GIORNATA DELLA MEMORIA/2. CON L’ARMADIO DI ANTONIETTA URCIUOLI CONTINUIAMO IL PERCORSO DELLA MEMORIA
Con queste righe dal libro “L’armadio”, dell’avellinese Antonietta Urciuoli, percorriamo il nostro cammino nella memoria. L’autrice, nel descrivere con un linguaggio accessibile la semplicità della vita di una volta, rende viva nella nostra immaginazione quella immensa tragedia che fu la Shoah per le famiglie italiane di origine ebrea. Oggi proponiamo la prosecuzione del racconto iniziato lo scorso 27 gennaio, invitando i nostri lettori a seguirci in questo con la lettura del libro, perché rimanga vivo il monito a non ripetere questi orrori e per trasmetterne l’impegno alle future generazioni.
da L’armadio di Antonietta Urciuoli (seconda puntata)
Visita della signora Sarah
Ieri è venuta a trovarci l’amica di mia madre, la signorina Sarah. Mentre sorseggiava il thè, tra un biscottino e l’altro ci ha informato di tante cose che forse mio padre già sapeva ma che non ci aveva detto.
Ci ha parlato del coprifuoco. Infatti da quando era iniziata la seconda guerra mondiale voluta da Hitler, gli ebrei non potevano stare in strada la sera. Ecco perché mio padre non ci ha portato più al ristorante. Grazie alla signorina Sarah ho potuto comprendere perché in casa mia sono cambiate tante abitudini.
La radio che era nel salone non si è rotta, mio padre l’ha messa nel ripostiglio solo perché è stato proibito di possederla, dai tedeschi. Noi ebrei non possiamo andare più a teatro, ai concerti, al cinema, nei ristoranti.
Non possiamo più partecipare alle manifestazioni d’arte varia come varietà, cabaret, circhi ecc.
E’ tutta colpa di Hitler che non ci vuole bene. L’ha detto anche l’amica di mamma.
Ma perché quest’uomo è così cattivo? Perché ci odia tanto? Che cosa gli abbiamo fatto? Perché gli ebrei sono stati sempre perseguitati? I miei genitori non mi hanno mai dato delle risposte chiare.
Finalmente la signorina Sarah è riuscita a farmi capire qualcosa. Mi ha detto che da quando è al potere in Germania Hitler (dal 30 gennaio 1933) sventola sul Terzo Reich la bandiera nera, bianca e rossa con la croce uncinata. Ha istruito un grande esercito di giovani tedeschi che secondo lui appartengono alla razza pura e che hanno una grande missione, quella di distruggere noi ebrei. Secondo lui noi siamo i responsabili dei mali prodotti dal potere. In Germania c’è la “Gestapo”. Che cos’è? E’ una polizia segreta.
Basta così, signorina! La prego cerchi di non spaventarla.
Mio padre guardò mia madre e in quegli sguardi c’era un linguaggio che entrambi conoscevano. Finsi di non essere spaventata e feci un sorrisetto. Intanto mi ricordai che alcuni giorni prima mia madre in strada mi aveva fatto camminare sotto il marciapiede. Eppure era strano! Sin da piccola mi avevano insegnato a camminare sul marciapiede per maggior sicurezza.
Ora ricordo! Ho notato che c’erano dei cartelli per le strade che non avevo visto prima. L’amica di mia madre ci ha sollecitato a partire per l’America, raggiungere i nostri nonni. Ci ha promesso che domani tornerà per aiutare mia madre, dovranno lavorare parecchio. Mentre mi baciava mi ha promesso che porterà i suoi tre nipotini così potrò finalmente giocare con qualcuno.
Il distintivo speciale
L’amica di mia madre ha portato della stoffa gialla. Mentre giocavo, spensieratamente, in camera mia con i piccoli, entrambe hanno cucito delle stelle grandi quanto il palmo della mano. La stella doveva avere sei punte, con i contorni in nero e, pure in nero, doveva essere la scritta “Ebreo”.
Quando sono state completate le hanno cucite sui vestiti sulla parte sinistra del petto e noi ebrei dobbiamo portarle in maniera visibile. Queste disposizioni devono essere rispettate, questa specie di distintivo speciale lo devo portare anch’io perché ho 9 anni. Mio padre ha letto ad alta voce. Il proclama recitava: «Gli ebrei che abbiano compiuto 6 anni non devono comparire in pubblico senza la stella ebraica».
Mia madre tagliava, cuciva e i suoi movimenti apparivano automatici, non le faceva certamente piacere quello che stava facendo.
Per lei era una forzatura, ma non poteva lamentarsi perché il morale di mio padre era già a terra e come sempre mia madre doveva cercare di rendere meno grave una situazione già di per sé pesante.
