GIORNATA DELLA MEMORIA/4. CON L’ARMADIO DI ANTONIETTA URCIUOLI TERMINIAMO IL PERCORSO DELLA MEMORIA

Con queste righe dal libro “L’armadio”, dell’avellinese Antonietta Urciuoli, percorriamo il nostro cammino nella memoria. L’autrice, nel descrivere con un linguaggio accessibile la semplicità della vita di una volta, rende viva nella nostra immaginazione quella immensa tragedia che fu la Shoah per le famiglie italiane di origine ebrea. Oggi proponiamo la prosecuzione del racconto iniziato lo scorso 27 gennaio, e proseguito il 3 febbraio, e il 9 febbraio, invitando i nostri lettori a seguirci in questo con la lettura del libro, perché rimanga vivo il monito a non ripetere questi orrori e per trasmetterne l’impegno alle future generazioni.

da L’armadio di Antonietta Urciuoli (quarta e ultima puntata)

Viaggio  per  l’America

 

Sono trascorse diverse settimane a Londra. Adesso siamo a Liverpool in attesa di una nave per l’America.

La collega di mio padre ha mantenuto la promessa che gli aveva fatto. Grazie ai vestiti che quel giorno presi dal mio armadio potrò finalmente riabbracciare i miei nonni.

Il marito della professoressa ha dovuto mandare un cablogramma al console americano e i suoi banchieri in America hanno dovuto fare  la stessa cosa.

Devo a queste persone la mia vita,sarò sempre riconoscente perché hanno rischiato e hanno trascorso intere settimane  per procurarsi  visti  e tutti i tipi di documenti necessari.

Hanno speso tantissimo denaro e per  questo devo ringraziare i miei cari.

Ora comprendo perché mamma aveva sempre quei vestiti tra le mani e perché mi aveva detto di portarli con me.

In essi aveva messo oggetti d’oro e denaro. Grazie ad essi sto su questa nave che mi porterà dai miei nonni e insieme cercheremo mamma e papà.

Nella parte interna del cappotto rosso, la signora Snizzer ha trovato questa foto che ho tra le mani. Mia madre l’ha staccata dall’album dei ricordi. E’ la foto più bella: ci siamo tutti e sorridiamo felici. Di tanto in tanto la guardo. Mi sembra di stare, di nuovo, nella mia casa. Con le dita carezzo i loro volti e più li guardo e più la malinconia mi assale.

  • Perché sei triste, piccola? – chiese il signor Frenz. La signora Snizzer si avvicinò, mi carezzò e mi baciò. Li guardai entrambi.

Senza accorgermene, i miei occhi si colmarono di lacrime. Cercai di scacciarle, ma inutilmente. Esse offuscavano la mia vista. Ci vollero alcuni minuti, per poter vedere nitidamente.

  • Parla, non tenerti tutto dentro! Mi dissero. Liberando il mio cuore da tanta malinconia, che mi opprimeva, cominciai a parlare.

La prima cosa che dissi: -Mi mancano tanto i miei genitori – Nel solo nominarli dovetti trovare la forza di non piangere. Non fu cosa facile.

Poi svelai un segreto che custodivo da tempo.

  • Quasi ogni notte sogno i tedeschi. Li sento gridare “Offnen, offnen Sie in Kurze! Spalancano la porta e portano via mamma e papà. Io non posso aiutarli. Li vedo allontanarsi, non posso fare niente. Resto immobile, inchiodata al pavimento. Vedo i militari che sguinzagliano i cani furiosi. Essi abbaiano contro di me. I loro denti aguzzi entrano nella mia carne. I rumori assordanti, le grida strazianti dei miei amici mi riempiono la testa. Mi sveglio di soprassalto. Il cuore batte forte, forte. Sono madida di sudore. Sogno, anche, il coprifuoco. Sento il rumore degli aerei sulla mia testa. I vetri delle finestre che si frantumano, mi colpiscono. Il buio nero della casa mi avvolge insieme a mamma e papà che, all’improvviso, mi lasciano per sempre.

