Simbiosi tra latino e italiano. Il focus di Giuseppe Rocco

Nel mondo si parlano migliaia di lingue (oltre 6.500), secondo l’Atlante internazionale delle lingue, pubblicato dall’Unesco nel 2009. Nel corso della storia, alcune famiglie linguistiche hanno colonizzato zone vastissime. Spesso è avvenuto con l’uso della forza per imporre il proprio dominio, come il latino diffuso dall’esercito romano in gran parte dell’Europa e anche in altri continenti. Indi con l’avvento del periodo delle colonie, la supremazia della nazione madre ha imposto lingue come l’inglese, il francese, lo spagnolo e il portoghese. In altri casi il prestigio e la potenza economica hanno determinato trasformazione e ricezione della lingua, come nel caso degli Usa. In molti paesi vi sono lingue parlate o etnie che non hanno ottenuto il riconoscimento delle lingue ufficiali, le cosiddette lingue minoritarie.

Gli idiomi in Europa sono prevalentemente delle lingue indo-europee, ossia delle lingue parlate dall’Europa all’India; le parlate del gruppo indo-europeo sarebbero nate sulle rive del Volga, diversi millenni orsono. Ma, pur avendo quasi tutte una stessa origine, le lingue europee si sono evolute con differenziazioni; ritroviamo le lingue slave, le lingue germaniche, le lingue celtiche e le lingue latine. Queste ultime derivano dagli etruschi, che presero in prestito l’alfabeto dai greci, i quali avevano utilizzato quello fenicio. Roma esercita un’influenza importante sul bacino mediterraneo durante l’antichità e per questo diviene una lingua di massa, in quanto pone fine all’esistenza di altri dialetti. La lingua latina si afferma come una lingua oratoria e viene praticata molto nell’esercizio della giurisprudenza, del diritto e della politica.

La lingua che più somiglia al latino è Il dialetto sardo; in un contesto più generale, le lingue del sud Italia sono quelle che più si avvicinano al latino, mentre al nord se ne distaccano. Data la presenza del Vaticano in Italia, ove ancora il latino figura come lingua ufficiale, non sorprende che l’italiano sia la lingua che più resta vicina al latino.

Le differenze linguistiche si devono agli avvenimenti storici che hanno interessati i diversi paesi. Ogni lingua è stata influenzata da altri idiomi. Per esempio: il francese ha raccolto molto da arabo, spagnolo e Italiano; lo spagnolo ha preso dal francese e dall’arabo; l’Italiano è stato influenzato dal francese; il rumeno ha interiorizzato la lingua della Dacia ed è molto vicino ai dialetti del sud Italia. Per quanto le somiglianze tra lingue siano notevoli, il fatto di aver subito o meno influenze germaniche distingue le lingue: come ad esempio il francese dall’italiano. La lingua designata come italiano ufficiale è il toscano di Dante Alighieri. Tutte queste lingue regionali o tutti questi dialetti, all’origine, provengono dal latino.

Il latino inizialmente era la lingua di alcune tribù indoeuropee originarie dell’Europa centro-orientale. Esse, dopo essersi insediate nel Lazio, danno origine nell’VIII secolo a.C. alla città di Roma. In seguito, con l’affermarsi della potenza romana, il latino si diffonde dapprima sul territorio della penisola, poi nelle regioni conquistate e assoggettate, fino a diventare la lingua ufficiale in uso in tutta l’area del mediterraneo. Quando però l’Impero romano, tra il IV e il V secolo d.C., comincia a disgregarsi sotto l’urto delle cosiddette invasioni barbariche, la lingua latina perde la sua centralità e la sua forza unificante anche nei territori dell’Europa più romanizzati.

Così mentre il latino scritto, usato negli atti amministrativi e nelle opere letterarie, rimane ancora per molti secoli una realtà abbastanza omogenea, il latino parlato (o latino volgare, cioè parlato dal vulgus, “popolo”) prende a evolversi in modo autonomo e diverso da zona a zona. Di fatto, intorno al V-VI secolo d.C., in alcuni territori, come in Europa centrale e in Inghilterra, il latino scompare e viene sostituito da lingue germaniche che sarebbero diventate l’attuale tedesco e l’attuale inglese; nei territori dell’Europa occidentale, invece, dove il processo di romanizzazione era stato più duraturo e profondo e l’uso della lingua più radicato, si continua a parlare il latino; un latino ben diverso, però, che si mescola progressivamente con le lingue dei popoli invasori di origine germanica e le parlate locali preesistenti.

Dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente il latino rimane a lungo in Italia l’unica lingua impiegata nella comunicazione scritta, la sola a essere utilizzata nella letteratura, nei documenti e nei luoghi ufficiali. I primi documenti scritti in volgare, cioè la lingua parlata del popolo in una certa regione e che ora chiamiamo dialetto, sono le sentenze di Cassino (Frosinone) del 960 d.C. La lingua volgare scritta verso il 1200 viene utilizzata anche nei testi letterari. Del 1224 è il famoso “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi, scritto in volgare umbro.

