MUTINA RIVIVE CON I “VARCHI NEL TEMPO” E LA STREET ART 3D

KURT WENNER, LEON KEER, JULIAN BEEVER, EDUARDO RELERO E VITO MERCURIO A MODENA DAL 12 AL 14 MAGGIO PER FAR RIEMERGERE SPAZI DELLA CITTÀ ROMANA SEPOLTA CON L’ARTE ANAMORFICA.

Sono cinque gli street artist internazionali che partecipando a “Varchi nel tempo” a Modena, dal 12 al 14 maggio sfonderanno illusoriamente la pavimentazione della città in cinque diversi luoghi del centro storico, per “svelare” con la Street art 3D i siti più significativi della città romana di Mutina, celata nel sottosuolo.

Bozzetto Eduardo Relero_Terme Palazzo della Provincia

Kurt Wenner, statunitense, operativo a Palazzo Carandini sull’Anfiteatro, è l’artista più noto per l’invenzione di questa forma d’arte illusionistica e interattiva tridimensionale. Tra i suoi lavori in oltre 30 paesi del mondo, opere a grande scala pittoriche, scultoree, decorative, installazioni 3D e di design architettonico. Dopo una formazione artistica di stampo classico e studi di geometria che l’hanno portato a lavorare per la Nasa come illustratore tecnico spaziale, è approdato a questa originale forma artistica ed ha abbandonato per lungo tempo gli Usa per vivere in Italia, seguendo la sua passione per l’arte classicistica. Da diversi anni tiene conferenze, corsi e dimostrazioni presso istituti d’arte e design internazionali, musei di diversi Paesi, e per gli Studi della Disney e della Warner Bros. Ha avuto numerosi riconoscimenti per il suo contributo al sostegno e alla diffusione dell’educazione artistica.

Leon Keer, olandese, all’opera davanti a S. Biagio per il Capitolium, ha appreso le tecniche pittoriche lavorando sul design e la produzione di prodotti commerciali per multinazionali come Coca-Cola. Ha eseguito opere su commissione in diverse parti del mondo: oltre all’Europa, Usa, Emirati Arabi e Australia. L’abitudine a lavorare su diversi tipi di supporto lo ha portato a interessarsi di sperimentazione di materiali e tecniche innovative. Le sue opere sono state esposte in diverse gallerie d’arte dei Paesi Bassi e del Regno unito. Il suo lavoro è stato presentato a numerosi festival artistici in Europa e negli Stati Uniti. Nel corso della carriera ha spesso presentato la sua arte sottoforma di “live-action-painting performances”. La sua abilità come street artist gli ha permesso di condividere il piacere della creazione artistica con il pubblico della strada.

Julian Beever, britannico, alle prese con la Domus di piazza Grande, è noto in tutto il mondo per le sue opere pavimentali, soprattutto illusioni anamorfiche, create con una particolare distorsione che conferisce l’impressione di tridimensionalità alle immagini guardate da un particolare punto di vista. La sua attività inizia dopo gli studi artistici all’Università come busker/artista di strada in diversi paesi, dagli Stati Uniti all’Australia. Le sue prime illusioni anamorfiche risalgono ai primi anni ’90. In seguito ha ricevuto commissioni private e pubbliche in molti paesi. Nel 2007 è comparso in 10 puntate televisive sull’arte “Concrete Canvas” (ElectricSky Productions) e nel 2011 è stato pubblicato il suo primo libro “Pavement Chalk Artist” (Firefly edizioni).

anfiteatro di Modena nel lavoro di Kurt Wenner- Palazzo Carandini- via dei Servi 5

Eduardo Relero, argentino, che farà riemergere le Terme al Palazzo della Provincia, concepisce opere per interagire col pubblico che hanno fatto il giro del mondo, da New York a Roma, dal Messico al Giappone. Abbandonati gli studi accademici in favore di esperienze di arte di strada, negli anni ’90 dall’Argentina si sposta in Europa e arriva a Roma, dove può finalmente conoscere dal vero le opere di Tintoretto, Caravaggio e Veronese su cui si era formato, e incontra altri street artists raccolti nella capitale. Cercando sempre di evitare i canali culturali ufficiali, decide di raggiungere la Spagna dove inizia la sua relazione con l’anamorfismo. I primi esperimenti sono confluiti in un’arte illustrativa che parla della condizione dell’esistenza o di una situazione sociale, conferendo al suo lavoro una sensibilità narrativa che supera l’effetto visuale.

Vito Mercurio, nato nel 1985 a Battipaglia (SA), a Modena impegnato con le Mura romane di piazza Roma, è uno dei pochi street artists anamorfici italiani. Dopo gli studi artistici alla scuola di Salerno, poi all’Accademia di Firenze e Napoli, inizia la sua carriera come “madonnaro” di strada per specializzarsi poi in street art anamorfica. Le sue opere sono state esposte in diverse città italiane e del mondo, tra cui Varsavia, Dubai, Burban e Sydney. Ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazionali per la sua creatività e innovazione artistica. Nel novembre 2015 ha partecipato alla realizzazione di un’opera tridimensionale anamorfica di enormi dimensioni in California, ascritta al Guinness dei primati, assieme a famosi artisti tra cui lo stesso Kurt Wenner e Leon Keer.

L’evento, intitolato “Varchi nel tempo”, si svolge a cura di Cristiana Zanasi e Alessia Pelillo dei Musei civici di Modena nel programma di “Mutina Splendidissima”, nei 2200 anni dalla fondazione (www.mutinasplendidissima.it).

