Gilda aveva un gatto di Eleonora Davide
Gilda aveva un gatto. Oppure no: lei pensava che, in fondo, fosse lui ad averla adottata. Ma le stava bene così, perciò non aveva mai indagato sulla natura del loro rapporto. Si rispettavano, forse si amavano anche, ma certamente non avrebbero saputo fare più l’una a meno dell’altra. Sì, perché il suo gatto era una femminuccia pelosissima di nome Marta.
Sveglia! Sei una dormigliona!
Era presto, anzi prestissimo e Gilda era nel pieno del sonno.
Chi aveva parlato? Marta era lì e, come sempre, la guardava con l’aria di chi la stava osservando da ore, mentre lei moriva di fame.
La donna si sentì in colpa e si alzò. Ancora stordita, prese l’orologio dal comodino. Le undici? “Oddio!” pensò mentre guardava di sbieco la gatta. Il suo ostentato sguardo innocente la fece indispettire. “Mi farà diventare matta”, si disse.
Miaoooo, fru fru, come era possibile resistere a quel richiamo? Marta si era alzata e aveva sollevato la coda gonfia e ricurva, iniziando a strofinarsi sul piede del letto. Poi, un po’ alla volta, si avvicinò alla donna, che ancora barcollava nel raggiungere la cucina.
«Ecco il tuo latte, monella!»
Finalmente!
Lo aveva sentito davvero? Si voltò e fissò la micia che leccava avidamente il latte dalla ciotola.
«La testa non mi aiuta più.Gesù!» aveva farfugliato, prima di dirigersi verso il bagno.
Erano giorni che non si faceva vivo nessuno, strana cosa per una come lei che aveva tanti amici.
«Dove saranno finiti tutti?»
Era già ora di pranzo.
«Il tempo passa in fretta e io non sono riuscita ancora nemmeno a vestirmi! Vieni qui, Marta. Martaaaa!»
Parlava da sola, come faceva spesso, mentre si era affacciata al balcone per chiamare quella filibustiera della sua coinquilina, vivevano lì da anni, ormai. Una vicina, che era sul balcone, si ritirò chiudendo a chiave il cancello con gran rumore.
«Che brutta persona, quella…! Ma come si chiama? Boh!»
Il telefono.
«Pronto? Marisa chi?… Ah già, Marisa, sì sì!»
“Ma chi è Marisa? La gente è strana, però…”
«Dimmi, dimmi, certo. No, è che forse ero uscita, perciò non mi hai trovato. Sì, ho capito, Marisa.»
“??”
«Va bene, grazie, però ora ho da fare, devo dare da mangiare a Marta.»
«Martaaaa, ma dove sei finita? Oh, eccoti, miciona pazza, fatti carezzare un po’.»
Fru, fru, fru.
«Come farei senza di te? La gente è strana, sai? Prima ti cercano continuamente per chiederti dei consigli e poi non si fanno sentire più. Come l’altro giorno che ero impegnata a fare due conti, scusa se lo racconto a te, ma con qualcuno dovrò pur parlare, eh eh eh. L’altro giorno, insomma, mi citofona un tizio di Amazon. E che voleva da me? Lo sai tu? Io no di certo. Cosa c’entro io con Amazon? La gente è proprio strana. Vieni che ti do da mangiare, vieni? Ma che ora si è fatta? Gesù come passa il tempo. E io, io son ancora in pigiama.»
La porta.
«Mi scusi, signora Gilda, giù c’era questo pacco per lei. Posso entrare?»
«Ma certo, mia cara. Entri pure, mi scusi se mi trova così. Non ho avuto un attimo di tempo oggi.»
«Grazie. Ma ha mangiato?» la donna si avviò al frigorifero sotto lo sguardo pensoso di Gilda.
«Le avevo preparato le polpette, ieri. Non le ha neanche toccate. Fa niente, gliele riscaldo, vedrà quanto sono buone. Lasci fare a me.»
Miao, fru fru, Marta si propose cercando di suscitare l’interesse di Anna, nella speranza di ottenere una polpettina.
«Se la mamma permette, ne avrai una anche tu. È vero, signora Gilda?»
«Certo che sì, hanno un aspetto delizioso e, ora che ci penso, ho davvero appetito. Il tempo oggi è volato e ho avuto tanto da fare…»
Anna si guardò intorno e vide che tutto era rimasto come lo aveva lasciato la sera prima. Sorrise teneramente a Gilda. Era una brava donna, un gran peccato che ora perdesse ogni tanto qualche passo. Era stata lei ad insegnarle tante delle cose che ora sapeva e che le avevano fatto trovare lavoro in una scuola come personale di segreteria, le doveva tutto. Guardò la gatta con complicità e la carezzò con affetto.
