal Marocco.

Il quadro prospettato è desolante. Ci ricorda le città del passato, circondate da muri e da porte difese da guerrieri per evitare assalti e depredazioni. Il tempo è passato e i rapporti sono migliorati sino ad un certo punto della storia, come quello attuale in cui assistiamo ad un ritorno brutale del passato. È giunto il tempo in cui l’Unione non può fingere di non sapere e di non vedere: occorre un’azione salutare, polivalente ed unica per accordarsi su un nuovo patto per la migrazione e sulla protezione del territorio. Il “fai da te” non aiuta l’amalgama e la solidarietà. L’Unione europea deve dimostrare la sua presenza con forza e chiarezza.

In tema di sviluppo e fioritura del vecchio continente va tenuto presente l’impulso che arriva dal Pacifico, quasi a spostare il baricentro nell’atlante geopolitico mondiale. Si fa riferimento al patto di sicurezza trilaterale (Aukus) fra Australia, Regno Unito ed Usa, a cui ha fatto seguito l’alleanza con India e Giappone, un embrione di Nato orientale. L’Australia ha rinunciato ai sottomarini francesi preferendo quelli americani, nel quadro della nuova alleanza. Questa forzatura non è sfuggita al nostro presidente della repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha proposto una collaborazione dinamica economicamente e vibrante culturalmente fra UE e Unione africana, alla conferenza ministeriale “insieme con l’Africa”, svoltasi a Roma.

Un fatto preoccupante appare il sovranismo, che in alcuni casi viene portato a livelli di impossibile accettazione. Ci si riferisce alla recente sentenza (ottobre 2021) della Corte costituzionale polacca, che ha sancito il primato della legge nazionale sul diritto europea, minando uno dei principi fondanti dell’Unione. La rischiosa “Polexit” preoccupa la tenuta dell’Unione, per l’allargamento di questi concetti populistici di bassa cultura. La francese, marine Le Pen, e l’italiana, Giorgia Meloni, hanno difeso Varsavia. Stiamo negando noi stessi, stiamo dimenticando che l’Unione europea è un gioiello da trattare con rispetto, stiamo ignorando che l’aggregazione europea va saldata e rispettata, per garantire sicurezza e prosperità.

Il diritto europeo vieta agli Stati di erogare aiuti che possano falsare il gioco della concorrenza (art. 107). Purtroppo qualche eccezione nel campo alimentare diventa perentoria, per salvaguardare le peculiarità italiane e salvaguardare identità nazionali. La burocrazia è entrata nella perversione: si guarda alle curvature delle banane e dei cetrioli. Nel richiamare l’autonomia dello Stato, il pensiero corre ai continui diktat subiti dal nostro Paese in materia di prodotti alimentari. Dover accettare latticini senza latte, cioccolato senza cacao, vino con più zucchero, ecc. appare come un indirizzo inquietante per l’arte del gusto e della genuinità; fra l’altro questa tendenza cancella le nostre peculiarità e altera la nostra tradizione latina. Ovviamente la maggiore preoccupazione rimane la carenza di qualità, che potrebbe anche nuocere all’organismo. Noi dobbiamo recuperare l’autonomia, per affermare i concetti di elevazione territoriale della merce e sublimazione del gusto italiano. Le recenti scelte europee, influenzate dai Paesi del nord, hanno lasciato la bocca amara. Le differenziazioni non precludono l’armonia di una Unione da rafforzare e soprattutto rispettano le peculiarità locali, segni visibili di una tradizione virtuosa e splendida.

Chiaramente i rappresentanti italiani devono vigilare per non perdere l’identità latina, come invece è accaduto per le normative che hanno favorito i latticini senza latte e il cioccolato senza cacao. Non solo sostegno dell’orgoglio latino ma difesa della genuinità e della buona tavola, di cui l’Italia è la maggior rappresentante nel mondo. Sostenere la genuinità dei cibi e controllare l’altro comparto, in cui siamo maestri, e mi riferisco alla moda, diventa una scelta perentoria, per non perdere il significato delle nostre radici e pure per acquisire risorse economiche. Si registra un certo antagonismo fra paesi del nord e del sud Europa, ma nel complesso si riesce a trovare una sintesi.