Dello stesso periodo sono le liriche dei poeti siciliani della corte di Federico II di Svevia. Si ispirano ai poeti provenzali francesi e fondano a Palermo una vera e propria scuola poetica in volgare (dialetto) siciliano. La poesia dei siciliani riscuote un tale successo che subito viene imitata anche in Toscana. Con gli Arabi, che sono in Sicilia dall’827 al 1091 e che hanno frequenti scambi commerciali con le città marinare, arrivano termini orientali, soprattutto del mondo marinaresco, economico e scientifico.

Nel trecento il volgare comincia ad avere uguale dignità rispetto al latino per l’uso letterario. Tra i due volgari italiani più usati, si affermano il siciliano e il toscano, con spicco del toscano fiorentino. Questo perché enfatizzato, nel giro di pochi decenni, da famosi scrittori in volgare: Dante, Petrarca e Boccaccio. Il primo è Dante Alighieri che decide di scrivere una colossale opera che sta tra la metafisica e la fantascienza, con il suo fantastico viaggio attraverso l’inferno, il purgatorio ed il paradiso. Poi Francesco Petrarca che scriverà sublimi e tenerissime poesie d’amore per la sua amata, Laura; indi Francesco Boccaccio che scrive il Decamerone, una raccolta di racconti a tema umoristico/erotico. Tutti e tre saranno molto letti dai loro contemporanei e avranno enorme influenza, per emulazione, sulla lingua degli scrittori delle altre regioni italiane. Nel ‘400 si ha un ritorno al latino attraverso la riscoperta dei classici greci e latini. Gli umanisti, come si chiamavano questi studiosi, ritrovano testi che si credevano perduti e scoprono opere di cui si ignorava l’esistenza. L’ammirazione per il mondo classico crea il desiderio di imitare gli scrittori antichi e il latino viene considerato l’unica lingua nobile per la letteratura.

Questa situazione di decadenza del volgare termina solo verso la fine del secolo, quando alcuni grandi autori (ad esempio Lorenzo il Magnifico) tornano a credere nelle potenzialità del volgare e lo usano nelle loro opere.

Intorno al 1470, con la diffusione della stampa anche in Italia, si ha una maggiore circolazione dei libri, e si prova a ricercare regole fisse che rendano più stabile la scrittura delle parole. Il cinquecento emerge come secolo del grande dibattito ai fini della scelta del volgare da usare. Le guerre e le dominazioni straniere portano in Italia un gran numero di francesismi e di spagnolismi. Molte sono però anche le parole che l’Italia esporta per la supremazia italiana in campo culturale e artistico. Nel seicento sono molte le innovazioni linguistiche. Il bisogno di suscitare meraviglia nel lettore spinge gli scrittori a inventare in gran numero metafore anche discutibili, a scoprire parole nuove, a mescolare parole eleganti e altre della vita quotidiana e pratica, voci dialettali e straniere a vocaboli tecnici. Nel settecento si diffonde l’illuminismo e il culto della ragione, mentre l’ottocento è caratterizzato dalla polemica tra classicisti e romantici. I primi, contrari all’abuso dei francesismi dei letterati del settecento, preferiscono il ritorno all’eleganza della lingua della tradizione e l’imitazione dei classici. I romantici, invece, vorrebbero una lingua moderna e fresca, capace di aderire alla realtà del paese, per diventare uno strumento verso l’unità politica dell’Italia. Con l’unità politica, il Regno d’Italia, inizia il processo di unificazione linguistica della penisola.

Per una condizione mentale non del tutto anomala e probabilmente per una suggestione, si associa il latino alla nostra suggestiva penisola e alla sua identità nazionale; identità definita dalla musica, da imprese sportive, da tradizioni consolidate. Il pensiero corre al Risorgimento, che va riconsiderato nella storia, poiché l’Italia esisteva prima che divenisse uno Stato. Infatti l’idea dell’Italia nasce dalla cultura e dalla grandezza di Dante e di Giotto, passa attraverso il Rinascimento e rinasce nell’ottocento. Forse si può accettare l’idea che non è stato il Risorgimento a fare l’Italia ma è stata l’Italia a fare il risorgimento. Qualche ricordo può rinsaldare il concetto: Ugo Foscolo si commuove a Santa Croce davanti al sepolcro di Vittorio Alfieri ed esclama “e l’ossa fremono amor di patria”; Giacomo leopardi vede il monumento che i fiorentini stanno erigendo e scrive “Volgiti indietro e guarda o patria mia”; Alessandro Manzoni compone 21 marzo 1821 per esaltare il coraggio di chi si ribellava all’Impero austriaco; Giuseppe Verdi corre a Roma per festeggiare la Repubblica assistendo al suo Macbeth al teatro Argentina.

