La vita quotidiana a Venezia nel secolo di Tiziano. La recensione

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La vita quotidiana a Venezia nel secolo di Tiziano” è un libro di Alvise Zorzi, che ho particolarmente apprezzato e che mi è stato assolutamente utile per documentarmi nello scrivere il libro Il Signore di Notte, che, pur essendo un giallo ambientato nella Venezia del 1605, contiene spiegazioni sul funzionamento della Serenissima.

La Venezia del Rinascimento

È un libro che quanto a informazioni non scherza.

L’autore, lo storico Alvise Zorzi, tra i massimi conoscitori e studiosi della Serenissima Repubblica, tocca ogni aspetto della vita politica, economica, religiosa e privata degli strati sociali che componevano la variegata, sfavillante e cosmopolita Venezia del Cinquecento, un secolo spartiacque tra l’impetuosa crescita di quelli precedenti e il lento declino dei successivi. Tuttavia la Serenissima resterà ancora a lungo uno stato illuminato, ineguagliato nel resto d’Europa per creatività artistica, libertà di costumi e indipendenza intellettuale. Ben undici secoli tondi tondi, dall’elezione del primo doge nel 697 alla caduta nel 1797; ma anche 1601 anni se si considera il 25 marzo del 421 come data della fondazione della città voluta dalla tradizione.

L’accostamento al grande Tiziano Vecellio, nato probabilmente a Venezia nel 1490 e ivi deceduto il 27 agosto 1576 insieme al figlio Orazio durante la disastrosa epidemia di peste (1575-1577), è quasi dovuta per l’importanza che ha avuto il pittore nella consacrazione artistica della città insieme ai molti artisti che fecero del ‘500 il secolo del suo splendore. In pratica dietro il suo nome potremmo tranquillamente leggere quelli del Sansovino, del Tintoretto, del Veronese, Giorgione, Palladio e altri ancora.

“Una città variopinta”

Intanto “Una città variopinta” è il titolo di uno dei primi capitoli che parla da sé: lo Zorzi si sofferma a descrivere l’amore per la cromaticità dei veneziani, a partire di colori degli abiti, passando a stravaganze come i “calcagnini”, zoccoli femminili di altezze vertiginose, fino a 50 centimetri, per finire al rosso dei mattoni che si riflette nei canali. “Venice la rouge” disse uno scrittore francese di questa città che a metà circa del Rinascimento, con i suoi 170.000 abitanti, era la terza più popolosa in Europa, dopo Napoli e Parigi che ne contavano circa 200.000. È un fenomeno in continua trasformazione e l’autore non manca di mettere in evidenza questo continuo rimescolarsi di tradizioni e novità nel crogiolo commerciale che sta fisso a fare da sfondo all’evolversi o al regredire della società veneziana, della sua politica, dell’economia, dell’arte e di ogni altro aspetto pubblico e individuale.

Le classi e le categorie sociali

La disamina delle classi sociali, nettamente divise, eppure tutte insieme cooperanti alla vita e al benessere di Venezia, è esaustiva pur nell’essenzialità con la quale l’autore le elenca puntualmente: dal ceto nobiliare, detentore del potere in modo esteso, al popolo, passando per la classe cittadinesca che forniva i ranghi burocratici dello stato. Non tralascia neppure le categorie cosiddette “marginali”, come le prostitute e gli schiavi, tanto per citarne un paio, e quella comunità segregata per eccellenza, gli ebrei.

A proposito di quest’ultima il nome stesso di “ghetto” è nato a Venezia e non era affatto quell’inferno umano che la parola ci induce oggi a pensare. Anzi, una “condotta”, cioè un accordo tra stato e comunità giudea, ne regolava la vita, riconoscendo ai giudei il diritto a un auto governo, pretendendo però in cambio una non indifferente imposta. Tuttavia, pur tra diffidenza e limitazioni, la comunità ebraica potrà prosperare fino a sostituire i mercanti veneziani nei rapporti con l’oriente quando i capitali dei primi prenderanno strade diverse da quella dei commerci marittimi.

