Recepire lo spirito dei tempi. Il focus di Giuseppe Rocco

Una concezione populistica e un mondo virtuale stanno emergendo, quasi a costituire un effetto catartico in senso ristoratore, ma si tratta di sensazioni falsate e subdole. Nell’accezione di concezione populistica si pensa alla chiamata in causa del popolo in modo veritiero o falsamente. L’elezione diretta del presidente della Repubblica, a seguito delle primarie, costituisce un esempio. A mio avviso si tratta di una scelta sbagliata, che favorisce candidati facoltosi in grado di sopportare costi immani per l’elezione; inoltre il popolo può essere condizionato da slogan elettorali spesso non realizzabili; infine va annotato che la massa non riesce a entrare nel sottile della personalità e quindi condizionabile, un esempio per tutti l’acclamazione di Barabba nella scelta contro Gesù; ad abundantiam anche Hitler fu eletto dal popolo e Masaniello acclamato dalla massa. 

Come dimostrato, Il popolo può essere manipolato da un imbonitore che profitta di situazioni di crisi per offrire una panacea inverosimile e trascinare l’opinione pubblica con l’ausilio dei mass media. L’esperienza italiana di una Lega che diventa sempre più partito estremo con guizzi di ordine nella vita umana e l’avvento del movimento “Cinque stelle” con proposte scellerate e antistoriche, possono esprimere bene il rischio del populismo. Questa virata a destra dell’opinione pubblica viene facilitata da una globalizzazione incontrollata, in cui la finanza sta quasi annientando l’economia reale e provocando danni irreparabili. In tutto ciò un ruolo preponderante viene svolto dalla radicale insorgenza di una vita virtuale, che si prova ad illustrare come veicolo di civiltà e contemporaneamente di imbarbarimento delle nuove leve.

Sugli autobus, in treno e in locali pubblici dove bisogna attendere si presenta sempre la stessa visione: adolescenti in prevalenza e adulti sono chini con la testa e impegnati a fissare il piccolo schermo di uno smartphone. Considerato che i giovani rappresentano la società del domani, è lecito supporre che ci stiamo progressivamente avviando verso un futuro in cui non sarà possibile rinunciare a un contatto costante con gli strumenti di comunicazione e con i loro messaggi. Nel nuovo circuito mediatico la funzione dei mass media deve essere considerata non soltanto come trasmissione di immagini e informazioni ma come fenomeno che tende a modificare il modo di sentire, il gusto personale, la valutazione delle percezioni. La nuova arte della comunicazione trasferisce all’esterno funzioni svolte da organi del corpo umano e le sottrae allo stesso corpo in qualche misura amputandolo.

Da numerose ricerche empiriche negli ultimi anni, si evince che i media producano degli effetti reali di clonazione sulle persone e sulla società di grossa valenza. Tra gli effetti più significativi si riscontra quello che possiamo chiamare “tramonto della tradizione”; in effetti i media devono gran parte del loro successo alla capacità di confezionare un avvenire piacevole e convincente a fronte dei comportamenti sociali obsoleti, quasi un mondo privo di difetti e problemi. In tale illusione, la realtà fisica vien sostituita da quella artificiale appalesata dai media, annullando la distanza fra esseri umani e media: gli individui vengono progressivamente rimpiazzati da simulacri e miti in un circuito di grande fascino. Si acquisisce l’idea convincente che la televisione stia modificando l’apparato cognitivo dell’uomo medio; inoltre si sta sviluppando un rapporto fisico molto stretto tra le interfacce mediatiche (smartphone e tablet) e le nostre mani: accade che il sistema mediatico tende a fondersi con i corpi degli esseri umani, in una griglia di media biologica, innovando le tradizioni e controllando un nostro mondo emozionale.[1]

I dispositivi digitali creano dipendenza perché ci gratificano all’istante, diversamente dalla gioia duratura di un’attività impegnativa. La gratificazione superficiale è immediata ma volatile e viene cancellata da un’ulteriore sollecitazione. Diminuiscono le interazioni sociali reali poiché manca la gioia dell’esperienza: giocare a calcio, a biliardo, a carte. Siamo passati da una adolescenza dinamica ad un’adolescenza statica.