«Stasera resto qui da lei, così prepareremo qualcosa di buono per domani.»
Sul muro del salotto tante foto testimoniavano una vita intensa, così come premi, diplomi, una laurea in architettura, attestati di merito, che Gilda conservava con affetto, in ricordo delle persone che aveva incontrato nella sua vita e che le avevano accordato la loro stima. Ora la donna guardava tutto ciò traendone piacere, anche se non ricordava più perché.
«Marta, aspetta che ti apra il balcone, se devi farla, falla nella lettiera come una brava signorina.» Anna si alzò e aprì il balcone.
«Vuole bene a Marta, si vede.»
«Come potrei non volergliene. Questi amici animali hanno una semplicità così pura che non possiamo non rimanerne incantati.»
Poi, guardandosi intorno, ad Anna venne un’idea che la illuminò.
«Sa che facciamo stasera, Gilda? Prepariamo il presepe e domani, magari, anche l’albero di Natale. Che dice, le va?»
«Oh, Gesù! È già Natale?»
«Ci vuole ancora un po’ di tempo, ma credo che sia meglio anticiparci. Non trova piacevole lo spirito che il Natale diffonde nell’ambiente e nelle persone?»
«Oh, sì, certo sì, adoro il Natale. Ma poi mi spiega cosa ci fa qui in casa mia, vero?»
Anna abbassò le spalle, leggermente scoraggiata. Poi si scrollò di dosso quel cruccio e, sorvolando sulle ultime parole dell’amica, le rivolse un sorriso sincero.
«A proposito, dov’è finita Marta. Avrebbe dovuto già rientrare, sta per venire a piovere», s’affrettò poi a dire, uscendo sul balcone.
«Vieni dentro, finiscila di raspare nella lettiera. È tutto coperto, sei stata brava, ora dentro, però!»
Ho sentito che volete fare l’albero di Natale. Mi divertirò. Era stata la gatta a parlare?
«L’ha sentita? Si divertirà», Gilda rise di gusto coprendosi la bocca con la mano, con un gesto apparentemente di pudore, che la faceva sembrare ingenua. In realtà, da quando qualche dente aveva abbandonato il suo bel sorriso, tendeva a nascondere quel disastro. Doveva prima o poi decidersi ad andare dal dentista per farsi sistemare un po’. Il fatto è che aveva una paura ancestrale del dentista, come di tutti i medici, quindi finiva sempre per procrastinare.
«Chi si divertirà?» disse Anna, mentre usciva dalla cucina attirata dalla gioiosa risata.
«Marta, Marta. Immagino cosa combinerà con le palline e gli addobbi.»
«Già, è vero. Beh, vorrà dire che ci divertiremo anche noi, no?» le fece un occhiolino.
Sembrava che, solo ad aver nominato il Natale, già l’aria si fosse fatta più leggera e quella gioia faceva sperare nel futuro.
Anna guardò la donna che aveva di fronte. Rappresentava tanto per lei, talvolta anche più di una madre. Ricordava quando l’aveva accolta nelle sue braccia dopo che il primo fidanzatino l’aveva lasciata, le aveva preparato una torta al cioccolato e poi le aveva raccontato la storia della “Casa Kaufmann”, quella sulla cascata, progettata dall’architetto più ardito del mondo, le pareva si chiamasse Wright o qualcosa del genere. Amava la sua professione. Anche quella casa l’aveva progettata lei, nei minimi particolari. Il camino era tutto di pietra, una particolare pietra fatta arrivare da chissà dove. Erano di legno di quercia i gradini della scala che portava su alla mansarda, dove aveva il suo studio, al cui centro campeggiava un vecchio tecnigrafo con il tavolo di legno. Ovunque c’erano: puntine, pennini, pastelli, taglierini, righe di tutte le lunghezze e rotoli di carta lucida, tanti rotoli e tanti libri, che occupavano tutti gli spazi lungo i muri, tra litografie di progetti, schizzi e acquarelli. Un vecchio studio senza pc e altre diavolerie moderne.
Ora vederla così svagata le faceva male, ma aveva letto da qualche parte che la compagnia e lo stimolo continuo, in casi come quello, aiutavano le persone a vivere meglio.
