IERI LA VISITA AL CONSERVATORIO “DOMENICO CIMAROSA”. INTERVISTA AL MAESTRO
Il maestro Marcello Abbado, grande pianista, fratello del noto direttore d’orchestra scomparso due anni fa, è stato ospite ieri del Conservatorio Cimarosa di Avellino – che ha organizzato in suo onore un concerto dell’Orchestra Giovanile diretta da Carmine Santaniello – dove ha incontrato allievi e docenti e ha visitato la struttura, trovando notevoli le dotazioni strumentali sia della classe di clavicembalo del M° Enrico Baiano, che della sezione percussioni, veramente molto fornita e apprezzando anche l’Auditorium, che ora è in via di restyling. Ho avuto così modo di porgli qualche domanda cui ha gentilmente risposto.
Maestro, lei ha diretto il Conservatorio di Musica G. Nicolini di Piacenza (1958-66), il Conservatorio Statale di Musica Gioachino Rossini di Pesaro (1966-72) e il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano (1972-96); si può dire che ha avuto modo di conoscere bene i conservatorio italiani. Si è fatto una idea della riforma mai attuata, promessa non completamente mantenuta della L. 508 del 1999, e della proposta che oggi viene fatta dal ministro Giannini di un sistema di conservatori sul modello francese?
Beh, per quanto ho potuto osservare, in Francia i conservatori regionali come quello di Lione e di Parigi sono ad un livello davvero alto, ma tutto dipende dal livello dei docenti. Anche in Italia vengono formati musicisti che poi sono presenti a giusto titolo nelle maggiori orchestre europee. Faccio l’esempio delle arpiste italiane che si distinguono all’estero. Ma la bravura non dipende dal modello.
Secondo lei, l’ascolto della musica classica richiede una particolare conoscenza della pratica musicale?
No, aiuta però per goderne veramente la consuetudine derivata dall’ambiente in cui si cresce. Perciò è importante avere una buona preparazione musicale sin da bambini. Una riforma che permetta di apprendere la musica anche a scuola in età precoce è sicuramente auspicabile.
Per lei, che oltre ad essere un compositore è un grande pianista, è necessario per ottenere una buona esecuzione strumentale avere una consapevolezza della prassi dell’epoca cui appartiene la composizione o è più importante la libera interpretazione?
Mah, l’interprete deve per forza avere una qualche partecipazione personale in ciò che suona, anche se è ben informato circa quello che va a suonare.
La scuola pianistica napoletana è diffusa nel mondo, nelle diverse declinazioni che le sono state date e si basa molto sull’interpretazione che il musicista sa dare al brano. Cosa c’è ancora oggi degli insegnamenti di Thalberg, padre di questa scuola, secondo lei?
La scuola pianistica napoletana, che ha fondato le sue radici anche a Buenos Aires, oggi è più che mai viva attraverso coloro che la portano nel mondo ed è piuttosto vivace, direi. Per certi versi, si può dire che il vero Scarlatti è vivo proprio nel modo di suonare di questa tradizione pianistica.
Ma l’uso del pianoforte al posto del clavicembalo come lo vede in Scarlatti?
Oggi si suona in grandi sale da concerto in cui è necessario il volume di suono che solo il pianoforte può avere.
Quindi l’importanza del luogo si fa sentire in musica?
Certo. Vede: io ho suonato in una sala molto particolare una volta, era chiamata “la bottega del vino”, il palco era rotondo e circondato da botti di vino vuote che costituivano un apparato acustico molto suggestivo restituendo una sonorità particolare al pianoforte. Mio padre, invece, che era violinista, amava suonare in alta montagna, anche a tremila metri, dove trovava che il suono risultasse particolarmente puro, privo di alcun riverbero.
Immagina un mondo senza musica?
Oh, no! Per carità! La musica rende felici.
Eleonora Davide
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