Bisogna prendere atto della nuova dimensione. Le vicende di un immaginario conducono l’arte della cartografia a consentire di creare mappe che si sovrappongono completamente allo spazio geografico di riferimento. La nostra esperienza di rapporto con l’ambiente fisico è sempre maggiormente vissuta attraverso gli schermi e le interfacce degli strumenti di comunicazione. Quando si parla di piazza ci si riferisce al sagrato sotto il campanile della chiesa, punto di incontro centrale dei cittadini del Paese, per commentare i fatti di cronaca, per esaltare la propria squadra, per trovare momenti di incontri suggestivi e spontanei fra amici. L’opinione pubblica si è evoluta, in quanto lavora col telefono, col cellulare, con internet, in modo vicino ma lontano avviando i rapporti ad opachi commenti e ad una socialità malinconica. La città ha favorito l’individualismo con le sue leggi di ordine. Si pensi a quando si fruisce della trasmissione di un concerto nella propria abitazione con un impianto di elevata qualità. La riproduzione digitale trasporta l’ascoltatore nel luogo dove i musicisti operano e suonano, facendo scomparire i problemi che si percepirebbero se si fosse presente: rumori per il bisbiglio degli spettatori, distrazioni prodotte dall’ambiente, ecc.

La cultura di massa si configura tendenzialmente laica e profana e pone l’accento sul godimento individuale presente, in cui il rapporto estetico restituisce un confronto quasi primario (ludico) col mondo. Nel nuovo contesto, favorito dai mass media, l’immaginario diviene l’aldilà multiforme e pluridimensionale della nostra vita, nella quale siamo ugualmente immersi. In fin dei conti, questa cultura, divinizzata dalla televisione, costituisce una sorta di sistema neuro-vegetativo da cui la vita reale dell’immaginario e l’immaginario della vita reale traggono linfa, secondo un duplice moto di proiezione e di identificazione. Con il successo del Web e delle nuove tecnologie di comunicazione, il crescente trasferimento dell’esistenza delle persone all’interno del mondo mediatico e digitale ha fatalmente ridotto le distanze tra il menage quotidiano e quello che accade al di là degli schermi. In altre parole gli esseri umani rinunciano a vivere direttamente le esperienze per sperimentarle attraverso i media, i quali offrono soluzioni già pronte, ossia spettacoli accuratamente confezionati. Gli spettatori praticano col riconoscimento o l’identificazione, una piena immersione nello spettacolo con tutte le sue emozioni, portandolo in un mondo irreale che viene creduto realistico e attendibile. Ne discende che lo spettacolo si presenta totalmente fuso con la cultura sociale e pertanto sono i media e le loro rappresentazioni a dominare. Diventa però difficile per gli spettatori riuscire a riconoscere il confine esistente fra la realtà e la rappresentazione che ne viene fornita dai mass media.

La televisione di recente ha perso la sua posizione monopolistica dovendo condividere l’egemonia con il web. Operano con metodologie diverse e quindi complementari. Il mezzo televisivo ha modificato la sua natura, adattandosi in misura crescente all’emergente contesto mediatico. Ha assunto profili inediti, quali la nascita di nuovi canali digitali con proposte diversificate, ha variato i contenuti; ha coinvolto il telespettatore con telefonate effettuate in diretta; ha lanciato i “reality show”, i quali portano persone comuni al centro della scena televisiva e con maggiore trasporto per il fruitore passivo seduto sul sofà. I processi di identificazione tra lo spettatore e la rappresentazione che viene posta in scena sono rintracciabili nei vari spettacoli, ma il reality show li intensifica poiché il suo obiettivo primario tenta di ridurre quella sensazione di distanza prodotta dal mezzo televisivo. Quando lo spettatore vota per eliminare un concorrente, in realtà elimina se stesso in quanto quel concorrente gli rassomiglia. La televisione diventa una sorta di specchio che non parla allo spettatore, ma quest’ultimo parla a se stesso.