Mi fermai. Non riuscivo a parlare. Le parole erano rimaste intrappolate nella gola. Poi, continuai,dopo aver fatto un respiro profondo (ricordandomi del suggerimento datomi dal nonno: “Per riprendere fiato,fai sempre un respiro profondo”)

  • Ciò che mi tormenta è l’immagine della strada. Vedo e rivedo quei corpi straziati. I marciapiedi sono sporchi di sangue. Mi appare, di continuo, quella donna uccisa che, tiene il piccolo tra le braccia. Quegli occhiuzzi mi guardano, quelle manine aperte chiedono aiuto.
  • Piccola, non rattristarti! Cerca di stare calma. Ci vuole solo ed, esclusivamente, un po’ di tempo per dimenticare. Il tempo, aggiunse la collega di mio padre – è l’unica medicina adatta.
  • Adesso, Hedy, cerca di pensare solo ai momenti felici trascorsi con la tua famiglia. Raccontaci qualche episodio divertente. Facci, un po’ ridere, piccola. Anche noi dobbiamo dimenticare gli orrori di questa maledetta guerra. Tu, amore, rappresenti il futuro. Non c’è cosa più bella del tuo sorriso e dei tuoi racconti.

Essi ci riscaldano i cuori. E fu così che raccontai di quando io e mia nonna ci perdemmo in città.

  • Dovete sapere – dissi – che mia nonna non conosce bene le strade. Un giorno prese l’auto del nonno e ci recammo da una sua parente. Gira e rigira non seppe più tornare a casa. Cercava di focalizzare il percorso già fatto. Ce la metteva veramente tutta. Cosa strana: partiva dall’abitazione della zia e si inoltrava in vie e viuzze e ritornava allo stesso posto: sempre sotto quella casa. Quando fermò dei passanti, con aria smarrita, chiese: “Quale strada devo prendere per tornare al lato opposto della città?” I passanti la guardarono, preoccupati, e chiesero:- Di dove siete? Mia nonna, imbarazzata, rispose: “Abito in questa città”. Strada facendo ci facemmo tante e tante risate. Mia nonna ne aveva combinato una delle sue. Un pomeriggio, per far ridere tutti, raccontò l’accaduto e senza rendersene conto si era buttata la zappa sui piedi. Ogni parente che la vedeva alla guida le diceva sorridendo: “Stai attenta, non perderti nella tua città”. Lei, ingoiava bocconi amari ma la cosa più grave fu che nessuno si fidava più di lei. A pagare lo scotto ci capitai anch’io. Da quel giorno non potei più andare con mia nonna. Dovevamo essere sempre accompagnate dal nonno che faceva lo spiritoso perché conosceva benissimo tutte le strade. Ripeteva sempre alla nonna. ”Se ci fossi stata tu alla guida, ti saresti già persa” Io mi accorgevo che la nonna si amareggiava. Avrei voluto tanto carezzarla e dirle: “Nonnina, quando diventerò grande ti porterò in giro per il mondo”. Ma restavo in silenzio – I coniugi Snizzer sorrisero.

Il signor Franz ne approfittò per dire che anche la moglie, qualche volta, aveva sbagliato strada. Gli uomini, forse, sono più bravi alla guida. Speriamo che, da grande, non somigli a mia nonna. Ma solo per la guida? Non per altro… 

L’ oblò

Stasera, l’acqua del mare mi sembra minacciosa. Con violenza, sbatte contro gli oblò, questi grandi occhi della nave. Come se volesse dire a tutti: “Allontanatevi, non state a guardarmi”. La paura fa brutti scherzi, all’improvviso un uomo, spaventato dalle enormi onde del mare in tempesta, ha disserrato l’oblò e si è affacciato all’esterno come se volessi fuggire; nello stesso istante un violento getto d’acqua si è riversato all’interno creando panico. I marinai, resisi conto di quanto accaduto e di cosa sarebbe potuto capitare, con non poche difficoltà hanno chiuso l’oblò e rivolgendosi all’uomo gli hanno gridato che non era quello il modo per trovare una via d’uscita.

