Avellino-Dakar, il progetto di solidarietà di una mamma a servizio dell’Africa
Sincerità, fattività e dedizione offerta in spirito di volontariato per l’Associazione Avellino per il mondo, presieduta da Marco Cillo. Il progetto che Elvira Napoletano porta come contributo all’ente di solidarietà irpino è dedicato interamente a restituire dignità al popolo africano, attraverso presidi e strutture di cui i villaggi hanno realmente bisogno. Il Senegal, lo stato dell’Africa occidentale proteso con Dakar, la sua capitale, sull’Oceano Atlantico, la regione quella del Kolda.
Fondamentale è portare gli aiuti è avere contatti fidati sul posto, non è possibile inviare denaro e generi di necessità senza sapere dove andranno a finire, fossero pure i governi locali. È necessario seguire le donazioni. Elvira lo fa, recandosi direttamente sul posto per assicurarsi che tutto arrivi a chi è destinato.
Lo scorso 30 aprile al Teatro Partenio di Avellino si è tenuto Concerto per l’Africa con Mariella Nava, utile alla raccolta fondi per il progetto. Abbiamo chiesto alla volontaria di cosa si tratta. Sa quello che serve, è organizzata, disponibile al sacrificio, ma non a lamentarsi, ascolta una chiamata mettendo in campo le sue doti naturali, tra cui spicca la capacità di comunicare, di provare compassione e di fare spazio alle opere. Non potevamo non chiederle di parlarci del suo progetto.
Qual è l’obiettivo del tuo progetto, Elvira?
Restituire una dignità sanitaria e umanità alle popolazioni della regione del Kolda, partendo da Tidelli, uno dei tanti villaggi del territorio, capofila di questo progetto; qui stiamo costruendo un poliambulatorio che sarà a servizio di 60.000 persone. Per il momento è composto da due padiglioni di cui uno, di pediatria, è quasi completo, mentre quello di ginecologia è in fase di completamento.
E il personale sanitario?
Il governo locale ci fornirà un medico e un infermiere, ma stiamo cercando medici volontari che vengano ad affiancare i sanitari locali periodicamente.
Ci siamo incontrate poco tempo fa, al tuo ritorno dall’Africa e, in quell’occasione, ti chiesi di raccontarmi e oggi siamo qui a parlare della tua esperienza e, soprattutto, delle finalità del progetto.
Abbiamo portato di recente un container di aiuti: oltre che di materiali per il completamento della costruzione dell’ambulatorio, si trattava di abbigliamento, scarpe, indumenti per bambini e tanti farmaci. Ma già stiamo preparando un secondo container.
Mi puoi parlare della situazione politica dei quell’area dell’Africa?
Attualmente il Senegal è uno dei paesi africani con maggiore stabilità, dal punto di vista governativo, e su Dakar stanno investendo molto nelle infrastrutture. Il peso della Francia, di cui il Senegal è stata una colonia, si fa sentire ancora molto anche in virtù delle compagnie petrolifere, ma le infrastrutture le stanno realizzando i cinesi. Anzi hanno annunciato anche la volontà di costruire una rete ferroviaria. Ce ne sarebbe proprio bisogno perché, per arrivare al villaggio, ci si mette sette ore su strade sterrate, che nella stagione delle piogge diventano fangose, impraticabili anche per quattro o cinque mesi. Stiamo valutando in quest’ottica anche il prossimo viaggio con gli aiuti da portare. Anche se sappiamo che si parla da parecchio tempo di questi progetti che però hanno spesso solo funzione propagandistica.
Un villaggio in media come è composto?
Vi vivono intorno alle 2500-3000 persone. Il nostro aiuto però arriva in tutti i villaggi limitrofi.
Le malattie endemiche?
La malaria è la prima, ma grave è la malnutrizione: i farmaci che portiamo sono quelli di base, antibiotici, paracetamolo, perché lì una semplice febbre può diventare una cosa seria.
E durante la pandemia da Covid, qual era la situazione in quei luoghi?
Il 4 gennaio 2022 sono partita la prima volta, quando da noi eravamo nel pieno. Lì la situazione era diversa, non che non ci fossero i casi, ma non te ne rendevi conto, abituati come eravamo alle restrizioni che vivevamo in Italia. I contatti erano stretti e l’igiene non era quella a cui eravamo abituati, ma miracolosamente sono tornata a casa senza aver contratto il Covid.
Certamente noi, in Italia, abbiamo dovuto fare i conti con una ondata sulla quale abbiamo sperimentato le prime cure e poi il vaccino, subendo le conseguenze di tentativi che non si sono rivelati efficaci, qualche volta, ahimé, anche dannosi. Abbiamo un po’ fatto da testa di ponte, non credi?
Certamente. Lì, in effetti, non abbiamo riscontrato, nonostante la promiscuità e le condizioni igieniche, casi di contagio. La situazione era completamente diversa.
I rapporti con le autorità come sono?