QUESTI I “VARCHI NEL TEMPO”,  CINQUE I SITI DELLA CITTÀ ROMANA CELATA NEL SOTTOSUOLO CHE GLI ARTISTI SPECIALISTI IN ILLUSIONI ANAMORFICHE “FARANNO EMERGERE”.

Anfiteatro. Età imperiale. Nel 1940 sondaggi con “trivella” nell’area fra via Mondatora e via Canalino rilevarono nelle zone all’interno degli edifici l’assenza di costruzioni fino a sei metri di profondità. Negli scantinati si rilevò invece presenza ininterrotta di manufatti in laterizi a profondità progressivamente decrescente, dalla strada verso l’interno degli edifici. Questa evidenza fu interpretata come indizio di strutture a gradoni riferibili alla “cavea” di un teatro o un anfiteatro. L’ipotesi fu avanzata tenendo conto del particolare andamento di via Mondatora e via Canalino, chiaramente visibile in foto aerea, che permette di ipotizzare una preesistente grande struttura ovale, forse un anfiteatro. La possibile dimensione dell’edifico, m. 130 x 90, è stata ricavata anche sulla base del rinvenimento in via S. Geminiano, a profondità analoga a quella di via Mondatora e via Canalino, di un grosso muro con elementi architettonici che potrebbe riferirsi alla parte meridionale dell’anfiteatro. A sostegno dell’esistenza di uno o più luoghi per spettacoli a Mutina c’è un ironico riferimento di Marziale, poeta del I secolo d.C., che scrive: “Un ciabattino, o dotta Bologna, ti ha offerto dei ludi; un lavandaio a Modena li offerse: ora un oste dove li offrirà?”. Suggestivi due ritrovamenti da uno scavo in piazza Grande, non lontano dal presunto anfiteatro: una tessera per ingresso a spettacoli in osso a forma di pesce con tre tacche verticali (terzo settore?) e un frammento di maschera teatrale.

Capitolium. Prima età imperiale. Il perimetro della città romana, esteso per circa 35 ettari, corrispondeva alla parte orientale dell’attuale centro. Il confine orientale correva lungo le vie Trento Trieste e Ciro Menotti, l’occidentale coincideva col lato est di piazza Grande. A sud il limite era via Mascherella e a nord attraversava piazza Roma. All’inizio dell’età imperiale un’espansione demografica porta Mutina a estendersi intorno ai 50 ettari. Ritrovamenti nella parte più orientale hanno fatto ipotizzare il foro nella zona fra viale Martiri della Libertà a est, Rua Pioppa a ovest, largo Garibaldi a nord, via Mascherella a sud. Sul lato settentrionale del foro, in corrispondenza di San Biagio, si doveva trovare il “Capitolium”, tempio della città, in posizione dominante e affacciato sulla via Emilia. Le dimensioni degli isolati modenesi e i confronti con altri “capitolia” dell’Italia settentrionale fanno pensare a un edificio su un podio, circondato sui tre lati da portici larghi otto metri. Il Capitolium, sul modello del tempio sul Campidoglio a Roma dedicato alla Triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva), indicava che la città era colonia romana.

Terme. Prima età imperiale. Sul lato meridionale del foro, in corrispondenza del Palazzo della Provincia, sono state individuate tracce delle terme. Scavi del 1844 – 45 portarono alla luce, a sei metri di profondità, una strada romana affiancata da edifici riferibili a impianto termale, interpretati come “calidarium” e “tepidarium”, con pavimento,uno a mosaico e l’altro in marmo, sostenuto da pilastrini per consentirne il riscaldamento. Sotto si individuò un grande condotto fognario e un complesso sistema collegato di canalette di scolo. Le terme rappresentavano anche un luogo dove rilassarsi facendo bagni e esercizi ginnici, giocare e intrattenersi con amici. Le frequentavano uomini e donne, giovani e anziani di tutte le classi sociali,.

Mura. Età repubblicana. Gli scavi effettuati tra 2006 e 2007 in piazza Roma hanno messo in luce, per circa 100 metri di lunghezza, una parte delle fortificazioni repubblicane della città romana. I tratti individuati avevano un’altezza massima di 4,50 metri, spessi 3,50, interamente in mattoni. Il muro era costeggiato da una strada in terra battuta larga circa tre metri. Sulla strada si affacciava una “domus” della quale sono stati individuati un muro e un pavimento a mosaico. Altri resti di mura furono ritrovati nel 1942 in piazza Roma, scavando per la costruzione di rifugi antiaerei e nel 1930, a circa otto metri di profondità, nella zona dell’attuale Mercato Albinelli. Mutina fu un centro fortificato dalla fondazione (183 a.C.) e forse anche prima poiché, come raccontano Livio e Polibio, tra le sue mura si rifugiarono nel 217 a.C. i triumviri incalzati dalla rivolta dei Galli Boi a Piacenza.

Domus. I-III secolo d.C. I lavori del 1964 per abbattere il tribunale e costruire la Cassa di Risparmio in piazza Grande trovarono resti d’una domus d’età imperiale. Si recuperò, a una profondità fra 5 e 6 metri, una porzione di mosaico, databile fra seconda metà del I e inizio del II secolo d.C. conservato oggi nella sede centrale della banca. Alla stessa domus sono riconducibili strutture murarie, pavimentazioni e materiali recuperati nello scavo del 1985 – 86, per la realizzazione di un piano interrato della banca. Si trovò una bonifica con anfore della metà del I secolo d.C. che doveva colmare un corso d’acqua deviato per favorire l’espansione nella parte occidentale della città. L’edificio fu in uso fino a fine III secolo d.C. quando la zona cominciò a essere abbandonata. Tra il IV e il VI secolo l’area, in rovina, venne destinata a necropoli, come testimonia il rinvenimento di una tomba a fossa semplice.

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