Nel complesso l’Unione non è un giogo ma un patrimonio da conservare e da propiziare. Basta pensare alla politica agricola comunitaria (PAC), che ha segnato un salvataggio per l’agricoltura, in quanto l’ha preservata dalla concorrenza straniera. La costituzione di una cintura comunitaria a difesa dei prodotti comunitari si è rivelata un’ottima intuizione: le derrate circolavano senza freni all’interno e i prodotti extracomunitari venivano sottoposti a prelievi per la differenza rispetto a quelli comunitari. Qualche problema è sorto con l’approvazione Dell’Uruguay Round nel dicembre del 1994 e l’entrata in vigore dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), in base al quale le forme di protezionismo (prelievi agricoli) sono stati tradotti in dazi. Si trattò di applicare una normativa di transizione progressiva dei sussidi, lasciando inalterato l’impianto tematico, mai in discussione per la saggia impostazione della preziosa Unione europea. Il vero salto politico di qualità lo abbiamo vissuto con il trattato di Maastricht, che ha offerto una identità forte del sistema strutturale.

All’orizzonte si intravvede il rischio dell’accordo TTIP, proposto dagli americani agli europei (per ora congelato) per stabilire regole uniformi in tutti i comparti dell’industria, del commercio, dell’agricoltura, dell’ambiente e lavoro[2]. Sembrerebbe un passo avanti gigantesco ma cela penetranti insidie. Se l’Italia firma l’accordo, le multinazionali americane potranno collocare sul mercato nostrano una ingente quantità di merce a prezzi bassissimi in virtù della produzione ad economia di scala. Ciò faciliterebbe la vendita di quei prodotti a svantaggio dei beni nazionali, che fra l’altro comporterebbe il fallimento di numerose aziende e la disoccupazione per migliaia di cittadini. Questa forma di semplificazione si attesta come un danno per noi latini e soprattutto per la genuinità degli alimenti, già peraltro abbastanza contaminati e falsificati.

Già firmato purtroppo il Trattato CETA con il Canada, entrato in vigore, seppur in forma provvisoria, il 21 settembre 2017, in attesa della conclusione della fase di ratifica da parte degli stati membri dell’UE. Un accordo il quale elimina le restrizioni e apre i mercati al libero scambio di beni e servizi, facendo lievitare il volume di affari.  Si attende la ratifica dei 27 Parlamenti nazionali. Il protocollo era stato temporaneamente congelato per le resistenze del Parlamento della Vallonia, uno degli Stati federali del Belgio, che temeva l’impatto sul modello agricolo, per i diritti dei lavoratori, per il sistema sanitario a protezione dei consumatori e dell’ambiente e soprattutto sul sistema di arbitrato previsto in caso di controversie commerciali. Accanto all’opacità con cui è avvenuto il negoziato, questo Trattato potrebbe rivelarsi il “cavallo di Troia” per scardinare gli ostacoli all’accordo TTIP con gli Usa, ritenuto nel complesso più svantaggioso che vantaggioso, in particolare nel settore sanitario.

Piuttosto l’Unione deve crescere politicamente per divenire un’entità con un potere rispettabile. In un mondo in cui stanno emergendo forze come la Cina e la Russia, che vanno ad aggiungersi agli Usa. Assistiamo ad un quadro modificato, proprio per la riduzione del peso politico americano, confermata dalla disastrosa ritirata da Kabul. L’Unione europea non è ancora pronta a gestire le sfide incombenti. L’impreparazione al momento riguarda anche l’Italia, che non ha saputo nel tempo creare una leadership nel mediterraneo, foriera di scambi e di ricchezza, ma addirittura ha perso il controllo economico sulla Libia, abbandonata alla mercé dei russi e dei turchi. Senza una potenza visibile europea, siamo destinati a subire le angherie dei più forti (e scorretti), come nel caso della Russia, orientata a occupare l’Ucraina, con effetti sconvolgenti sul futuro assetto mondiale.


[1] I paesi sono Austria, Bulgaria, Ceca rep., Cipro, Danimarca, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria. Va aggiunto pure il tredicesimo Stato, la Slovenia, che non ha fatto in tempo a firmare.

[2] TTIP è l’acronimo di “Transatlantic Trade and Investment Partneship” ossia Trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico. CESA è la sigla di “Comprehensive Economic and Trade Agreement” ossia Accordo Economico e Commerciale Globale.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.