L’idea nazionale si è rivelata un traino per pensatori, statisti, operai e artigiani, che hanno lottato per un ideale, sacrificando la propria vita. Non a caso i cortei scandivano il nome di Giuseppe Garibaldi e le mamme raccontavano ai propri bambini che sarebbe arrivato un generale italiano a sanare le ingiustizie, in modo che da adulti avrebbero potuto vivere in condizioni dignitose.

L’intreccio tra la visione del patriottismo e dell’unità nazionale può essere avvertito come una conferma della lingua madre, ossia il latino.

Attualmente l’italiano si classifica al 21º posto tra le lingue per numero di cittadini nel mondo. Oltre ad essere la lingua ufficiale dell’Italia, è anche una delle lingue ufficiali dell’Unione europea, di San Marino, della Svizzera, della Città del Vaticano. È inoltre riconosciuta e tutelata come “lingua della minoranza nazionale italiana” dalla Costituzione slovena e croata nei territori in cui vivono popolazioni di dialetto istriano.

Si deve in particolare al Manzoni l’aver elevato il fiorentino a modello nazionale linguistico, con la pubblicazione nel 1842 de “ I promessi sposi””, che sarebbe diventato il testo di riferimento della nuova prosa italiana. In seguito, fattori storici quali l’unificazione politica, la mobilitazione e il mescolamento degli uomini nelle truppe durante la la prima guerra mondiale, la diffusione delle trasmissioni radiofoniche e televisive hanno contribuito a una diffusione graduale dell’italiano. Sono entrati in Italia molti termini stranieri, comprensibili con l’evoluzione delle comunicazioni.

La lingua italiana è priva di organismi ufficiali di normazione. Nonostante vi siano numerose istituzioni dedicate al suo studio e alla sua promozione, nessuna di queste è ufficialmente deputata all’elaborazione attiva di regole linguistiche, per esempio una grammatica normativa, sul modello della Real Academia Espanol, dell’Académie francaise, delle accademie portoghesi (lusitana e brasiliana) o altre. Un riferimento di rilievo si riscontra nell’Accademia della crusca, che si propone lo scopo, espresso nell’articolo primo del suo statuto, di “sostenere la lingua italiana, nel suo valore storico di fondamento dell’identità nazionale, e di promuoverne lo studio e la conoscenza in Italia e all’estero”.

Nel secondo dopoguerra, la Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi, prevedendo scuole private senza oneri per lo Stato. Scatta l’obbligo e la gratuità per almeno otto anni, introducendo un sistema di evoluzione culturale. Il dibattito in materia è acceso, fra cattolici e laici, prevalendo il primato umanistico. Negli anni si annidano alcuni progressi visibili, come il latino opzionale nella scuola media unica, per rispondere ad alcune spinte popolari: scelta di arretramento e di impoverimento per una lingua la cui matrice si trova nel latino; altra scelta sostanziale riguarda la possibilità ai diplomati degli istituti superiori con corso quinquennale ad accedere a tutte le Facoltà. La società del benessere tende alla massificazione scolastica e universitaria, tendenza che unifica i ceti in una concreta dialettica.

Con riferimento al tema in oggetto, pare opportuno richiamare che la lingua latina, con le ovvie trasformazioni generazionali ed etniche resta l’idioma più parlato: 500 milioni lo spagnolo, 230 il portoghese, 100 il francese, 65 l’italiano, 35 il rumeno; con un totale di eredi del latino pari a 930 milioni di cittadini, senza contare le lingue minori. come il ladino. L’inglese coinvolge per 350 milioni, quota sensibilmente più bassa.

La lingua latina ha dimostrato una penetrazione e tendenza a radicarsi in sistemi linguistici di altra origine. A dimostrazione dell’universalità, numerose parole di matrice greca (come filosofia) ed etrusca (come persona) si sono diffuse passando attraverso il latino. Praticamente è diventato un grosso serbatoio in cui attingono anche idiomi slavi e germanici.

L’assurda e incomprensibile lotta contro il latino a scuola, che riemerge periodicamente con la complicità di ministri maldestri e sprovveduti, non tiene conto degli aspetti genetici e fondamentali del nostro colloquiare. Certamente a scuola prevale un approccio grammaticale, ma il riferimento consente un adeguato lessico e una migliore concordanza; ad esempio le concordanze al dativo di reminiscenza latina: inerente a… e attinente a… Purtroppo spesso si legge su libri e giornali attinenti e inerenti il (oggetto) non corretto. Servirebbe un consistente rilancio della lingua madre, come palestra delle generazioni future per conservare quella capacità lessicale e quella correttezza sintattica, tenendo conto di altre enormi potenzialità. A fortiori dobbiamo rammentare che lo stesso diritto, improntato alla civil law, è fondato sul diritto romano; fra l’altro e per esteso i sistemi di common law di origine inglese esprimono in latino molti termini importanti.

Dobbiamo quindi riconoscere a questa lingua la versatilità di interfacciarsi e il punto originale di partenza, nonché come viadotto verso altre culture. La spinta dovrebbe partire dall’Italia, che ha il merito di averla vista fiorire con vigore.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.