Ha preparato anche dei biscotti, li abbiamo offerti ai piccoli che non se la passavano come noi. Poi abbiamo giocato tutti insieme cercando di coinvolgere anche mio padre. Abbiamo fatto una gara: mio padre faceva delle domande di geografia e noi rispondevamo vincendo o perdendo. All’improvviso mio padre è diventato pallido e ci ha mandato nella mia cameretta.
La piccola Hannah
Aveva ragione mia nonna quando diceva: «bambini vogliono altri bambini». E’ proprio vero! Tra piccoli ci si capisce, ci si diverte tanto. Stare con gli altri è piacevole e le ore sembrano correre veloci.
Al contrario quando sto da sola in casa con i miei genitori, il tempo mi opprime. Sembra fermarsi per troppo tempoanche perché tra le mura domestiche manca la “gioia”. C’è troppa tristezza anche se fuori c’è il sole. Poiché non vado più a scuola a causa di Hitler, il mio maestro è diventato mio padre. Non è la stessa cosa. Oltre ad essere molto severo, è nervoso, alza la voce quando spiega e spesso mi fa piangere.
L’ho spiegato anche alla mia amica Hannah che mi ha ascoltato cercando di tanto in tanto di consolarmi. Tra bambini ci comprendiamo, possiamo parlare liberamente, senza la paura di sbagliare e di essere rimproverati.
Il mio cuore da tempo è triste. Mi sembra di essere diventata un uccello in gabbia.
Il silenzio dei miei genitori, la tensione, la paura, l’ansia stanno invadendo le mura della mia casa che non è più la stessa. Sono cambiati anche i miei genitori, non li riconosco.
Non sono come prima. Mio padre non si decide a partire e mia madre cerca di fare del suo meglio.
Mi racconta tante storie ma non voglio ascoltarle più. E’ come se dentro di me non fossi più bambina, come se mi avessero tagliato i fili dell’allegria.
Mi sento foglia in balia del vento, libellula nell’aria di una primavera che non mi scalda il cuore.
Dopo questo dialogo, abbiamo giocato a nascondino cercando di non far troppo rumore perché mio padre si infastidisce.
Abbiamo fatto anche dei disegni, in uno di essi ho disegnato il parco della mia città. Da quando non posso più entrare mi manca maggiormente. Ho disegnato tanti alberi, le aiuole, la fontana grande e quella piccola. Ho disegnato tanti bambini con le biciclette e i bambini con cui giocavo a guardie e ladri, a “rubabandiera” sotto gli occhi vigili di mia madre che, serenamente dalla panchina, mi guardava mentre lavorava a uncinetto, parlando di tanto in tanto con l’amica accanto.
Che bei tempi! Che splendidi momenti che apprezzi maggiormente quando non li hai.
I miei disegni li ho regalati ad Hannah che ha trascorso insieme a me l’intero pomeriggio. Li porterà ai suoi fratellini.
Ne farò degli altri, il tempo per disegnare certamente non mi manca. Abbiamo giocato anche a mamma e figli e ci siamo divertite tanto.
Abbiamo cucito anche dei vestitini per le nostre bambole che devono essere sempre eleganti alle feste.
Le bambole possono divertirsi, a noi ebrei è vietato e poi i loro vestiti non hanno la stella.
Hannah fra pochi giorni partirà per la Svizzera, lì staranno al sicuro. Così ha detto sua madre alla mia.
Non si può più partire
I mesi sono trascorsi mentre le nostre vite sono state stravolte. Tanti sono stati i telegrammi e le lettere dei nonni lontano mille miglia, sempre più preoccupati. Ci aspettavano già da troppo tempo a New York dove avevano preso in affitto una casetta con giardino.
Mio nonno ha cercato di mettere la sua professione a servizio degli ebrei che sono arrivati da tutto il mondo.
Spaventati dall’impresa bellica di Hitler che ha trasformato l’Europa in un vero e proprio campo di battaglia, sono arrivati dalla Francia, Polonia, Grecia, Olanda e anche dall’Italia, nonostante la sua neutralità.
Tutti gli Ebrei temono Hitler, hanno il terrore di ciò che sta facendo e quello che farà.
In una delle sue lettere ci ha parlato dei bambini denutriti e dei genitori che hanno bisogno soprattutto di sostegno psicologico e poi ci sono gli anziani da pensare con tutti i loro problemi.
Intanto non mi rendo conto per quale motivo mio padre non ha voluto lasciare l’Italia. Perché ha voluto aspettare?
Oltre i nonni, le sollecitazioni sono venute da amici e conoscenti che a differenza di lui sono partiti da tempo. Sono rimaste solo quelle famiglie di conoscenti che non hanno avuto il denaro sufficiente per affrontare il viaggio.
