Fonti energetiche, misteri e realtà. Il focus di Giuseppe Rocco

Nobunaga, grande guerriero giapponese, decise di attaccare il nemico. Si fermò e disse: butterò una moneta, se viene testa vinceremo, se viene croce perderemo. Siamo nelle mani del Fato. Venne testa, i suoi soldati vinsero la battaglia. ‘Nessuno può cambiare il “destino”, disse uno scudiero. ‘No davvero’, rispose Nobunaga, mostrandogli una moneta che aveva testa su tutte e due le facce (Tratto da 101 Storie Zen).

A parte le favole, quelle scelte che appaiono azioni libere e tutte dipendenti dal nostro libero arbitrio, sono condizionate e qualche volta determinate dalla nostra storia, dall’educazione, dalle ferite e dalle stranezze della vita. Senza usare la parola “destino”, cara agli umanisti, perché ci presentano un Dio che anticipa la nostra storia insieme a noi, ma in alcuni racconti della vita agiscono profondamente legate al nostro passato, sebbene la corda non sia tanto robusta da impedirci di spezzarla. In questo paradigma sta la radice del valore morale delle nostre scelte, senza però che la certezza di questa libertà neghi la verità, comprese in un capitolo di un libro che si comprende se letto insieme al passato e al futuro. In tal modo l’umanesimo biblico si apre a chi non ha paura di abitarne i paradossi e le contraddizioni e di arrivare persino a Dio.

Con questa narrazione in premessa, possiamo affrontare un problema scabroso: le fonti di energia che sono sulla bocca di tutti. Cerchiamo qualche chiarimento sull’argomento, tenuto conto che procede velocemente l’aumento delle bollette del petrolio e quello del gas.  Esse si dividono in fonti rinnovabili e fonti fossili.  Nel dettaglio i dati disponibili nel 2019 (cioè pre-pandemia), dimostrano che l’Italia ha consumato 6.099.593 TJ di energia; in particolare la fonte principale è stata il gas (41,8%), seguita dal petrolio (34,4%) e dalle fonti rinnovabili (complessivamente (19,4%).

La maggior parte dell’elettricità proviene dal gas naturale (41,8%). Di questa fetta, la sola produzione italiana è in grado di contribuire al 3-4% circa, mentre il resto del gas naturale deve essere importato dall’estero e, in special modo, dalla Russia, dall’Algeria e dall’Azerbaigian (tramite il tanto discusso gasdotto TAP).

Al secondo posto troviamo un altro combustibile fossile, il petrolio, al 34,4%. Nonostante sia un valore piuttosto alto, bisogna evidenziare come dagli anni ’90 ad oggi il suo impiego sia in costante calo (a parte una leggera risalita tra il 2004 e il 2016). Stesso discorso anche per il carbone che oggi è al 4,4% ma il suo trend è in discesa.

Passando alle fonti rinnovabili, la somma di biocombustibili, idroelettrico, solare ed eolico, esse coprono il 19,4% del fabbisogno energetico nazionale. Nello specifico, i biocombustibili sono in testa con il 10,2%, seguiti da solare ed eolico (complessivamente 6,5%) e idroelettrico (2,7%).

Riflettiamo sul petrolio, per il quale la realtà viene distorta. Rammentiamo che l’Italia ha tante potenzialità, in particolare in Lucania. Questa regione è rimasta sempre indietro nel processo economico per colpa delle rocce, poco fertili e senza ricchezza. Proprio le rocce, matrici di sconforto, sono divenute la ricchezza potenziale della Lucania; non per i lucani come si illustrerà di seguito.

Dalla stampa e dai servizi televisivi degli ultimi anni si constata che in alcune valli del Potentino sono state rinvenute preziose falde petrolifere, che assicurano il 10% del consumo nazionale; l’estrazione completa e potenziale – secondo stime del 2000 – potrebbe soddisfare il fabbisogno dell’Unione europea.

La scoperta di questi giacimenti autoctoni non trova adeguato e compatibile impegno dal 1990 in poi da parte dei Governi, che non hanno cercato di ottenere il massimo profitto a beneficio del bilancio nazionale. 

I due giacimenti della Val d’Agri e di Tempa rossa costituiscono la più importante area petrolifera su terraferma d’Europa. Nella Val d’Agri opera l’Eni con 39 pozzi, i quali producono 85mila barili al giorno. Tempa rossa possiede un giacimento gestito da Total in associazione con Mitsui e Shell, (in dispregio del patriottismo italiano e del bilancio dello Stato), in attesa di completare l’oleodotto verso Taranto, ove raffinare il petrolio greggio.

