Il Parco Peri-fluviale di Longola incontra la Paleopatologia

Lo spettacolare sito a Poggiomarino (NA) mostra come era la vita sugli isolotti della laguna del Sarno migliaia di anni fa. Tra capanne e palificate nasconde lo sviluppo del commercio e dell’artigianato locale prima di Pompei. L’antica medicina nell’incontro organizzato da PJ Pharma con i medici campani

Un parco archeologico sulle sponde del fiume Sarno, nel comune di Poggiomarino, mostra le ricostruzioni verosimili del villaggio che dalla prima età del ferro fino a 2700 anni fa sorgeva lungo il percorso del fiume che rende fertile l’agro nocerino sarnese: è il Parco archeologico peri-fluviale di Longola. Tra i più inquinati fiumi d’Italia, il Sarno un tempo offriva invece il favore delle proprie acque alla vita che vi si svolgeva intorno e una comodissima via di trasporto per intessere commerci, collegata ad una rete già molto ampia per quei tempi protostorici.

L’occasione della visita ci è stata offerta da una convention dedicata ai medici campani, organizzata dalla PJ Pharma, gruppo Farmaimpresa, grazie all’Assessora comunale Maria Stefania Franco, alla responsabile del sito archeologico di Longola, dott.ssa Antonietta De Rosa e all’ing. Salvatore La Rocca.

Dalla suggestiva passeggiata guidata nel sito, egregiamente ricostruito dalla Soprintendenza Archeologica di Pompei, in compagnia delle studiose di storia dell’arte Roberta Apuzzo e Filomena Vermiglio, alle considerazioni sulla Paleopatologia, proposte dal titolare di PJ Pharma, Daniele Scetta, la giornata si è svolta come una sorta di viaggio nel tempo.

Pianta del Parco

Pianta del Parco

L’area archeologica, come illustrato nella foto che accompagna l’articolo, è recintata perché oggetto di scavo e qui si trovano anche i depositi con i reperti. È in quest’area che sono stati trovati, infatti, i resti dell’antico insediamento dei Sarrasti, l’antico popolo che domò la palude sfruttando i fondali più alti per trasformarli in isolotti, aiutati da una intricata rete di pali di legno, su cui eressero le loro capanne – visibili nella foto successiva – un po’ come fecero i primi veneziani nel dare forma alla laguna più famosa del mondo.

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Il villaggio, a detta delle esperte, doveva essere molto più esteso di quanto appaia allo scavo perché, probabilmente, come testimonierebbe il ritrovamento di oggetti da parte dei coltivatori dei fondi, un’ampia porzione si troverebbe dall’altra parte del fiume rispetto al parco. Le capanne, completamente riprodotte nell’area visitabile, danno idea della vita che gli antichi abitanti vi conducevano. Queste venivano smontate e ricostruite ogni qual volta il livello dell’acqua saliva o scendeva o quando il fiume fletteva il suo corso nel tempo e ciò avveniva sempre riutilizzando gli elementi delle costruzioni precedenti. Interessanti le attività artigianali che vi si svolgevano, testimoniate dalla presenza di numerosi oggetti d’ambra finemente lavorati, ceramiche e strumenti per la tessitura. Mentre l’agricoltura portava i suoi frutti: in proposito, sono stati rinvenuti semi che, una volta estratti, hanno addirittura iniziato a germogliare.

Attuale insediamento iracheno di March Arab, simile a quello che doveva essere il villaggio di Longola

Attuale insediamento iracheno di March Arab, simile a come doveva apparire il villaggio di Longola

Dopo i primi scavi condotti nel 2001, il parco ha vissuto alterne vicende fino al febbraio scorso, quando finalmente ha aperto al pubblico. In seguito alla scoperta, la Soprintendenza Archeologica di Pompei, con l’aiuto del CNRS di Parigi, ha appurato che l’origine del villaggio è imputabile al II millennio avanti Cristo, 3/4000 anni fa, probabilmente antesignano delle più famose Pompei e Nocera. Purtroppo, non essendo stata ancora affidata la gestione a un ente, il parco apre su richiesta di gruppi, con l’ausilio dell’Associazione nazionale di volontariato Anteas, sezione Anni d’argento Poggiomarino sociale.

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E, venendo alla Paleopatologia, un curioso e interessante escursus, come dicevo, ha condotto i presenti a considerare con gli occhi del passato lo stato di salute degli abitanti della Terra, che molto ci dice sugli usi e i costumi di chi ci ha preceduto. Escludendo le malattie da stress, che caratterizzano la nostra epoca, più mentale, più ricca di tutele per la salute, ma soggetta a stili di vita meno “umani”, come si è passati da un Australopiteco all’Homo sapiens sapiens superando le malattie che hanno minato da sempre la nostra sopravvivenza sul Pianeta Terra? L’uomo, ha raccontato Scetta, ha sempre cercato una soluzione ai suoi malanni, soprattutto in funzione del cambiamento di abitudini lavorative. Dall’era della caccia a quella dell’agricoltura e della pastorizia, per esempio, la trasformazione del ritmo delle giornate lavorative e del periodo di esposizione al sole ha inciso profondamente sulla struttura delle nostre ossa e anche sull’usura dei nostri denti, attaccati dall’azione di diete più ricche di carboidrati.

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Lo sviluppo di una vita comunitaria – ha sottolineato Scetta –  incise sul modo di confrontarsi con la malattia sia a causa dei contagi che sotto la luce della condivisione delle sintomatologie che venivano così, in qualche misura, codificate. Ma nella ricerca dei rimedi non è mai stato secondario, in mancanza di altro, il ricorso alla magia, capace di potenziare le capacità di autoguarigione. Non sempre, ovviamente, e non sempre in modo efficace.

Interessante la scoperta fatta, grazie all’analisi dei resti degli uomini primitivi, dell’esistenza di diverse patologie ancora largamente diffuse attualmente e anche di malattie che, grazie ai vaccini, alcuni dei quali sperimentati in epoche insospettabili, in alcune parti del mondo oggi sono completamente scomparse. Del resto zanzare fossili, veicoli della malaria, sono state ritrovate nei giacimenti di circa 30 milioni di anni fa e si fa risalire tra i 6 e i 10 milioni di anni la comparsa del plasmodium falciparum.

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About Eleonora Davide

IL DIRETTORE RESPONSABILE Giornalista pubblicista, è geologa (è stata assistente universitaria presso la cattedra di Urbanistica alla Federico II di Napoli), abilitata all’insegnamento delle scienze (insegna in istituti statali) e ha molteplici interessi sia in campo culturale (organizza, promuove e presenta eventi e manifestazioni e scrive libri di storia locale), che artistico (è corista in un coro polifonico, suona la chitarra e si è laureata in Discipline storiche della musica presso il Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino). Crede nelle diverse possibilità che offrono i mezzi di comunicazione di massa e che un buon lavoro dia sempre buoni risultati, soprattutto quando si lavora in gruppo. “Trovo entusiasmante il fatto di poter lavorare con persone motivate e capaci, che ora hanno la possibilità di dare colore e sapore alle notizie e di mettere il loro cuore in un’impresa corale come la gestione di un giornale online. Se questa finestra sarà ben utilizzata, il mondo ci apparirà più vicino e scopriremo che, oltre che dalle scelte che faremo ogni giorno, il risultato dipenderà proprio dall’interazione con quel mondo”.