Un bel giorno, mentre il sole splendeva nel cielo e i suoi raggi riscaldavano le mura sempre più fredde della nostra casa, bussarono alla porta.
Mio padre è andato ad aprire. Era il bidello della mia scuola a cui mio padre si era rivolto per alcuni visti.
Ci ha informato che il cognato non ha potuto sbrigare le pratiche perché i passaporti degli ebrei sono stati sospesi.
Questa notizia è giunta come fulmine a ciel sereno. Mio padre è rimasto di stucco. Il sole ha lasciato il cielo, come se fosse scomparso all’improvviso.
Mio padre è sbiancato, si è sentito male. Quando il bidello è andato via,ha cercato di fare dei respiri profondi che faceva a fatica. Mia madre si è spaventata tanto, anch’io ho avuto paura.
Senza rendersene conto, mio padre ha deciso delle nostre vite. Tremava come una foglia, non l’avevo mai visto in quello stato.
I sensi di colpa cominciarono a invadere la sua mente. Parlava da solo, ripetendo continuamente le stesse frasi come se da esse potesse ricavare una pace interiore.
Perché non siamo partiti? Perché non ho dato retta a mio padre? Che cosa ne sarà di voi? E’ tutta colpa mia, solo ed esclusivamente mia!
Mia madre, come sempre, ha cercato di consolarlo, di trovare giustificazioni inesistenti al suo operato.
Cercando di salvare il salvabile, ha cercato di rincuorarlo a fatica.
Il denaro ricavato dalla vendita della casa dei nonni, quella somma consistente depositata in banca è stata confiscata dai tedeschi che hanno voluto anche il nostro oro e oggetti preziosi.
L’altro denaro lo stiamo spendendo giorno per giorno tra mille difficoltà. Al mercato i prodotti scarseggiano e quelli che ci sono vengono venduti a caro prezzo. Di commercianti ebrei sono rimasti ben pochi, molti di essi sono andati via per paura dei tedeschi.
Nell’armadio
Una notte fui svegliata da strani rumori. Aprii gli occhi e vidi mio padre nella mia stanza. Era fuori di se. Andava avanti e indietro. Aveva tolto dal mio armadio tutti i vestiti e li aveva messi sulle sedie.
Con i polpastrelli stringeva forte la fronte come se da essa dovesse uscire qualche idea brillante.
Dormi Hedy! Continua a dormire! Non spaventarti, devo fare un lavoretto nell’armadio. Era agitato, in preda al panico.
La sua voce era tremula e sapeva tanto di disperazione. Da quando aveva saputo che non potevamo più raggiungere i nonni, cercava in tutti i modi di proteggerci.
Al mattino quando mi alzai, mi spiegò che non dovevo aver paura ma dovevo essere molto coraggiosa: «Ogni volta che sentirai suonare il campanello della porta, dovrai nasconderti».
Mentre mi spiegava cosa dovevo fare, si muoveva nervosamente e i suoi occhi sembravano di vetro come se la mente lo portasse lontano da quel posto che non era per noi più idilliaco.
Aiutato da mia madre facemmo la prima prova. Ero ancora in pigiama quando mi fece nascondere nell’armadio. Aveva messo alcune mensole e costruito una specie di cassapanca. Prima mi fece entrare, poi su di essa mise tante di quelle coperte che oscurarono del tutto qualche fessura e avvertì immediatamente un senso di oppressione e soprattutto di paura. Gridai con tutta la forza che avevo e quando mi fecero uscire da quel tugurio scoppiai in lacrime.
Mia madre mi accarezzò, poi mi preparò una buona colazione e mentre cercavo di mangiare dimenticando in parte quell’amara esperienza, mio padre mi assillava con le sue raccomandazioni e mi bombardava con le solite frasi: «Devi farcela! Devi cercare di resistere! Da un momento all’altro verranno a prenderei e tu,almeno tu, dovrai salvarti!»
Sotto le coperte
Come sempre mia madre mi fece giocare ma soprattutto calmare, sperando che dimenticassi quell’episodio che mi aveva terrorizzato.
Dopo pranzo mi prese tra le braccia e mi dondolò come sempre. Mi accarezzò e, mentre mi riempiva di coccole regalandomi un po’ di dolcezza, mi spiegò che i tedeschi erano molto cattivi. Erano entrati con prepotenza nelle case di molti ebrei, li avevano presi con la forza, caricati sui camion e portati via.
Mi parlò dei bambini che conoscevo e quando sentii le loro storie cominciai a piangere.
«Hedy, Hedy, tesoro di mamma! Non devi piangere! Tu sei una bambina molto coraggiosa, noi siamo stati sempre molto orgogliosi di te. Devi ascoltare i consigli di mamma e papà. Nascondersi nell’armadio, sotto quelle mensole potrebbe essere la tua salvezza. Se cercherai di ubbidire, ti salverai e noi saremo felici».
