Quando a Venezia si profumavano le monete. Parte prima
Inizia, con la prima puntata della serie che avrà come oggetto i profumi, una nuova rubrica culturale dedicata alla storia della Venezia del XVII secolo. Verranno esplorati usi, costumi e abitudini facendo seguito al mio romanzo Il Signore di notte, da cui il nome che abbiamo dato alla rubrica.
Venezia per molti secoli legata all’oriente
Venezia era rimasta a lungo nella sfera di influenza bizantina assorbendo parecchio dalla cultura orientale. Infatti, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e sessant’anni di dominio goto, tutta la regione “Venetia”, era stata conquistata dal generale Narsete e unita all’Impero Romano d’Oriente nel 555 alla fine della terribile guerra greco-gotica. Tuttavia nel 568 erano sopraggiunti i Longobardi che avevano lasciato ai Bizantini solo la parte costiera, la cosiddetta “Venetia Maritima”, sottoposta all’Esarcato di Ravenna.
La conquista dell’autonomia
Man mano che Bisanzio, in una Italia oramai in gran parte longobarda, faticava a mantenere il controllo degli smorti residui della passata egemonia, la sua provincia lagunare era stata eretta in ducato con a capo un “dux”, cioè un governatore civile e militare. Ma di fronte a un impero sempre più assente, i “Venetici” avevano acquistato una sempre maggiore autonomia a partire dal diritto di eleggere il proprio dux, “doxe” in lingua veneta, da parte della “Concio”, adunanza di liberi cittadini di incerta origine.
L’eredità di Bisanzio
Con il tempo la sudditanza verso l’impero conserverà solo aspetti formali: nelle cerimonie Venezia continuerà a esibire simboli di origine bizantina anche quando, emancipata da Bisanzio, avrà consolidato una totale indipendenza. Resteranno anche profondi segni nella sua architettura mutuati da quella orientale, così come dai sofisticati costumi bizantini, contemplanti i profumi quale parte integrante dello stile di vita, prenderà origine una propria arte profumiera assolutamente originale e di grossa importanza economica.
Profumi dimenticati in Europa, ma non in oriente
Se nell’alto Medioevo in occidente l’uso del profumo, retaggio della Roma imperiale, era stato dimenticato fino a diventare sconosciuto, lo stesso non era avvenuto in Oriente. Già nel VI secolo erano note formule per produrre profumi a base di mirra, iris, nardo, cipero, storace, rosa e altro, profumi da diffondere nell’ambiente tramite combustione su carboni ardenti oppure trasformando le materie prime in unguenti a uso corporale.
Dimostrando indipendenza dal mondo occidentale e dalle scelte imposte dalla Chiesa, che in questa, come in materie meno frivole, aveva remato contro, a Venezia si produceva ogni sorta di essenze e si profumava tutto: persone, abiti, biancheria, sale e saloni, perfino le monete. Infatti, mentre il mondo orientale e quello musulmano elaboravano profumi sofisticati, in Europa si faticava ad accettarli, lasciandoli relegati in poche enclave bizantine e tra esse la laguna. Ci sarebbero voluti secoli perché cessassero le inibizioni e l’uso del profumo si espandesse nel resto del continente.
Vi aspetto il prossimo mercoledì per continuare il mio racconto.
In verità, di tutta la storia un personaggio bussava con prepotenza nella fantasia e al cuore di Gabriele, ma non aveva mai osato chiedere più di quanto il padre aveva voluto raccontare: Roksolana, madre di Selim II e moglie di Solimano il Magnifico. Si immaginava una principessa bellissima, affascinante, avvolta in veli leggeri e fluttuanti alla brezza del Corno d’Oro, cosparsa di profumi orientali.
Il Signore di notte. Un giallo nella Venezia del 1605, romanzo di Gustavo Vitali (2020)
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