Nelle società di una volta gli individui reiteravano il proprio passato, anche attingendo alle religioni che contribuivano in maniera rilevante ad attribuire un valore temporale alla vita umana, mettendo quest’ultima in relazione con Dio. Nell’età digitale il futuro è divenuto il polo verso cui indirizzare l’intero sistema sociale. La concezione del tempo dell’età moderna è una fervente laicizzazione all’insegna di un processo strutturato. Questa rappresentazione del tempo come omogeneo, rettilineo e vuoto nasce dall’esperienza del lavoro industriale, che stabilisce la preminenza del moto rettilineo uniforme rispetto a quello circolare. Il tempo senza tempo tende a comprimere il tempo e rendere confusa una sequenza cronologica. In tal modo abbiamo un tempo denso e stratificato, in cui si possono svolgere molteplici operazioni simultanee e in maniera indipendente dal luogo in cui ci si trova. I media hanno un’elevata responsabilità nella consistente mutazione che sta subendo il concetto di tempo, ciò è dovuto anche al fatto che essi consentono di registrare e di mandare in onda numerose volte quello che si vuole. La televisione è il mezzo che ha introdotto la possibilità che la giovinezza di una generazione non scompare ma viene trasmessa alle generazioni successive. Il profilo Facebook consente un insieme di momenti bloccati nel tempo, di istanti già accaduti. Gli individui così tengono il passo del loro vorticoso ritmo di cambiamento. Tutto è rinvenibile nel web, immediatamente disponibile se si riscontra di avere necessità.

Si è rafforzata all’interno di ciascun mezzo la presenza di una società simulata e dinamica, vale a dire di società messa in scena dentro il mezzo che prevede pure la presenza dello spettatore. I media creano l’illusione di sentirsi parte di una grande comunità, che sta condividendo nello stesso momento il medesimo evento. Ovviamente ciascuno vive isolato nella sua postazione, ma fruendo di messaggi collettivi si sente parte integrante di una comunità immaginata. In realtà (il caso di Facebook) i soggetti vivono una condizione di profonda solitudine, per effetto del ruolo sostitutivo esercitato dai media nei confronti della vita sociale delle persone. Numerosi iscritti e soci si qualificano come amici mentre sono degli sconosciuti, anche se si ha l’impressione di trovarsi davanti a una platea coinvolta nelle proprie sensazioni.

Nella gamma dei poteri magici dei media, dobbiamo introdurre alcuni elementi negativi. In primo luogo la pubblicità che toglie tempo e stacca dalla realtà, in un delirio di notizie ridondanti. In secondo luogo l’annotazione perpetua che scatta con le registrazioni sul web: si possono individuare le preferenze politiche, i movimenti effettuati, lo stato di salute e tante informazioni relative alla personalità. In terzo luogo la condizione psicologica del soggetto che, come si diceva, partecipa a gruppi ma resta di fatto isolato socialmente infelice. In quarto luogo i servizi (come i reality) raccontano con dovizia e con la massima indifferenza ogni relazione proibita e forme di pornografia che un tempo era impossibile nominare. In quinto luogo la spettacolarizzazione di tutto, compresi i servizi su omicidi, che vengono ripresi in diversi canali con tenacia a trasformare un delitto in uno spettacolo infinito. In sesto luogo si cita la banalizzazione della memoria umana, che viene delegata all’esterno; trovare la radice quadrata o effettuare una semplice operazione viene deferita alla macchina ed evitando di allenare la memoria: un vero errore considerare il proprio cervello come un computer obsoleto! Ogni dispositivo tecnologico non può sostituire l’intelligenza umana, ma deve essere concepito come un mezzo idoneo al servizio sinergico e in simbiosi col nostro cervello.


[1] Per maggiori approfondimenti consultare il volume “Il tramonto della realtà” di Vanni Codeluppi ed. Carocci.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.