Leggerezza
Manca poco, forse pochissimo se pensiamo a quanto velocemente, a volte, il tempo sembra scorrere, quasi scivolandoci tra le dita, inafferrabile. Si conclude il vecchio e si aprono le porte al nuovo, con tutto quello che questo momento comporta. Perché tra le feste, le grandi mangiate, le risate e i brindisi, bisogna ammettere che la fine dell’anno porta con sé un misto di emozioni, come la malinconia e, perché no, un po’ di paura per quello che potrebbe accadere, o non accadere, nell’anno nuovo. Tra le ansie e la lista dei buoni propositi da preparare, navighiamo verso una nuova parola: leggerezza.
Dal latino levis, ovvero ‘lieve’; o ancora lene, dal latino lenis, ovvero ‘leggero, delicato, dolce’. Scavando nell’etimo si riscopre la delicatezza del termine, soprattutto se si pensa al provenzale antico leujairia, proprio ‘leggerezza’, che però traduciamo con ‘leggiadria’, che, solo a dirlo, schiude la grazia, la bellezza, l’armonia. Come molte parole, però, anche questa può avere una molteplice lettura, a volte distaccata dalle sue radici, assorbendo, o richiamando, giudizi negativi. Ecco, che sulla leggerezza incombe una nuvola nera dalla quale sfuggire. Frivolezza, superficialità, poca serietà, incostanza, volubilità, soprattutto se si pensa alle decisioni prese con leggerezza.
Milan Kundera pone la leggerezza al centro del suo romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, e di una discussione filosofica che la contrappone alla pesantezza. L’autore si chiede se è possibile attribuire un peso alla vita, senza un eterno ritorno. Senza la possibilità di confutare le decisioni prese, senza poter avere un termine di paragone, è impossibile dire effettivamente se queste sono giuste o sbagliate; allora le nostre scelte diventano del tutto insignificanti, tanto da poterci lasciare andare e prenderle con leggerezza.
Leggerezza è anche assenza di peso, liberarsi dai macigni che ci opprimono e lo spiega Calvino nelle Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, nato in seguito ad alcune conferenze tenute alla Harvard University, mai terminato e pubblicato postumo nel 1988. Sulla leggerezza, uno dei sei postulati cardine, Calvino dice: prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.
Il termine, così, si libera dai giudizi negativi, dalla superficialità e dall’assenza di serietà diventando un salto spaventoso ma necessario per raggiungere la serenità.
Non è forse un caso se nei versi di Scrivo e vegeto di Emily Strange (Edizioni Il Papavero) compare proprio la leggerezza, che non è sicuramente superficialità ma è quella delle nuvole, irraggiungibile, segretamente sperata, che si contrappone al peso della mente. Ed è forse il filo conduttore delle sue poesie; una grazia e una delicatezza che l’autrice sprigiona verso dopo verso nel raccontare, come spiega Emilio Lonardo nella prefazione, la sofferenza intima e comune di chi prova sempre a sbrigarsela da sé, di chi sente l’anima in catene, eppure, coltiva la speranza della primavera, dell’evasione.
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