L’ermeneutica nella storia economica recente. Il focus di Giuseppe Rocco

La globalizzazione diacronica è l’analisi del suo processo evolutivo nello spazio e nel tempo, utilizzando la storia economica quale strumento interpretativo. Nell’ermeneutica economica una svolta importante appare la critica marxiana all’economia classica, la quale poggia sulla teoria del valore-lavoro elaborata da Smith e poi da Ricardo; Marx intravvede un momento storico in cui si sviluppa la transizione al socialismo attraverso lo sfruttamento della classe operaia, la creazione del plusvalore, la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto e la crisi di sovrapproduzione.

Il valore delle merci, secondo Smith, riguarda il bene che possiede un valore d’uso, commisurato alla sua qualità di soddisfare bisogni soggettivi degli individui e un valore di scambio, rappresentato dalla sua capacità di acquistare altri beni sul mercato. Subentra Ricardo che riflette e afferma che esistono beni che hanno un elevato valore d’uso e un basso valore di cambio, come l’acqua.  Dopo il 1870 i neoclassici risolvono la contraddizione, attribuendo alla utilità marginale il valore del bene e spostando l’analisi economica sulle scelte soggettive che determinano la domanda. Nella società precapitalistica, nella quale il lavoratore è proprietario dell’intero prodotto perché dispone del proprio lavoro e degli strumenti produttivi, il valore del bene è misurato dalla quantità di lavoro necessario alla sua fabbricazione. Nella società capitalistica, il valore del bene non coincide con il tempo impiegato, poiché esso dovrà remunerare anche gli altri due fattori della produzione: terra (cui spetta la rendita) e capitale (remunerato col profitto).

Nella storia compare Marx, che introduce il concetto di materialismo dialettico, nel quale ogni forma di produzione comporta determinati rapporti sociali che costituiscono la struttura economica. Su questa si crea una sovrastruttura politica, istituzionale, giuridica e ideologica che può mutare. La dicotomia fra capitale e lavoro si manifesta con la lotta di classe e con il passaggio, attraverso una crisi violenta del capitalismo, a una società socialista, caratterizzata dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione. Con l’applicazione di apparecchiature più o meno complesse il lavoro diventa astratto e viene assimilato ad una qualsiasi merce e come tale può essere acquistato o venduto sul mercato. In termini marxiani e in teoria il valore  il valore di scambio del lavoro equivale al lavoro in esso contenuto; se ne deduce che il salario deve essere uguale al prodotto di quel lavoro. Invece in una società capitalistica il valore di scambio di scambio è inferiore al prodotto del lavoro per via del plusvalore, poiché il capitalista non acquista lavoro ma forza valore. In altri termini con l’avvento di macchinari sofisticati, il lavoratore produce più beni allo stesso salario.

Quanto sopra per spiegare che il plusvalore, di cui il profitto e la rendita sono l’espressione monetaria e la conseguenza della proprietà privata. coi mezzi di produzione e col sistema del lavoro salariato, nasce la divisione in classi della società tra detentori di capitali e il proletariato. Questa contrapposizione fondamentale del capitalismo condurrà il proletariato a rivoltarsi e conquistare il potere politico, per creare una società socialista senza classi.

Le profezie di Marx non si sono avverate, poiché l’affermazione dei sindacati hanno tenuto a buon livello il potere di acquisto dei salari. Lo scontro si è realizzato in Russia, non contro il capitalismo, ma contro il potere degli zar. Il percorso ha seguito una diversa traiettoria e la realizzazione del comunismo si è realizzata in un paese abbastanza povero e senza capitali. Tuttavia questo modello, tenuto in vita con la forza della polizia, si è manifestato un colosso di cartapesta e si è frantumato, lasciando spazio ad un capitalismo bieco e senza scrupoli. Si è ingigantita l’idea iper liberale del mercato americano, con un potere filtrato dalle multinazionali e senza poter conoscere il vero datore di lavoro. In altri termini dal temuto scontro tra capitalisti e salariali si passa ad una situazione tra gruppi della finanza e lavoratori sempre più precari, scarsamente tutelati dai sindacati.

La caduta del muro di Berlino e l’inconsistenza dell’economia pianificata ha fatto erroneamente ritenere che l’unico modello fosse quello americano del libero mercato, selvaggio e impietoso. Ovviamente l’idea non è esatta, poiché scalza totalmente lo Stato e la tutela delle azioni. Forse una rilettura di Marx può indurre una riflessione, in cui appare un filone interessante quando preconizzava il processo di globalizzazione, sulla universale dipendenza delle nazioni l’una dall’altra, con la comparsa di finanzieri e usurpatori del mercato.