In fondo cosa è la vita? Un viaggio di cui non si conosce il percorso. Niente mappa, niente navigatore. L’importante è sapere scegliere la via che ci rende felici, ogni giorno. Da quando si era sposata, Anna aveva avuto la conferma a questa convinzione. “Ogni giorno bisogna costruire la propria strada, in base a ciò che ci fa bene”, Gilda, chissà se lo ricordava più, glielo aveva ripetuto tante volte, finché lei, una timida e insicura ragazza, che non si amava neanche un po’, ci aveva creduto. Un giorno le aveva chiesto: «Ma questo discorso non è un po’ da egoisti, Gilda?»
«No, no, non è come sembra, aspetta: se ciò che ti rende felice è vedere gli altri star male, lo è certamente, ma se il tuo star bene coincide con la felicità delle persone che ami, non è così. Riflettici.»
Ci aveva riflettuto parecchio e aveva capito che il postulato in questo modo funzionava e che ciò che fa la differenza siamo sempre noi e la nostra indole. Aveva così deciso la sua strada e aveva cominciato a star bene con se stessa e anche con gli altri; il risultato era che ora aveva tanti amici e un marito amorevole. Quanta saggezza in quella donna. Ebbe un momento di rabbia, pensando a come era ridotta, ma poi la guardò. Gilda carezzava la sua gatta e sembrava felice.
Passarono i giorni e Gilda era più spesso assente, a volte scordava di mangiare e un giorno lasciò anche la fiamma del gas accesa in cucina, in più era caduta già due volte, fortunatamente senza ferirsi. Anna era preoccupatissima. Non dormiva bene. Aveva provato a mettere un po’ di musica quando entrava in casa di Gilda, dicevano facesse bene. Visto il periodo, aveva scelto una selezione di musiche natalizie, di quelle che evocano ricordi ed emozioni e che un po’ ci fanno sentire bambini. Fu così che, sfogliando gli album di foto con lei, vide Gilda piangere di un pianto profondo e silenzioso. Non la interruppe, non c’era bisogno di parole tra loro, ormai. Non se la sentì di lasciarla sola quella sera e dormì da lei, sul divano. Con Marta.
«Tesoro, non puoi andare avanti così. Ti vedo distrutta. Dormi anche sul divano.»
«Cosa vorresti che facessi? Che la lasciassi sola a rischiare di rimanere soffocata dal gas o dalla depressione? E se pensasse di togliersi la vita?»
Anna era sconvolta, guardava il marito con risentimento, per la prima volta. Si voltò per allontanarsi da lui e anche dalle proprie paure.
«Ma cosa dici, tesoro mio. Cosa stai pensando? Vieni qui da me, vieni qui.»
Walter si avvicinò alla moglie, la cinse dolcemente tra le sue braccia, la baciò con tenerezza, mentre le carezzava i lunghi capelli neri, che lui adorava. Le prese con delicatezza la testa tra le sue mani forti, la guardò negli occhi con un’espressione che la commosse. Erano lacrime quelle che vedeva tra le ciglia di lui?
«Pensi che io voglia la tua infelicità e quella di Gilda? Credi davvero che io possa pensare anche per un solo momento di lasciare sola quella donna? Se vuoi, se tu vuoi, verrà con noi, lei con il suo gatto, e vivremo insieme. Che ne dici?»
Anna lo strinse con tutta la forza che quel momento le aveva messo nelle braccia, sciogliendosi in un pianto di gioia. Era davvero quello l’uomo che aveva scelto per condividere con lui ogni suo pensiero. Come aveva fatto a dubitarne?
Era di nuovo Natale: quell’anno era passato velocemente ed erano capitate molte cose. Ora con Anna e Walter c’era anche la piccola Gilda, che aveva tre mesi. Le sue manine paffute, avide di latte e di vita, erano aggrappate al seno della mamma, che ripensava a ciò che era successo.
«Mia cara Anna», le aveva detto Gilda, con un mezzo sorriso, quando era uscita dal colloquio col medico alla fine di una lunga serie di esami, «a quanto pare non mi sono ancora rimbambita e, se come mi dice il dottore, l’operazione alla testa, a cui mi sottoporranno, andrà bene, allora potrò riprendere a fare tutto ciò che facevo prima.»
Anna aveva lottato con tutte le proprie forze per farle accettare di sottoporsi alle visite e ora osservava quella donna, soddisfatta di sapere che non avrebbe perso il bene più prezioso: i suoi ricordi.
Gilda, così, dopo l’operazione e una serie di terapie, fastidiose ma accettate con fiducia, era tornata nella sua casa da un mese, finalmente guarita.
Lei e Marta ora erano felici e grate alla coppia di giovani che avevano compiuto un miracolo di amore, scegliendo solo di essere felici.
Allora, è finita la storia?
«Zitta, Marta!»
Il racconto è presente nell’Antologia Storie e leggende di Natale 2022 di Historica edizioni
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