Ritorno nella cuccetta, mi distendo sulla branda. Chiudo gli occhi. Sento che, a poco a poco, come per magia, affiorano nella mia mente tutte quelle cantilene che condividevo con mia amica Carla e che nei pomeriggi d’estate, nell’immenso parco, recitavamo quella da noi preferita:

Stella, stellina

la notte si avvicina

la fiamma traballa,

la mucca è nella stalla.

La mucca e il vitello,

la pecora e l’agnello,

la chioccia coi pulcini,

la mamma coi bambini.

Ognuno ha la sua mamma

e tutti fan la nanna.

E mi addormento.

Quella notte, mi giravo e rigiravo sulla branda. Non riuscivo proprio a prendere sonno. Mi mancava tanto il cielo. Non potevo vedere le stelle.

Quante volte avevano conciliato il mio sonno: le guardavo e contavo: una, due, tre…… cento e poi, all’improvviso, le palpebre si abbassavano. Quelle creature luminose, mi prendevano per mano e mi portavano a giocare nella loro immensità.

Com’era bella la mia vita. Infatti, spesso, mio padre mi chiedeva: – Hedy, che cosa hai sognato, stanotte? – Perché, papà? – Ti ho guardato mentre dormivi. Ridevi ed eri felice. – Non posso dirtelo. E’ un segreto.

Sorridendo, sotto quei baffetti neri, mi carezzava. Così scoprii che, di notte, mentre leggeva o correggeva i compiti degli alunni, vegliava su di me.

A quel punto mi ricordai di una frase che ripeteva, sempre, mio nonno, quando mamma mi baciava: ”I figli si baciano, solo, quando dormono”. Dovrò chiedere una spiegazione più dettagliata. Ma perché i figli si devono baciare, di notte, quando essi stanno dormendo?

Qualche bambino potrebbe pensare che il padre e la madre non gli vogliono bene se non riceve una carezza e i baci. Molte cose, forse, le comprenderò da grande. Ora sono troppo piccola per sapere tutto.

Sto  male

 

Mamma, papà, aiutatemi! Mi sento troppo male! Una mano grande stringe forte la mia. Non aver paura, Hedy. Tieni gli occhi chiusi.

Chiama qualcuno. Fa presto, Franz!

Passano alcuni minuti. Il malore aumenta e il medico non arriva. Franz, apri la valigia, prendi la menta. Deve stare in una busta di carta, in un angolo della valigia, accanto agli asciugamani. Sbrigati, ha un colore che non mi piace.

La nave continua a dondolare. La branda si sposta da una parte all’altra. Stringo forte, forte gli occhi. Lo stomaco è in subbuglio.

Mi sento troppo male. Aiutoo…. aiutooo …. non lasciatemi morire. Mamma, mi gira la testa.

Il medico di bordo, dopo aver sistemato altri pazienti, arriva a gran fretta e, dopo avermi visitata, mi somministra qualcosa avente un forte odore di menta che attraversa le mie narici e calma, gradualmente, quel malore che, per mia fortuna, non dura a lungo. La nave per tutta la notte è in preda alla tempesta che si presenta con tutta la sua violenza. Accanto a me c’è la signora Snizzer. Mi ha aiutato tanto. La mia testa è poggiata sul suo braccio. Mi ha vegliato per tutta la notte come una mamma. La ringrazio tanto ma non è la mia mamma. 

Uno spettacolo meraviglioso

 

“E’ proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere” diceva, spesso, mio nonno. Dopo quella terribile esperienza, ho ripreso a vivere.

L’ufficiale medico è venuto a controllare come stavo e mi ha invitato sul ponte della nave. E’ uno spettacolo stupendo. Dal ponte vedo la bellezza del mare che si confonde con quella del cielo. Mare e cielo sembrano tenersi per mano ed io mi sento rinata.Guardare il mare, là in fondo, placido mi dà un senso di pace. Per pochi attimi dimentico che c’è la guerra. La mia mente è sgombra da cattivi pensieri e la felicità è a portata di mano.