Ti dico: nel villaggio c’è sia il sindaco, che è l’autorità statale, sia un capo tribù, una figura di riferimento in cui il villaggio ha fiducia. Queste due figure si affiancano nel rispetto della tradizione della cultura tribale, curando l’una la gestione politica e l’altra l’ordine nel villaggio. Queste sono le autorità locali a cui dobbiamo fare riferimento. Considera che io non mi poggio alle missioni perché non ce ne sono in zona. Le chiese sono lontane e il 90% della popolazione è musulmana. Non siamo neanche riusciti a trovare una chiesa che ci mandasse un sacerdote. Se qualche missionario volesse venire all’ambulatorio, potremmo offrire anche il conforto cristiano a chi ne avesse bisogno. Fortunatamente lì non praticano l’Islam in modo integralista e io stessa, pur sentendomi in dovere di rispettare le loro tradizioni curando un abbigliamento dignitoso, mi sono sentita sempre a mio agio e non sono stata costretta ad indossare il velo.
Hai quindi dovuto aprire una strada in un deserto di contatti, spingendoti in questo progetto che è un po’, possiamo dirlo, l’eredità morale che ti ha lasciato tuo padre Goffredo, anche lui impegnato da sempre in progetti umanitari.
Il contatto che ho per soccorrere l’Africa è una persona che mio padre mi presentò in punto di morte. Non ho potuto non dare seguito alla sua missione. È proprio come hai detto: un’eredità morale.
Come è l’economia del Senegal?
Per lo più basata sul commercio, i senegalesi sono abili commercianti e, per le leggi locali, le piccole imprese non pagano tasse e, quindi, chiunque può aprire liberamente un’attività di questo tipo.
Come è organizzata la società in Senegal?
Non ci sono separazioni, hanno solo un grande rispetto per l’Himam, perché la religione ha potere. I politici si rivolgono alla parte religiosa per prendere decisioni importanti. Poi c’è la distinzione tra uomini e donne, non è fortissima ma c’è.
Quanto si risente del periodo coloniale europeo? Gran parte dei problemi che oggi l’Africa, nonostante la grande ricchezza in materie prime di cui la natura l’ha dotata, subisce, dai problemi endemici legati alla povertà e all’instabilità politica, dipendono dalla sua storia: dall’aver dovuto soggiacere allo sfruttamento delle risorse da parte delle potenze europee. La sua ricchezza è la vera maledizione dell’Africa.
È proprio così. Nei momenti liberi, durante il mio ultimo viaggio in Senegal, ho visitato Dakar e ho scoperto l’Isola di Gorée. Questo luogo ha una storia molto interessante, legata alla tratta degli schiavi africani, che da quel porto partivano, dopo essere stati rinchiusi in condizioni al limite della sopravvivenza in un grande edificio, per le Americhe. Partivano tutti da lì. L’odore di morte che aleggia nelle stanze di quel provvisorio alloggio, in attesa del viaggio, parla della sottomissione di popolazioni libere, considerate alla stregua degli animali da lavoro, senza che venisse loro riconosciuta la dignità umana. Sono state ritrovate, e quindi sono esposte, anche le palle di ferro che venivano legate ai piedi degli schiavi, pesano tantissimo. Noi oggi forse non riusciamo neanche a renderci conto dell’orrore che devono avere provato quegli uomini e quelle donne.
Dimmi, come ha fatto a capire di cosa avevano bisogno nel villaggio in cui vai?
L’ho capito una volta andata lì la prima volta per portare un’ambulanza, mettendomi d’accordo con l’amico di papà, che mi aveva lasciato questa missione da compiere quando se ne è andato. Avrei voluto partire subito, ma il lockdown me lo ha impedito, eravamo ad inizio 2020, ma appena abbiamo potuto metterci in movimento, con l’aiuto economico di alcuni amici, abbiamo acquistato la prima ambulanza perché c’era una difficoltà a portare le donne incinte che avevano problemi in ospedale. Si registrava perciò un’alta mortalità femminile. Quando sono arrivata lì, mi sono resa conto che non bastava l’ambulanza, perché questa deve coprire 70-80 chilometri per raggiungere l’ospedale più vicino. Come mamma, osservavo con ansia i bambini che giocavano vicino ai pozzi dalla vera bassa, ma consideravo che a una semplice malattia, a una banale infezione, non si sarebbe potuto porre rimedio, vista la mancanza di presidi sanitari.
Parlaci in dettaglio del tuo progetto.
Oltre al poliambulatorio vorremmo costruire un ambiente per ospitare una sala cinematografica di cui mi ha fatto dono il proprietario del Teatro Partenio di Avellino. Quando Raffaele Pagnotta ha sentito che volevamo acquistare una sala da proiezione da offrire ai bambini del Kolda, non ha esitato, con grande generosità, a donarmi una sala cinematografica completa con i DVD delle fiabe in francese, che sarà installata dai suoi tecnici e che ora attende di essere inviata. Certe volte penso che la realtà superi la fantasia.
Qual è il tuo messaggio per chi volesse aiutare?
Chi volesse venire come volontario è bene accetto. Per chi volesse donare questo è l’IBAN che può essere utilizzato con causale: Progetto Senegal.
Ti facciamo le nostre congratulazioni per il tuo impegno, Elvira, e ti chiediamo di aggiornarci sulla realizzazione del progetto.
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