«Ma dove andrete? Dove vi porteranno? Non voglio restare da sola».
«Non sarai sola! Ricordati bene quello che dovrai fare: Se verranno a prenderci, tu cercherai di resistere più a lungo possibile. Poi, uscirai dall’armadio e non indosserai il cappotto con la stella di Davide, ti metterai quello rosso senza stella.Scenderai in strada e raggiungerai la casa della signorina Marcon che si trova nei pressi del parco. E’ una collega di tuo padre, ci ha promesso che penserà lei a tutto».
«Mamma, ho tanta paura! Nell’armadio mi sento soffocare. Ricordati, devi essere forte. Quando starai nell’armadio, non permettere alla paura di annientarti. Scacciala con tutta la forza e invadi la tua mente solo di momenti felici della nostra vita. Amore, amore! aggiunse la mamma: tu sei per noi il bene più prezioso! Ti prego, bambina mia, salvati almeno tu!»
Il babbo senza aggiungere nessuna parola, prese le mie dita e le accarezzò. Baciò dieci, cento volte quei teneri polpastrelli bagnandoli con calde lacrime. Le sue parole non dette furono le più significative della mia vita. Accarezzai il volto di mio padre, segnato dalla sofferenza, vidi piccole rughe sulla fronte apparse in pochi giorni e promisi che avrei fatto tutto ciò che mi avevano consigliato…
continua alla prossima puntata, venerdì 10 febbraio.
“L’armadio” nasce dalla collaborazione ad un progetto scolastico dell’Istituto Comprensivo San Tommaso – F.Tedesco di Avellino – diretto dalla dottoressa immacolata Gargiulo – della Scuderi Editrice e da una idea della professoressa Antonietta Urciuoli. La favola è rivolta ai bambini e ai ragazzi del San Tommaso e a tutti coloro che vogliono ascoltare il racconto della Shoah, perché nessuno dimentichi.
Questo il profilo dell’autrice redatto da colei che aveva diretto per anni l’Istituto, in occasione della pubblicazione del libro:
“Una presenza silente, la dolcezza del sorriso, lo sguardo luminoso anche se, intriso, talvolta, di nascoste lacrime, la parola consolatrice, la fede in Dio, la capacità di esserci sempre per tutti e per ciascuno, è questa la biografia ‘vissuta’ di Antonietta Urciuoli, amica, collega, docente, attenta bibliotecaria. Antonella (così è chiamata da tutti) ha riscoperto, attraverso uno studio attento ed una riflessione costante, una nuova antropologia dell’apprendere, sapendo cogliere, nelle risonanze affettive, la necessità che si debba educare al presente: ecologia, ambiente, integrazione, rispetto degli altri, la solidarietà e il mondo dell’immaginario e del fantastico hanno invaso le dimensioni del suo vivere nella scuola e al di fuori di essa. Antonietta (Antonella) è nata ad Avellino nel 1952. La sua professione di insegnante prima e di non docente poi si è sviluppata essenzialmente presso l’I.C. di S. Tommaso di Avellino, istituzione che l’ha vista impegnata in una molteplicità di iniziative a sostegno del territorio e della Scuola stessa.
Costretta a lasciare l’amato insegnamento e la funzione di “vicaria’ del D.S., svolta presso numerose Istituzioni scolastiche della Provincia (nonché presso il carcere di Bellizzi Irpino), dal 1998 si è dedicata alla ‘costruzione’ della biblioteca scolastica dell’ I.C. San Tommaso, con competenza e passione. Le sue doti di ‘bibliotecaria’ scaturiscono da quella vena poetica che è linfa vitale del suo vivere. Antonella ha pubblicato numerose poesie e racconti per il “PONTE”, narrazioni attraverso la cui lettura ‘inciampa’ nella meraviglia e nello stupore, meraviglia e stupore che si intrecciano in valori quotidiani, arcaici e mai dimenticati…
Con il settimanale il “Ponte” collabora sistematicamente dall’anno 2010. La nostra scrittrice ha espresso il suo impegno civile, disinteressato e sincero, quale consigliere della 7^ Circoscrizione e nel 2003 è stata nominata madrina del Centro Culturale “Il Paese”.
Ricca di positive recensione critiche la pubblicazione della fiaba dal titolo L’albero comincia a sperare, ideato nell’ambito dell’educazione ambientale nell’anno scolastico 1999/2000.
Il sogno nel cassetto di Antonella che ama l’arte, la musica, le opere liriche e la scuola è quello di poter regalare sempre una speranza a chi le è accanto e di poter rivivere Avellino come una volta ma, soprattutto, rivedere… i cigni in Piazza Libertà!” D.S. Annamaria Imbriani
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