  • Hedy – Hedy – guarda alle tue spalle -dice il bel capitano nella sua divisa candida. Mi volto e i miei occhi vedono uno spettacolo meraviglioso: mai visto prima.
  • Sono bellissimi! Sono tanti. Si muovono con leggerezza. Si spostano, sempre in gruppo. Essendo veri e propri mammiferi, devono respirare l’ossigeno dell’aria e non come i pesci quello dell’acqua – mi spiega il graduato, sorridendo.
  • Guardali, sono stupendi! Sono animali intelligenti, socievoli e affettuosi.
  • Ma quello, laggiù, è piccolino-chiedo – Sì, è accanto alla sua mamma. Ma perché le assesta dei colpi contro il ventre? Vuole, forse,giocare?
  • No, vuole solo mangiare. – Capitano, non riesco a capire..
  • Devi sapere che il delfino non può poppare perché non ha le labbra. Allora, quando ha fame, dà leggeri colpetti contro il ventre della mamma. La ghiandola mammaria ha una singolarità: grazie ad un muscolo riesce, quando viene colpita, ad emettere latte sotto pressione. In questo modo al piccolo, il latte materno che fuoriesce dal capezzolo, gli viene schizzato, direttamente, nella bocca semiaperta.
  • Quando tempo ci vuole per nascere? – Per nascere ci vogliono dai 10 ai 12 mesi e quando viene alla luce misura dai 70 ai 120 centimetri. La mamma, dopo il parto, viene aiutata da un’altra femmina del gruppo. Entrambe sollevano delicatamente il piccolo verso la superficie e gli fanno prendere la prima boccata d’aria.
  • Quante notizie interessanti sapete sui delfini capitano, complimenti!

C’è tanto da dire su questi cetacei che ci rallegrano con le loro giocose acrobazie.

Ci tengono compagnia,ci scortarono per miglia e miglia. Per ore e ore i passeggeri della nave dimenticano la fatica del viaggio e, soprattutto, l’esperienza negativa del mare quando balla.

Ha proprio ragione, il capitano! Questo viaggio un po’ stanca. Noi siamo fortunati perché siamo in seconda classe ma chi se la passa male sono i passeggeri della terza.

Sono lì sotto, nella stiva, dove l’aria è irrespirabile e si sentono i pianti dei neonati. Mi ha raccontato un ufficiale che, spesso, alcuni giovani per correre dietro alle belle ragazze, dalla seconda classe sgusciano sui ponti di prima classe. Quasi sempre vengono sorpresi e rimandati giù.

Durante la traversata di quell’immenso oceano, per combattere la fiacca, in prima classe giocano a poker e a madjong. Nella seconda si gioca a dama e si suona la chitarra. Nella terza, gli uomini si mettono in fila, uno di essi mette un braccio dietro la schiena e chiude gli occhi. Da dietro, qualcuno con tutte le forze gli colpisce il palmo della mano. Deve riuscire ad indovinare chi è stato a colpirlo. In quel caso chi l’ha colpito prende il suo posto.

Sulla nave, oltre ai rumori dei motori, si sentono tante voci che si accavallano e animano questa città galleggiante. 

L’arrivo

 

Al porto di N.Y, situato in una splendida baia, migliaia di persone aspettavano da ore l’arrivo della grande nave che, per giorni e giorni aveva trasportato, attraversando l’immenso oceano, tanta gente e le loro speranze.

Tra quella immensa folla assiepata sul molo del porto, sicuramente c’erano i nonni di Hedy.

La nave, sfiorando altre imbarcazioni e mercantili intenti a caricare le merci da trasportare, entra lentamente nel porto e attracca con l’aiuto dei marinai a terra.

Posata la passerella sulla banchina, i passeggeri, quasi sommersi dai propri bagagli, con fare frettoloso, cominciano a scendere e scrutare tra la folla, alla ricerca dei propri cari, parenti, amici o conoscenti.

C’è molta confusione, la signora Snizzer mi chiama e dice ” Hedy, Hedy, dammi la mano, cerchiamo di restare uniti”. Quando, ancor prima di mettere i piedi sul molo, Hedy, all’improvviso, lascia la mano della signora e corre. – Hedy, Hedy aspetta ! Rischi di farti male – Ti puoi perdere tra la folla, stai attenta.