Schiavi, prostituzione e “moneghini”

A Venezia veniva riconosciuto uno stato giuridico anche agli schiavi, impiegati soprattutto come domestici, ma anche nei campi e nei lavori di pubblica utilità, che potevano possedere beni e adire a vie giudiziarie; si regolava la prostituzione che costituiva un importante cespite per le entrate dello stato. Sfruttando la massiccia presenza di mercanti, cioè uomini soli che giungevano in città per questioni di affari, verso la metà del Rinascimento si conteranno 11.654 “femene pubbliche”, tutte tassate, dalle donnacce da pochi soldi che si vendevano nella zona cosiddetta delle “carampane”, alle ricche cortigiane come Veronica Franco e Angela Dal Moro, detta “la zaffetta”. Saranno anche bersaglio di un’imposta straordinaria volta a finanziare il dragaggio dei canali e protagoniste di una clamorosa protesta contro una concorrente minacciosa, l’omosessualità, perché il ‘500 ha avuto anche questo aspetto. Pronta la risposta del governo: autorizzazione a esporre gambe e seni nudi alle finestre in modo da attrarre gli uomini. Conseguenza: esiste ancora oggi un ponte chiamato “ponte delle tette”!

Inoltre aveva larga diffusione il fenomeno dei “moneghini”, uomini che si intrufolavano nei conventi per circuire le ragazze colà rinchiuse controvoglia da famiglie che non volevano scucire per loro una dote e alle quali, insieme al sogno di una normale vita coniugale, erano cadute pure le inibizioni. I conventi veneziani oramai godono di pessima fama, tanto che l’ambasciatore presso la Santa Sede nel 1585 riferisce come papa Gregorio XIII ha saputo che alcuni monasteri sono “ridotti… a pubblici postriboli”.

Forestieri, matrimoni misti e figli naturali

Ci sono poi i forestieri che risiedono stabilmente in questa città di assoluta vocazione commerciale e che, come tale, li accoglie ben volentieri pur attenta a regolarne la vita.

Di ciascuno di questi segmenti della società Zorzi narra riti e tradizioni, come il complesso iter matrimoniale tra i casati patrizi, un mezzo per sancire alleanze commerciali e politiche. Spiega come con il trascorrere del tempo il patriziato si arrocca su se stesso, rendendo sempre più complicate le unioni matrimoniali con i membri di altre classi e come avere amanti non costituiva affatto uno scandalo. Anzi, Alvise Zorzi ci fa sapere come i padri patrizi riconoscevano volentieri anche i figli nati da unioni extra matrimoniali e si adoperassero per il loro miglior futuro, come la donna acquistava autonomia con lo sposalizio, raggiungendo la massima con la vedovanza, come fosse tutelato il suo patrimonio anche nel caso si trovasse maritata a un dissipatore.

Rituali civici e religiosi

Il testo non manca di affrontare i rituali civici e religiosi, la vita economica nelle sue massime espressioni, cioè il commercio e le arti o corporazioni che organizzavano e regolavano ogni aspetto dell’economia, dalla produzione alla distribuzione dei beni.

Non poteva certo mancare un capitolo dedicato alla marineria veneziana, orgoglio di tutta la nazione, e che aveva nell’Arsenale la sua punta di diamante. L’Arsenale è stato per lungo tempo la più grande “industria” d’Europa, industria di stato capace in particolari periodi di sfornare quasi una galea al giorno e dar lavoro a quattromila, o forse seimila, “arsenalotti”. Si affrontano anche la situazione della cantieristica privata e luci ed ombre dell’una e dell’altra, come funzionava la marina da guerra e quella commerciale, le cariche navali il complesso arruolamento degli equipaggi, scendendo fino alla vita di bordo e al rancio per le ciurme.

Le istituzioni

Circa le istituzioni e il funzionamento dello stato lo Zorzi analizza il complesso organigramma della Serenissima che nel Maggior Consiglio, aperto a tutti i figli maschi della classe patrizia, aveva il suo fulcro. Dal Maggior Consiglio dipendevano tutte le nomine in apparati statali, giudiziari, amministrativi e altro.

Il Doge costituirebbe il vertice di questa stramba repubblica che ha a capo un principe eletto dal Maggior Consiglio, che non riconosce eredità dinastiche e che lo controlla strettamente tramite il Minor Consiglio formato da sei membri eletti uno per sestiere. In verità il vertice dello stato è la Serenissima Signoria composta da lui stesso, dal Minor Consiglio e dai tre capi della Quarantia Criminal, il massimo organo giudiziario. Del doge si diceva che nulla si poteva fare senza la sua presenza, ma lui da solo non poteva fare niente. Infatti è il doge a presiedere i principali organismi della repubblica, a partire dal Maggior Consiglio, ma in questi il suo voto vale uno, cioè quanto quello di qualunque altro membro.

