A COLLOQUIO CON ALFONSO NANNARIELLO di Giovanni Moschella

Ci parli dei suoi studi e della sua formazione.

Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte, mi iscrissi a Lettere e Filosofia ad Arcavagata. Invece di studiare, collezionai esperienze esistenziali abbastanza forti, che mi indussero a entrare in seminario a Napoli e a frequentare la Facoltà di Teologia dell’Italia Meridionale. La sezione di Capodimonte intitolata a San Tommaso d’Aquino.

 

Qui sgrossai pensieri,  linguaggio, modello esistenziale e stile di vita. Il rigore del metodo di studio e della ricerca scientifica imparò a convivere con forme di istintività che continuava ad esprimersi fuori dalle aule universitarie, istintività declinata quasi esclusivamente in ambito politico e sociale.

Quando ha inizio l’interesse per la poesia.

Avevo rappresentato in forme poetiche alcuni elementi del mio sentire nella prima adolescenza. Pur  avendo composto allora dei versi, le mie necessità espressive furono tradotte quasi esclusivamente nelle forme delle belle arti. Scultura, modellazione, grafica e pittura. Ripresi a versificare, anche se in modo sporadico, il primo anno di teologia, quando in modo sistematico cominciai a confrontarmi con la Parola. Smisi comunque abbastanza presto, non reggendo la mia parola il confronto con quell’altra.

Più coerente e continua la necessità di riprendere il verso delle mie cose alcuni anni dopo la fine degli studi teologici. Si trattò principalmente di una serie di esercizi di ‘ritraduzione’ di classici. In particolare la Teogonia di Esiodo.

E’ autore di vari testi, qual è quello che la rappresenta di più?

I miei lavori di critica letteraria, storica e d’arte mi rappresentano tutti allo stesso modo. Tra i testi di antropologia narrativa mi pare che il recente L’indole del rovo sia il più maturo sia in ordine alla narrazione sia in ordine alla completezza della ricerca. Tra i testi poetici il più organico è senz’altro Il rumore dei giorni correnti, premiato al concorso ‘Sulle tracce del De Sanctis’ (XII edizione).

Qual è il compito del poeta nella nostra società?

Non certo scrivere versi. O almeno non soltanto. Il poeta, come sempre, anche nella società contemporanea così viva, per tantissimi aspetti violenta e contraddittoria, ha come impegno primario la militanza. La partecipazione alle questioni sociali del proprio tempo dà valore ai suoi versi, li invera. I suoi versi danno qualità alla sua azione storica, la qualifica.

Perché si scrive molto e si legge poco?

Credo che l’equivoco del ‘leggere poco’ sia frutto di un fraintendimento. O, meglio, di una omologazione/riduzione delle forme di lettura uniformata sulla lettura di testi scritti. In questa società dell’immediato, delle urgenze e della cultura in diverse forme socializzata e acquisita, la lettura è lettura con interpretazione in simultanea (grazie al background culturale acquisito) dei fatti storici. Per analogia la scrittura è azione storica, la quale, proprio perchè ha bisogno di essere definita, spiegata, qualificata, necessita della scrittura alfabetico-letteraria.

Naturalmente un altro motivo che induce più a scrivere che a leggere è l’interiorizzazione di impressioni molteplici provenienti in continuazione da diverse fonti che, a nostra insaputa, coltiviamo fino a quando, non riuscendo più a sopportarne il carico, la pressione, abiamo bisogno di ex-primerle. A volte l’espressione è così forte, urgente e potente, che si manifesta anche in gesti incontrollati e irrazionali, sempre più frequenti. 

Com’è cambiata la società con l’arrivo dei social?

Decisamente in meglio. Per quanto qualsiasi ausilio tecnologico possa in qualche misura lederci e ottunderci in qualcosa, offre notevolissimi vantaggi. La scrittura, ha fatto perdere in parte, in alcuni casi gravemente, la capacità di memorizzare; le autovetture hanno fatto perdere vigore muscolare a chi prima camminava; il telefono ha sostituito la voglia di incontrarsi personalmente…

Il vantaggio dei social è nella capacità di superare frontiere ed abbattere divieti e censure, documentando in diretta gli avvenimenti del mondo, consentendoci di esercitare un controllo ‘dal basso’ e, appunto, diretto, di ciò che, diversamente, potrebbe essere negato o reso non possibile.

I social aiutano il cambiamento, come ha fatto la televisione di servizio,  mostrando diversi modelli di vita e forme di democrazia e innestando processi di liberazione dalle dittature e dispotismi più o meno occulte

Quali i suoi prossimi impegni.

Sto lavorando a una raccolta poetica e a un testo di critica letteraria su un versificatore calitrano che ha composto tra il 1894 e il 1896.

In ambito sociale continuerò a essere presente sul territorio, collaborando con gruppi di azione sciolti o formalmente costituiti.

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