La piccola non sentiva la voce della signora; ma imperterrita correva come un treno, incurante della grande folla, era impazzita, i suoi occhi brillavano perché tra tanta gente aveva intravisto i suoi nonni. Facendosi largo tra la gente e le innumerevoli valigie gridava “Nonna – Nonno sono qua”. I due anziani la intravidero e si misero a correre verso la piccola Hedy e, quando si incontrarono, si strinsero forte forte in un abbraccio e mentre il nonno continuava a stringerla a se, la nonna l’accarezzava con tanto amore e tenerezza.

Per i signori che l’avevano portata ai nonni fu uno spettacolo meraviglioso. In quel momento il sole, che brillava alto nel cielo, sembrava guardasse e sorridere di tanta felicità.

Antonietta Urciuoli“L’armadio” nasce dalla collaborazione ad un progetto scolastico dell’Istituto Comprensivo San Tommaso – F.Tedesco di Avellino – diretto dalla dottoressa immacolata Gargiulo – della Scuderi Editrice e da una idea della professoressa Antonietta Urciuoli. La favola è rivolta ai bambini e ai ragazzi del San Tommaso e a tutti coloro che vogliono ascoltare il racconto della Shoah, perché nessuno dimentichi.

Questo il profilo dell’autrice redatto da colei che aveva diretto per anni l’Istituto, in occasione della pubblicazione del libro:

Una presenza silente, la dolcezza del sorriso, lo sguardo luminoso anche se, intriso, talvolta, di nascoste lacrime, la parola consolatrice, la fede in Dio, la capacità di esserci sempre per tutti e per ciascuno, è questa la biografia ‘vissuta’ di Antonietta  Urciuoli,  amica, collega, docente, attenta bibliotecaria. Antonella (così è chiamata da tutti) ha riscoperto, attraverso uno studio attento ed una riflessione costante, una nuova antropologia dell’apprendere, sapendo cogliere, nelle risonanze affettive, la necessità che si debba educare  al  presente: ecologia, ambiente,  integrazione,  rispetto degli altri, la solidarietà e il mondo dell’immaginario e del fantastico hanno  invaso le dimensioni  del suo vivere nella scuola e al di fuori di essa. Antonietta  (Antonella) è nata ad Avellino nel 1952. La sua professione di insegnante prima e di non docente poi si è sviluppata essenzialmente presso l’I.C. di S. Tommaso di Avellino, istituzione che l’ha vista impegnata in una molteplicità di iniziative a sostegno del territorio e della Scuola stessa.          

Costretta a lasciare l’amato  insegnamento  e la funzione di “vicaria’ del D.S., svolta presso numerose Istituzioni scolastiche della Provincia (nonché presso il carcere di Bellizzi Irpino),  dal 1998 si è dedicata alla ‘costruzione’ della biblioteca scolastica dell’ I.C. San Tommaso, con competenza e passione. Le sue doti di ‘bibliotecaria’ scaturiscono da quella vena poetica che è linfa vitale del suo vivere. Antonella  ha pubblicato  numerose poesie e racconti per il “PONTE”, narrazioni attraverso la cui lettura ‘inciampa’ nella meraviglia e nello stupore, meraviglia e stupore che si intrecciano in valori quotidiani, arcaici e mai dimenticati…

Con il settimanale il “Ponte” collabora sistematicamente dall’anno 2010. La nostra scrittrice ha espresso il suo impegno civile, disinteressato e sincero, quale consigliere della 7^ Circoscrizione e nel 2003 è stata nominata  madrina del Centro Culturale “Il Paese”.

Ricca di positive recensione critiche la pubblicazione della fiaba dal titolo L’albero comincia a sperare, ideato nell’ambito dell’educazione ambientale nell’anno scolastico 1999/2000.

Il sogno nel cassetto di Antonella  che ama l’arte, la musica, le opere liriche e la scuola è quello di poter regalare sempre una speranza a chi le è accanto e di poter rivivere Avellino come una volta ma, soprattutto, rivedere… i cigni in Piazza Libertà!”                                                                                                                                                                                                                                 D.S. Annamaria Imbriani

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.