Puntuali anche le disamine sul Senato, il Collegio, il Consiglio dei Dieci, gli Inquisitori di Stato e gli organi giudiziari quali le Quarantie Civili e Criminali, gli Avogadori di Comun, I Signori di Notte al Criminal e al Civil, i Giudici del Proprio, gli Esecutori alla Bestemmia, i Capi Sestiere e altri ancora, ma lo Zorzi naviga in acque conosciute e sa bene districarsi in un organigramma oltremodo complesso.

Carceri, giustizia e leggende da sfatare

Una parte importante della “vita quotidiana” è riservata al funzionamento della giustizia e delle carceri. Sfatate le leggende nere sul Consiglio dei Dieci e sugli Inquisitori di Stato che hanno ammantato per lunghi anni una storiografia assolutamente distante dal vero. Infatti erano questi principalmente organismi di controllo sul patriziato in primis e per ostacolare la propagazione dei segreti di stato, una sorta di controspionaggio diremmo oggi, e non per opprimere il popolo che, anche nelle ore più buie, è sempre stato dalla parte del suo governo. Il testo aiuta anche a fare chiarezza sui nomi delle istituzioni: per esempio nel Consiglio dei Dieci, in dieci non furono mai, ma nelle varie epoche i membri sono passati da un massimo di quarantadue fino a un minimo di diciassette; oppure il nome Quarantie lascerebbe intendere quaranta giudici e non i centoventi quali erano davvero.

Recensire compiutamente l’opera dello Zorzi, toccando nei dettagli ogni argomento, è davvero arduo. Non resta che leggerla, magari in qualche biblioteca, oppure acquistando copie usate reperibili un poco ovunque in internet, perché non è più stata ristampata.

articolo originale

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About Gustavo Vitali

Sono nato a Milano il 4 agosto. Non dico l’anno perché al riguardo sono un tantino ritrosetto ... Da oltre trent’anni vivo nella bergamasca. Ho due figli, Federico e Claudio. Istruzione: liceo scientifico e scienze politiche. Nessuna lode particolare: “È un ragazzo intelligente, ma non si applica abbastanza!” l’invariabile, ancorché poco appagante, giudizio dei miei insegnanti. Cosicché anni dopo la laurea è finita in soffitta, complice l’attività di famiglia, poi mia, dalla quale sono stato risucchiato. Ho anche fondato e diretto per una dozzina d’anni una rivista di settore. Passioni: il volo in parapendio ultima in ordine di tempo, cosa che mi ha portato a ricoprire da anni il ruolo di ufficio stampa nella FIVL (Associazione Nazionale Italiana Volo Libero – parapendio e deltaplano). Ovvio che non è stata la passione per il volo a spingermi a scrivere “Il Signore di Notte”, un giallo ambientato nella Venezia dei dogi! Lo è stata, invece, quella per la storia, da sempre. Ricordo che da ragazzino preferivo i sussidiari ai fumetti e leggevo la storia antica come fosse un romanzo d’avventura. Il vizio è rimasto in giovinezza e poi oltre, fino a oggi. Però come sia sorto l’interesse per la storia dell’antica Serenissima in particolare non saprei dire. Fatto sta che ho cominciato a leggere autori come Alvise Zorzi e altri storici che si sono occupati della sua storia lunga undici, forse tredici secoli. Quindi sono un lettore a senso unico: storia e ancora storia con qualche deviazione per la letteratura gialla. Congiunto alla passione per la storia, il vizio di non saper trattenere i ditini dalla tastiera. Prima la Olivetti “lettera 32” e poi il personal fin dagli anni ’70, quando costavano un botto. Anche la stilografica, prima di macchine da scrivere e computer, ha fatto il suo corso. Ecco perché “Il Signore di Notte” è insieme un racconto giallo con brevi riferimenti storici, una trama inventata, ma i personaggi sono reali, vissuti nel 1605, l’epoca dove l’ho ambientato. www.gustavovitali.it