Il lavoro subordinato che nel secondo dopoguerra era divenuto decoroso, grazie all’intervento dei sindacati e al miglioramento dei mezzi lavorativi sempre meno pesanti, nel terzo millennio è rimasto intrappolato in un rapporto tortuoso, frammentario e insicuro. Il lavoratore è rimasto imprigionato in regole dettate dall’alto, tornate dense di alienazione, soprattutto senza tutela e garanzia per il futuro. In tutto va aggiunto un nuovo clima, dettato dall’efficientismo selvaggio, metodologia che rende il lavoro eccessivamente produttivo ma li scalza completamente dalla componente umanitaria. Il nuovo andazzo produce incertezze e persino stati di ansia diffusi.

Sul piano globale, la situazione è divenuta pericolosa per l’economia, soggetta a crisi continue, secondo fluttuazioni finanziarie scollegate dal mondo delle istituzioni. In effetti si avverte un passaggio tecnologico nelle operazioni lavorative, tali da modificare la fisionomia delle aziende. La finanza è sorta come una branca complementare all’economia reale. Negli ultimi anni questo filone ancillare ha preso il sopravvento alterando il rapporto. Si stima che il valore della componente finanziaria sia divenuta sette volte maggiore dell’economia reale. Si comprende come una tale architettura pone in stato di soggezione: dal bene tangibile (nucleo essenziale) siamo passati a pezzi di carta (sfera complementare), che dominano impropriamente il mercato. Sin tanto che resta questa composizione innaturale alla vita economica, la crisi è dietro l’angolo e non consente nessuna programmazione microeconomica e macroeconomica.

Si può spiegare con un esempio molto semplice. Prendiamo un bicchiere: se vuotiamo in esso una bottiglietta di birra e verifichiamo che il contenuto è sette centimetri di birra e un centimetro di schiuma, il prodotto va bene; se invece troviamo un centimetro di birra e sette centimetri di schiuma il prodotto presenta un’anomalia. Per analogia si spiega l’attuale fenomeno di perturbazione economica nel rapporto economia e finanza.

L’attrazione scellerata verso la Borsa valori, divenuta il tempio della finanza, ha scatenato una serie di impulsi da parte di manipolatori, contaminando il mondo dell’economia e creando quel fenomeno, che possiamo definire “feticismo del mercato finanziario”, in cui operatori anche in buona fede finiscono nella rete della idolatria dottrinaria. All’orizzonte non si intravvede nessun tentativo per correggere le manipolazioni e riportare la Borsa entro i sani criteri, per cui è nata, cioè per adempiere alla funzione sociale di indirizzare i capitali verso settori ad alto rendimento. L’unica soluzione resta una convenzione internazionale presso la Banca mondiale, cosa per ora improbabile ma necessaria nel tempo.

Il mercato peraltro sta assumendo una fisionomia geografica nuova, con l’avvento della Cina, una nazione che si avvale del capitalismo in una gestione dittatoriale, riuscendo a conciliare guida tirannica con la democrazia del mercato. Ad essa sono unite nel progresso altre nazioni emergenti, che diventano coinvolgenti nella ricerca di un nuovo assetto del commercio internazionale.

Sullo sfondo restano problemi collegati. La dinamica del capitalismo è stata caratterizzata da alcune tendenze di fondo e dalla successione di fluttuazioni diverse. Nei paesi sviluppati si è registrata una diminuzione degli addetti in agricoltura e un progressivo aumento degli occupati nell’industria e poi nei servizi. L’organizzazione dell’industria, conseguita su larga scala, ha fatto dimenticare le regole ambientali; anzi si è preferito conseguire il profitto a costo di inquinare il territorio, il che ha comportato un elevato aumento delle malattie.

Nel tempo sono cambiati i paradigmi dell’economia. Sino alla prima guerra mondiale, la globalizzazione del mercato sembrava avvalorare il meccanismo della concorrenza e lo strumento dei prezzi come principio regolatore dell’equilibrio economico. Il crollo di Wall Street dimostra la debolezza dell’impostazione, perché stilizzata, più che espressione dell’economia reale e il gioco tra domanda e offerta non era solo soggetto alle regole del mercato.

Si assiste ad un salto di qualità con l’Atto unico europeo del 1986 e la successiva unione monetari europea, che rappresentano una esemplificazione della globalizzazione, con un processo di relativizzazione della sovranità degli Stati. L’unione europea è il risultato di una nuova costruzione degli Stati che cedono una parte della sovranità e banalizzano i confini per il flusso delle persone, merci e capitali.

Non si vuole criticare la globalizzazione, fenomeno irreversibile che porta progresso, se ben amministrato. Questo è la nota dolente, poiché la globalizzazione   e in particolare le crisi finanziarie stanno provocando una disintegrazione dell’economia sistemica. Dobbiamo prendere atto in modo che la letteratura economica e istituzione possa alimentare l’avvio di correzioni, disinnescando la Borsa valori dai veleni causati dal feticismo del mercato finanziario e predeterminando ponderati processi epistemologici.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.