DEVO SALVARE MIO FIGLIO di Antonietta Urciuoli

-Uscite, uscite, il colloquio è terminato! – Tutti salutarono e andarono via. In fondo alla sala quel bambino opponeva resistenza. -Voglio restare con papà! – Mentre pronunciava queste parole stringeva tanto forte i suoi polpastrelli nelle mani del padre da farli diventare rossi.

– Dobbiamo uscire, dobbiamo andar via!- disse la mamma preoccupata. L’agente di custodia si avvicinò a quel nucleo familiare e a malincuore staccò, con forza, quelle tenere mani, poi disse al detenuto di rientrare. La mamma piangendo asciugò le lacrime di Sandro, il bambino di sei anni che per la prima volta, dopo tanti anni, aveva varcato le soglie di un carcere penitenziario. – Dobbiamo andare via! Papà deve restare ancora per poco tempo, poi tornerà a casa. Da quel terribile martedì la vita del bambino cambiò notevolmente. Divenne, all’improvviso, taciturno e si isolò in un mondo tutto suo. Cominciò a stare male, di tanto in tanto diceva che gli mancava il respiro. A scuola la maestra si rese conto che il bambino aveva subito un trauma. Lo testimoniavano, soprattutto,i suoi disegni dove i colori scuri la facevano da padrone e per la prima volta apparvero le sbarre alle finestre che non aveva mai disegnato. Sandro non partecipava più come prima alle discussioni che si tenevano in aula, era diventato abulico e appariva completamente assente dal contesto scolastico. All’improvviso si sentiva male e doveva ritornare a casa. Durante un colloquio con la mamma, l’insegnante venne a sapere che era stato in carcere a salutare il babbo e da allora era cambiato notevolmente anche in famiglia. – Non dovevate portarlo! Perché l’avete fatto? – chiese la maestra e la mamma rispose – Mio marito non lo vedeva da quando era nato, erano anni che mi chiedeva di volerlo vedere! Non avrei mai immaginato una reazione del genere. I miei suoceri hanno insistito tanto anche perché in paese ci sono bambini che vanno a far visita in carcere ai genitori sin da piccoli, senza alcun problema- . -Non sono tutti uguali i bambini!- Rispose la maestra. – Vostro figlio ha una grande sensibilità e certamente l’avete portato senza prepararlo adeguatamente – La madre  abbassò la testa, pentita per quello che aveva fatto. Trascorse notti insonni, ripensava a suo figlio e all’errore che aveva commesso. Lo rivedeva sul divano guardare il soffitto, estraniarsi, non era più il bambino gioioso di un tempo. In famiglia si parlò a lungo di quello che era accaduto a Sandro, ma il nonno paterno, uomo d’altri tempi, molto autoritario aggiunse  – Frottole! Mio nipote dovrà diventare un uomo forte e andare in carcere a trovare il  padre gli servirà ad affrontare la vita. Voi donne avete i capelli lunghi e il giudizio corto! – sentenziò arrabbiato. Poi aggiunse: anzi

-Chiodo scaccia chiodo, il prossimo martedì riportalo dal padre e ti ordino di ritornare ogni settimana-. La mamma di Sandro, il cui nome era Concetta, si rivolse alla suocera implorando il suo aiuto. In cuor suo sapeva bene che il suo tentativo era inutile ma ci provò lo stesso perché doveva aiutare suo figlio. La nonna paterna ascoltò, attentamente, poi diede subito ragione al marito e aggiunse che doveva essere una donna forte, non poteva crescere un figlio rammollito. Doveva seguire il suo esempio, indurire il cuore di fronte alle lacrime dei figli. Concluse dicendo – Concè, noi donne dobbiamo solo ubbidire, non possiamo fare altrimenti! In famiglia è l’uomo che porta i pantaloni e il denaro!- Concetta si sentì ancora più sola nella difficile situazione che era venuta a crearsi. Tutti in famiglia cominciarono a ridicolizzare Sandro dicendogli – Sei un bambino capriccioso, viziato, ci vogliono le botte per farti superare i tuoi mali!- Sandro ascoltava i parenti che lo canzonavano e bisbigliando parole indecifrabili piangeva per ore. Intanto il giorno dei colloqui si avvicinava. Sandro continuava a stare male e la madre, quasi tutti i giorni, doveva andare a scuola a riprenderlo. Lo fece visitare dal medico di famiglia che gli prescrisse uno sciroppo che non fece che peggiorare la situazione. Quando arrivò il martedì,Concetta insieme al figlioletto e alla suocera si recarono dal marito. Durante il viaggio cercò di distrarre il bambino, parlandogli del parco,della scuola,dei suoi compagni ma Sandro ascoltava indifferente,mostrando solo una forte agitazione. Quando il pullman li fermò nelle vicinanze del carcere,cominciò a piangere. Scesero alla solita fermata e si avviarono all’ingresso della grande struttura tra centinaia di persone che erano là per lo stesso motivo. All’improvviso Sandro si accasciò a terra,il volto diventò bianco e non dava più segni di vita. Le persone presenti,senza indugiare,chiamarono il 118 che arrivò nel giro di pochi minuti. Fu visitato e portato in ospedale. Dopo tante ore di attesa in Pronto Soccorso,fu portato in reparto dove restò alcuni giorni. Dopo una serie di accertamenti gli venne diagnosticato un “Attacco di panico”. Una volta a casa,i parenti non l’accolsero felicemente,anzi continuarono a deriderlo perché considerato un debole. Concetta ancora una volta fu costretta ad affrontare quei parenti che le avevano rovinato l’esistenza. Il suocero divenne ancora più insopportabile e ordinò alla nuora di riportare in carcere suo figlio. Ella si ritrovò ben presto tra l’incudine e il martello:da un lato c’era il bambino da aiutare e dall’altro il suocero da ubbidire. Parlando con un giovane medico e con la maestra,le fu consigliato che Sandro doveva,necessariamente,riprendere l’equilibrio perduto. Non doveva per il momento ritornare nel luogo che era stato la causa del suo trauma. La sera prima del colloquio,Concetta affrontò il suocero,anche se non fu facile. Entrò nella sala da pranzo,si avvicinò a lui e gli disse – Domani andrò da sola a trovare mio marito!Mio figlio andrà a scuola!- Il suocero fece finta di non aver capito e alzando la voce gridò -Tuo figlio verrà con te,domani! Altrimenti ti caccerò da questa casa -. Era convinto che con quelle parole,la nuora si fosse spaventata ma al contrario Concetta replicò -Mio figlio andrà a scuola e non vi permetterò di rovinarlo come avete fatto con suo padre-. Il suocero si avvicinò alla nuora e senza pensarci su un momento,le mollò uno schiaffo tanto violento che le fece girare la testa da una parte all’altra. Poi, come leone ferito,sbattè la porta con tutta la forza che aveva e andò via. Il giorno dopo Concetta andò da sola e contenta per come aveva reagito disse tra sé -Mio figlio appartiene a me e solo io devo salvarlo-. Grazie al suo coraggio,al suo amore,all’aiuto di Dio e al tempo che spesso diventa un’ottima medicina,Sandro ritornò quello di prima.

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