Quando l’etica decade. Il focus di Giuseppe Rocco

 Nel campo economico, il problema primario è riconducibile al “feticismo del mercato finanziario”, vero tarlo opaco dell’economia industriale e responsabile dei disagi economici. A livello comunitario, è opportuno correggere il sistema bancario europeo (BCE), per assicurare una moneta (euro) adeguata alle diverse esigenze. Si aggiungono ora le proposte nazionali per implementare l’azione comunitaria e nel contempo elevare il tenore di vita e offrire meccanismi di sviluppo al nostro Paese. Vengono individuati cinque principali riferimenti, sotto illustrati.

Il primo riguarda la critica all’accordo internazionale sui tessili, firmato pure da un rappresentante italiano, col quale si istituiva un periodo transitorio di quindici anni, ossia sino al 2005, data in cui dovevano essere aboliti i dazi all’importazione nel settore dell’abbigliamento.  Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il comparto si è dissolto. Prima di accettare l’ipotesi di banalizzare i dazi bisognava verificare le parità di condizioni. Questo Accordo riflette effetti perversi, in considerazione che il principio dell’uguaglianza non va applicato a situazioni diversificate. Non si doveva firmare un Protocollo, sapendo che per produrre un paio di pantaloni in Italia occorrono trentacinque euro e per produrlo in Paesi asiatici ne bastano cinque, per ovvie condizioni socio-lavorative.  Si tratta di un’impostazione senza razionalità, un vero e proprio suicidio per la nostra economia, pur conoscendo l’importanza del comparto nel mediterraneo e soprattutto in Italia. La moda meritava maggiore attenzione, proprio perché può essere riconosciuta come uno scacchiere sensibile per il tessuto sociale sul territorio. L’impegno italiano deve essere finalizzato a istituire una cerniera daziaria a livello comunitario, eventualmente con l’appoggio degli altri Paesi mediterranei, interessati alla salvaguardia del settore.

Il secondo argomento inerisce ai poteri e alle spese degli Enti Regione, ai quali tutto è permesso. Sono dei veri e propri Stati, ma nel senso negativo: fissano le retribuzioni (molto alte) dei loro Presidenti, assessori e consiglieri; offrono tariffe retributive al di sopra della media ai propri dirigenti; sfruttano consulenze senza ragioni valide con emolumenti elevati; adoperano numerose macchine blu; nominano costose Commissioni[1]; predispongono viaggi all’estero senza un reale contenuto; stanziano cifre su materie al di fuori delle loro competenze. Senza una legge-quadro equilibrata e vincolante, le Regioni costituiscono canali emorragici finanziari senza freni. Peraltro il richiamo in causa della inutilità delle Province diviene un boomerang. Proprio a proposito di regioni val la pena chiedersi a cosa servono quelle a statuto speciale. Forse la specialità va registrata in senso negativo di spese speciali nell’accezione di superflue e inventate.

La soppressione delle Province, da più parti ventilata, non abolisce le competenze e i dipendenti, che traslocano alle Regioni. Il risparmio è contenuto all’inizio ma di fatto si registra subito un aumento delle spese pubbliche, poiché le Regioni devono costituire Enti intermedi, che costano certamente più delle Province, verificato il metodo dispendioso in atto delle Regioni. Peraltro gli eventuali enti intermedi opereranno in modo differenziato fra le diverse Regioni, creando disparità e confusioni amministrative, che ricadranno sul cittadino. Di fatto non vi può essere un risparmio e addirittura si andrà incontro ad una maggiore spesa e con più distorsioni. L’abolizione della Provincia è divenuto il luogo comune di basso rango e la tipica forma di demagogia politica, stranamente sostenuta dall’Unione europea.