Considerate le necessità italiane e dovendo pure meditare per l’avvio delle centrali nucleari alla luce delle recenti problematiche giapponesi, non si comprende l’inerzia del Governo per l’attuazione del programma petrolifero. Sarebbe opportuno non solo estrarre i 200 mila barili giornalieri, facilmente realizzabili, ma elaborare una politica di sfruttamento energetico con manovre più consistenti, che aiuterebbero pure vistosamente il bilancio statale.

Il Governo Monti in aprile del 2012 sigla un Memorandum, a cui segue l’art. 16 del testo sulle liberalizzazioni e infine si registra l’intesa raggiunta in Consiglio regionale lucano; l’ipotesi è di passare dal 10% al 20% della produzione rapportata al consumo nazionale. Ben poco in un momento di crisi economica!

Restano senza tutela gli allevatori e i pastori della zona, lasciati alla mercé delle Case petrolifere. Assistiamo ad una politica di incapacità governativa, incentrata nella miopia del Ministero dello sviluppo economico, e ad una scarsa incisività della Giunta regionale lucana. In questa totale e devastante disorganizzazione per ora ottengono rilevanti guadagni le Case petrolifere, ma il punto ancora più sconvolgente è che le imprese estrattrici siano straniere. Perché l’estrazione non è stata affidata interamente all’Eni?

Da una stima grezza e certamente imprecisa, appare che – con una estrazione del petrolio lucano in grado di assicurare il fabbisogno nazionale – il beneficio in bilancio potrebbe incidere in modo radicale, abbassando il cuneo fiscale  e complessivamente la pressione fiscale di valori tra il quattro e l’otto per cento.

Passiamo al gas. L’eccessiva volatilità dei prezzi va rintracciata nella dimensione finanziaria virtuale, gestita da speculatori. Una delle cause principali dell’inflazione dei prezzi dell’energia è il mercato a termine del gas TTF (Title Transfer Facility) di Amsterdam, istituito come parte del mercato energetico dell’Unione europea. Il TTF è un mercato virtuale (un hub) per lo scambio del gas naturale. Siamo al limite dell’aberrazione finanziaria. 

L’Olanda è uno snodo centrale per il mercato europeo che consente il trasferimento del gas tramite metanodotti tra Paesi come Francia, Germania, Norvegia, Italia e Gran Bretagna. Questa tipologia di mercato ha progressivamente sostituito i contratti bilaterali a lunga scadenza tra i paesi. Esso consente non solo ai commercianti all’ingrosso, ma anche ai trader finanziari, di determinare il prezzo dei contratti a termine sul gas naturale. I prezzi “future” riguardano una consegna più lontana nel tempo e possono essere negoziati più volte prima della scadenza. Praticamente si rientra nel gioco delle speculazioni di estrema radicalizzazione.

Non si può attendere che la soluzione si raggiunga in modo naturale, per effetto delle perversioni insite nel sistema. Quindi occorre abolire il TTF oppure determinare un tetto al prezzo del gas. Continuare con questi giochetti, che favoriscono soltanto gli speculatori, si viene a minare il benessere delle nazioni europee. Non è più accettabile.

L’apoteosi del feticismo del mercato finanziario si consacra pienamente alla borsa di Amsterdam, ove si decide il prezzo del gas. Questa scelta borsistica si vive come una forzatura scellerata, una sofisticazione arrogante, una miscela spregiudicata, che opera lontanamente dalle esigenze delle imprese e delle famiglie. Ancora una volta si registra una scollatura fra l’economia reale e la finanza. Un dualismo esasperato che va frenato prima di distruggere le economie dei paesi occidentali.

Nelle speculazioni bisogna inserire anche l’ENI, ente controllato dal Ministero dell’economia del governo italiano, il quale ha spostato la sede legale in Olanda, per sottrarsi al fisco italiano. Da tener presente che l’ENI nello scarso anno ha ottenuto 7 miliardi di utili, con un aumento del 600%. Sembra davvero un’aberrazione, sotto il silenzio di tutti.

Sono risultate strategicamente importanti per l’ENI le competenze ingegneristiche delle sue controllate Snamprogetti e Saipem: la progettazione e realizzazione di oleodotti e raffinerie furono spesso inserite come contropartita negli accordi per la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti petroliferi. Al 2021 Eni detiene una quota di mercato sulle stazioni di servizio italiane pari al 20% circa.

Veniamo alle riflessioni conclusive. Il petrolio non manca alla nostra Nazione e si sa dove estrarlo. L’unico problema, anche grave, resta il fatto che le strategie di estrazione vanno migliorate all’ambiente ed evitare danni ai lucani e al paesaggio. In ordine al gas, si coltiva qualche speranza nei mari nostrani, ma l’amarezza riguarda la composizione del prezzo del gas, affidata alla Borsa di Amsterdam: ancora una volta l’economia resta vittima della finanza, cioè degli usurpatori. Gli accordi virtuali sono composti da carte e non da beni. Non sono problemi facili da risolvere, ma nemmeno eccessivamente difficili!

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.