Quando a Venezia si profumavano le monete. Parte seconda
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La forchetta e i bagni di rugiada
Nel frattempo, timorati uomini di Dio si erano preoccupati di adottare le loro brave contromisure, bollando il modus vivendi bizantino come immorale e quindi destinatario di immancabili punizioni celesti. Unguenti, profumi, lavarsi spesso, perfino la forchetta, bandita dal vescovo e teologo Pier Damiani come “oggetto demoniaco”, erano stati gli incolpevoli bersagli dei loro strali.
La forchetta, in lingua veneta “piron”, storpiatura del greco “peirein”, cioè infilzare, sarebbe stata introdotta a Venezia dalla principessa Teodora Anna Ducas, figlia dell’imperatore Costantino X Ducas, presa in moglie dal doge Domenico Selvo, o Silvo, in carica dal 1071 al 1084, quando l’altalenante rapporto con Bisanzio aveva segnato anni di collaborazione.
La dogaressa era diventata subito famosa soprattutto per i suoi raffinati costumi e per l’abbondante uso di profumi. Cosicché l’inflessibile Pier Damiani, dopo la forchetta, si era scagliato in reprimende contro il suo stile di vita. Aveva scritto come disdegnasse lavarsi con l’acqua preferendo immergersi in vasche di rugiada raccolta a fatica dai servi, come le sue stanze odorassero d’ogni sorta di incensi e come si cospargesse a pioggia di profumi. Inevitabile il giusto castigo divino: il suo corpo si era corrotto, marcito, la sua stanza si era riempita di un lezzo tremendo e un sollievo generale aveva accolto la sua morte dopo una lunga e atroce agonia.
Il sermone strampalato aveva avuto una certa efficacia sui creduloni, sebbene difficilmente Pier Damiani avrebbe potuto conoscere Teodora essendo scomparso nel 1072, quindi prima dell’arrivo della principessa a Venezia.
Il profumo diventa scienza
Con il tempo l’arte del profumo aveva acquisito connotati propri della scienza. La città era assurta a centro privilegiato di diffusione delle “acque odorifere”, un monopolio destinato a durare a lungo prima che le nuove rotte verso le Indie lo mettessero in discussione, così come accadrà pure per le spezie.
Agli addetti alla preparazione di cosmetici e profumi era stata affibbiata la denominazione di “muschiari”, da muschio, sostanza largamente impiegata nelle lavorazioni. I Muschiari costituivano un’arte chiusa e ben definita perché allora nessun mestiere poteva essere praticato al di fuori della rispettiva corporazione, tanto che ai primi del ‘600 si era arrivati a contarne circa 130.
La distillazione, retaggio degli antichi Romani e perfezionata poi dagli arabi, era stata introdotta come metodo rivoluzionario di fabbricazione già negli antichi testi di Dioscoride, pubblicati a Venezia alla faccia degli strali ecclesiastici. In seguito il trattato di Giovan Ventura Rosetti aveva introdotto la definizione di “acque odorifere”, laddove con il termine “acque” si era intesa l’acquavite, distillato di uva di gran tenore alcolico utile per diluire e conservare gli oli essenziali.
Agli onori della fama era assurta l’“acqua arabesca”, una composizione di materie prime strutturate e composte in maniera assai complessa durante complicate fasi di produzione. Lungo l’elenco: zibetto, muschio, ambracane, stirax, chirobalsamo e olibano, Poi iris, sandalo, cinnamomo, calamo, garofano, noce moscata, rosa, cipero odoroso, fiori di lavanda, di cedro, di gelsomino e d’arancio.
La distillazione aveva comportato un salto epocale per l’intero comparto profumiero: possibilità di conservare il profumo con più tempo per commercializzarlo e l’apparizione di bottigliette, ampolle e contenitori vari si erano qualificati come i tratti salienti del fondamentale passaggio da una profumeria di stampo antico a quella dell’epoca moderna.
La gentildonna allo studio della letteratura classica e contemporanea aveva aggiunto qualche tocco civettuolo immergendosi in testi sulla moda, la tessitura e la storica opera didattica “Galateo, overo de’ costumi” di monsignor Giovanni Della Casa. Non aveva tralasciato le ricette di bellezza, quali l’arcinoto “Notandissimi segreti dell’arte profumatoria” di Gianventura Rossetti e altri autorevoli trattati in tema di cosmesi che impazzavano nelle camere delle signore da un buon mezzo secolo.
Il Signore di Notte. Un giallo nella Venezia del 1605, romanzo di Gustavo Vitali (2020)
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