Il terzo argomento concerne il petrolio. Hanno scoperto delle falde petrolifere in Lucania di tale portata da poter coprire il fabbisogno di tutta l’Unione europea. Le nostre Autorità se ne sono appena accorte. Stanno estraendo soltanto un dieci per cento del fabbisogno italiano e – orrore nell’errore – hanno affidato le estrazioni principalmente alla Total francese e alla Shell inglese. Da una stima grezza dei conteggi non potendo verificare i dettagli, si potrebbe assicurare una estrazione da coprire le necessità italiane ed evitare le importazioni: questa operazione potrebbe assicurare al bilancio nazionale un’entità tale da far ridurre le imposte di circa il cinque per cento; somma considerevole per i cittadini, che potrebbero così incrementare il consumo, generando un circuito favorevole alla prosperità economica. Le operazioni di estrazione vanno comunque accuratamente gestite per evitare inquinamento come purtroppo sta accadendo. Le società estrattive finalizzano gli obiettivi al profitto, ignorando i canoni più elementari e sociali per assicurare un andamento regolare della vita territoriale.

Il quarto punto attiene alla giustizia in senso lato, come già evidenziato. L’attuale codice delle procedure allunga i tempi in Tribunale, riconoscendo una serie di udienze; attività carente e dispendiosa per le spese statali e talmente assurda da scoraggiare gli investitori stranieri. Inoltre occorre una sferzata per il superamento del fenomeno malavitoso in genere con qualsiasi mezzo legale; elemento base per poter realizzare politiche economiche e di investimento; peraltro si può aggiungere che sarebbe opportuno superare, oltre alle mafie dirette, la cultura mafiosa che penetra in modo intimo nella concezione del popolo italiano, divenuto vittima di comportamenti basati sul compromesso partitico e di favore a scapito della democrazia e della professionalità; infine nella giustizia ricade il timore di imprese straniere preoccupate per gli investimenti di cadere nelle pastoie burocratiche nel caso di vertenze aziendali. Si spera nel superamento del fenomeno malavitoso in genere con qualsiasi mezzo legale; tenendo conto del salto di qualità investigativo supportato dalle intercettazioni telefoniche l’impegno potrebbe portare a splendidi risultati, senza escludere in casi estremi azioni di forza pubblica.

Il quinto punto concerne il sostegno all’industria manifatturiera, tramite la concessione di prestiti a tasso zero, attivando una politica creditizia specifica per territori e per settori[2]; altresì sulla concentrazione di una politica socio-economica nello scacchiere mediterraneo, certamente vantaggioso dal punto di vista geografico per i territori meridionali. In questo disegno si cita ancora l’impegno a supportare le aziende che operano sul territorio nazionale, escludendo dai benefici quelle realtà che trasferiscono la produzione all’estero, in modo da incoraggiare la tenuta endogena e l’incremento occupazionale. Pare opportuno richiamare l’incidente del Jobs Act (perché usare un termine inglese e non quello italiano “Piano per il lavoro”?), in quanto la disciplina del lavoro torna indietro di due secoli, quando l’imprenditore poteva assumere e licenziare liberamente. Nel Novecento si è constatato che il rapporto fra imprenditore e lavoratore era asimmetrico, consegnando il potere ad una sola parte e l’altra (quella dipendente) agiva come pedina e oggetto. Lo sviluppo sociale ha prodotto nel 1970 lo statuto dei lavoratori, offrendo la dovuta dignità al lavoratore. Purtroppo il Jobs Act ha consegnato il rapporto di lavoro allo squallore; rapporto che è stato riportato nel passato ma ulteriormente peggiorato dai decreti attuativi, i quali consentono all’impresa di utilizzare le informazioni raccolte tramite telecamere di sorveglianza, smart-phone e tablet in dotazione al lavoratore.

Accanto a questi principali interventi enunciati, si possono richiamare altre scelte per completare lo scenario della manovra nazionale. Un esempio banale, la festività del due giugno, ricorrenza ormai superata dal consolidamento del dettato costituzionale. Nessuno sogna la monarchia, assetto dello Stato relativo al passato. Altrettanto vale per il 25 aprile e primo maggio. Non solo i tre sono giorni festivi inspiegabili nella storia, ma con ulteriori danni provocati dai ponti che le festività in questione possono determinare. La produzione si ferma e cala la ricchezza nazionale, ma gli interessi di borgata (anzi personali) si sovrappongono alle scelte operative che devono condurre ad elevare il tenore di vita, ormai molto compromesso.

Quanto sopra per richiamare l’attenzione su una sintonia delle operazioni pubbliche in modo globale, al fine di superare le differenze nella crescita socio economica dell’Italia.  Abbiamo diversi punti di forza: la moda, la gastronomia, la potenzialità manifatturiera, zone amene e invitanti per il turismo, una solida sanità anche se sta declinando per gli effetti della crisi economica.

