Ribellarsi

Le parole sono un potentissimo costrutto sociale. Quando le utilizziamo, è sul volto delle persone e nelle loro penne che possiamo vedere il mondo che sprigionano. Nel mese trascorso, mi è capitato più volte di imbattermi e di ricercare, anche attraverso i libri, il significato di una parola che fa spesso tremare: ribellarsi. 

Dal latino rebellare, ovvero, ‘rinnovare la guerra’, il termine porta subito alla mente disobbedienza allo stato, alle leggi, o ancora immagini di disordini civili e scontri armati. Certo, non lascia trasparire nulla di buono e così, privo di contesto, la ribellione appare come un atto da rinnegare o, ancora meglio, da condannare. Eppure, approfondendo la ricerca c’è chi sostiene che il termine ribellarsi esprime bellezza. 

“Bisogna ribellarsi. Nel senso di tornare al bello delle cose.”

Alessandro Bergonzoni

Non si può di certo negare che etimologicamente la parola sia legata alla guerra e che quest’ultima non porti niente di bello con sé; ma è altrettanto vero che la lingua è in stretta relazione con l’ambiente e il modo di pensare, e muta al mutare della società, descrivendo e plasmando la realtà che ci circonda. Così, le parole posso assorbire nuovi significati, nuovi mondi. Allora ecco che ci si può ribellare alla cieca obbedienza, opporsi con decisione a una costrizione; ecco, che si può disobbedire, senza armi o violenza, ma con cultura e pensiero.

C’è chi lotta per la propria libertà e autodeterminazione, come Jo March, protagonista del celebre romanzo Piccole donne (Louisa May Alcott). Ribelle e anticonformista, pronta a opporsi agli schemi imposti dalla società alle donne, in nome dei propri sogni. Chi per amore, come Maurice, protagonista dell’omonimo romanzo di E.M. Foster, ed è disposto a rinunciare alla sua posizione sociale in un’Inghilterra di inizio Novecento che condanna l’omosessualità. Chi, ancora, a un governo che detta leggi e pretende una cieca obbedienza. Montag, in Fahrenheit 451 (Ray Bradbury), viene per questo additato come un fuorilegge e costretto a fuggire, quando inizia a interrogarsi su cosa custodiscono i libri e perché le persone rischiano la libertà per essi, in una società distopica in cui leggere e possederli è illegale. 

Di storie vere di chi ha avuto il coraggio di ribellarsi al potere, alla cultura dell’oppressione, dei soprusi e delle ingiustizie ce ne sono tante, e ognuna meriterebbe di essere raccontata. MADRIGAL… e mi chiamavano puttana edito da Edizioni Il Papavero, custodisce quella dell’autrice Yuyam Marilyn Justinano Roca, e di chi come lei sogna e lotta per una vita migliore. Cresciuta e vissuta in una società in cui le donne valgono poco o niente, in cui i diritti sono dettati da tradizioni e costumi maschili e difficili da sradicare, Yuyam, bambina, mamma, donna, guerriera, non cede alla violenza, si ribella e abbraccia la vita, così come la sogna.

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About Martina Bruno

Martina Bruno, laureata in Lingue e Letterature Moderne, classe 1996, fermamente convinta che la comunicazione e la cultura, in tutte le sue sfaccettature, siano elementi fondamentali per entrare in relazione con gli altri e con il mondo. Non posso smettere di essere curiosa e osservare, c’è troppo da scoprire, assaporare e raccontare.