La dinamica va tracciata possibilmente in una visione legata al modello renano, ossia europeo, ancor meglio latino, per evitare contaminazioni eccessive dall’altro modello, detto americano, imperniato sul liberalismo selvaggio. Quest’ultimo percorso di crescita, purtroppo già mutuato da oltre oceano, ci regala miti artificiali del bello, ricco e forte, abbandonando l’etica nella vita di fornire opportunità a tutti i cittadini. Abbiamo copiato glihamburger in un Paese che vanta pizze meravigliose e coca cola a scapito del nostro vino eccellente e squisito. Stiamo recependo una quantità di pubblicità, tanta da fare indigestione; pubblicità dappertutto anche sulla televisione pubblica del tutto ingiustificata perché coperta dal canone. La pubblicità ci accompagna in autobus con cartelli, nei locali pubblici, sulla stampa pagine intere vengono impegnate, tramite la radio e purtroppo durante le trasmissioni televisive e persino durante le partite di calcio; di sera il continuo movimento da canale in canale a nulla serve perché tutto l’universo della TV è divenuto campo della reclame.

Inoltre appare opportuno ridistribuire lo scenario delle imposte; un esempio per tutti, una legge approvata dieci anni or sono in Germania considera regolari lavoratrici le meretrici, con protezione sindacale, assistenza sanitaria e diritto alla pensione. Tale inquadramento accerta pure i guadagni e assicura il pagamento delle imposte allo Stato, su un’attività sempre esistita e non eliminabile.

Merita pure una menzione il ruolo importante che riveste l’esercizio giornalistico, al punto da essere soprannominato “Quarto potere”. Il modo di proporre un argomento può determinare una diversità all’impatto coi problemi. Peraltro l’esposizione spesso viene dettata dall’editore, che assume un controllo invasivo sull’attività.

Purtroppo assistiamo al vuoto ideologico attuale (partiti senza ideologie e con capi padronali ma non carismatici). Ciò non vuole assolvere i Governi, composti da politici artificiali, nati sulla corruzione e i mass media, senza la valutazione di parametro professionale, etico e virtuoso. 

Le anomalie riportate rientrano in quella etica ignorata e abbandonata all’anomia, ossia quella malattia sociale in cui non si rispettano le regole.  L’anomia è un postulato sociologico, che è epistemologicamente indimostrabile, ma assume un significato empirico tale da connotare una situazione in cui le norme perdono il loro significato. A questo orizzonte ermeneutico (interpretativo) è forse possibile ricondurre la tensione fra volontà di verità e volontà di illusione, il cui sigillo è conferito dalla maschera quotidiana.

L’anomia si collega al senso civico, caduto negli ultimi decenni in conseguenza di una frastagliata modernizzazione che ci ha indotti a stare attenti ai diritti e assai meno ai doveri. Sono stati distrutti i vecchi legami che tenevano assieme la società di antico regime e siamo giunti alla famiglia nucleare con un solo figlio, adulato, viziato e abituato ad avere tutto, senza un briciolo di dovere. Giuseppe Mazzini delineava il progetto di una comunità democratica, fondata appunto sul dovere; Aldo moro nel 1976 richiedeva un nuovo senso del dovere; gli stessi partiti della Prima Repubblica rappresentavano un veicolo di obbligazioni alimentati dal sentimento civico. Oggi vi sono partiti come scatole vuote e senza ideologia che nascono con principi edonistici. Un tempo era la religione o il sentimento nazionale ad alimentare e sostenere i principi di etica pubblica. Oggi in una società decisamente secolarizzata e con lo Stato nazionale indebolito, il recupero dell’etica diventa più difficile.


[1] La consulenza non trova giustificazione nelle nuove elevate tariffe assegnate ai dirigenti, i quali devono assicurare professionalità e competenza. Devono essere capaci di formulare proposte senza dover ricorrere a studi esterni, che comportano ingenti spese e spesso senza equilibrio.

[2] Questa politica va perseguita convincendo l’Unione europea a modificare le strategie e il modello culturale di politica industriale.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.