RAPPORTO ITALIANI NEL MONDO 2012

Scheda  di  sintesi
Fondazione Migrante
Rapporto Italiani nel Mondo 2012
Edizioni Idos, Roma, maggio 2012

«La settima edizione del Rapporto Italiani nel Mondo, pur mantenendo invariata la sua struttura, presenta contenuti innovativi a livello statistico, socio-culturale, economico e pastorale. Rispetto al passato si colloca in un anno in cui la messa in sicurezza delle finanze pubbliche ha comportato, per il 2012, una ulte-riore e pesante decurtazione nel bilancio del Ministero degli Affari Este-ri»: così si legge nell’introduzione a firma di mons. Giancarlo Pere-go, Direttore generale della Fondazione Migrantes, il quale fa riferi-mento, nel suo intervento, a eventi significativi del passato e a diversi nodi problematici della situazione attuale.

L’EMIGRAZIONE DEL PASSATO
Tra i Paesi industrializzati, l’Italia è quello che storicamente ha dato un maggiore apporto ai flussi internazionali con quasi 30 milioni di espatriati dall’Unità d’Italia ad oggi, dei quali 14 milioni nel periodo
1876-1915. Anche il decollo economico del 1896-1908, durante il quale il Pil conobbe una crescita annua del 6,7%, si mostrò insuffi-ciente ad assorbire i contadini espulsi dalle campagne. Nel 1913 emigrarono poco meno di 900 mila italiani, una vera e propria emorragia: si andava oltreoceano in nave e in Europa ci si spostava in treno e anche a piedi. La Sicilia, da dove nel 1876 partivano poco più di 1.000 persone, arrivò a superare le 100 mila partenze all’inizio del Novecento ed è, attualmente, la prima regione per numero di emigrati all’estero.
In Argentina, all’inizio del secolo scorso, erano più numerosi i resi-denti di origine italiana rispetto agli stessi  argentini. Avellaneda (nome mutuato dall’allora presidente della Repubblica), cittadina del Nord-Est della provincia di Santa Fe, fu fondata il 18 gennaio 1879 con l’arrivo di un piccolo gruppo di famiglie friulane, attirate dai benefici della legge sull’immigrazione e la colonizzazione, che a ciascuna assegnava trentasei ettari di terreno da coltivare; nono-stante il tempo trascorso, questa collettività è rimasta coesa e orgo-gliosa delle sue tradizioni. In Brasile, un altro importante sbocco storico per i nostri emigrati, gli abitanti dello Stato di San Paolo sono per il 44% di origine italia-na. La presenza è di vecchia data anche in altri paesi. In Perù, ad
esempio, la Compagnia dei Pompieri Garibaldi, tuttora attiva, fu fondata nel 1872; qui è rimasto famoso Antonio Raimondi, arrivato al porto di Callao nel luglio del 1850, per i suoi meriti come esplo-ratore della Cordigliera delle Ande. Nell’area latino-americana, dove tra gli italiani si diffusero, fin dall’inizio, forme associative di mutuo soccorso, operano diversi tra i 22 ospedali italiani e i 20 cen-tri di cura all’estero. Nell’America del Sud è anche localizzata la quota più consistente sia delle 400 mila pensioni italiane in paga-mento all’estero, sia delle domande di acquisizione di cittadinanza (768.192 tra il 1998 e il 2007).
La presenza italiana è molto significativa anche nel Nord America. Negli Stati Uniti gli italo-americani iscritti all’Aire sono 215.000, mentre le persone di origine italiana sono 15 milioni nell’intero paese (incidenza del 5,6% sulla popolazione) e, di essi, 2 milioni e 700 mila risiedono nell’area metropolitana di New York.
Gli espatri furono elevati non solo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ma anche dopo la seconda guerra mondiale: negli  anni ’50 e ’60 poco meno di 300.000 l’anno; 180.000 negli anni ’70; 685.000 negli anni ’80 e ancora di meno negli anni successivi, collocandosi attualmente al di sotto delle 50 mila unità. Dalla metà degli anni ’70, a causa dell’andamento demografico negativo, i rim-patri degli italiani sono stati più numerosi degli espatri ed è iniziato, anche in Italia, l’arrivo dei lavoratori stranieri.

L’EMIGRAZIONE ATTUALE

Nel 1861 gli italiani all’estero erano 230 mila su una popolazione di 22 milioni e 182 mila residenti (incidenza dell’1%). Al 1° gennaio 2012, aumentati complessivamente dopo un anno di 93.742 unità, i cittadini italiani iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) sono 4.208.977 (per il 47,9% donne) e incidono sulla popola-zione resiente in Italia nella misura del 6,9%. Gli oriundi, invece, sono stimati oltre i 60 milioni. Queste statistiche sono approssimative per difetto, perché non è possibile registrare tutti quelli che continuano ad emigrare. Sono numerosi, infatti, i giovani che lasciano alle loro spalle una situazione di precarietà e si recano all’estero (talvolta con ripetuti spostamenti e senza un progetto definitivo), facendo perno per lo più sulle reti familiari; spesso all’inizio non hanno una buona conoscenza della lingua del posto, ma quasi sempre sono provvisti di un’adeguata qualificazione per inserirsi nel mondo produttivo e della ricerca. Le mete preferite sono la Germania, il Regno Unito e la Svizzera, ma non manca chi si dirige in paesi più lontani. Il viaggio diviene, così, centrale nel loro percorso culturale e professionale.
Secondo recenti sondaggi (Eurispes 2012) quasi il 60% degli italiani tra i 18 e i 24 anni si dichiara disposto a intraprendere un progetto di vita all’estero. A essere più sfiduciati delle opportunità offerte in Italia sono quelli di 25-34 anni, più le donne che gli uomini, più nel Nord e nel Centro che nel Sud e nelle Isole. Tale percezione è diffusa anche tra i giovanissimi e, tra l’altro, la sfiducia aumenta quando il titolo di studio posseduto è più elevato.
Per inquadrare in maniera completa il fenomeno della mobilità biso-gna tenere conto, quindi, dei flussi tradizionali e dei nuovi flussi, sta-bili o pendolari, come anche dei lavoratori stagionali (59 mila solo verso la Svizzera) e delle migrazioni interne, anche queste ancora consistenti (109 mila si sono trasferiti dal Meridione nel Centro Nord).

GLI ANNIVERSARI DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA
La pubblicazione del nuovo Rapporto Migrantescoincide con la chiu-sura delle celebrazioni ufficiali del 150° anniversario dell’Unità italia-na, che ha portato a fare il punto sulle tematiche emergenti negli
studi migratori e, in particolare, sul radicamento (al di là dei regiona-lismi e dei localismi) dell’identità italiana e sull’apporto dato dalla diaspora alla Patria, di cui fu espressione il ritorno in Italia di 150 mila espatriati per partecipare alle operazioni della prima guerra mondiale.
Questo e altri anniversari, da sempre occasione di riflessione, aiutano a tracciare un bilancio sul complesso rapporto tra l’Italia e i suoi emi-grati.
L’Associazione Bellunesi nel Mondo ha celebrato, il 12 novembre 2011, i suoi primi 45 anni di vita, ricordando le persone lungimiranti che ne favorirono la nascita, tra le quali il vescovo mons. Gioacchino Muccin e l’ingegner Vincenzo Barcelloni Corte. La costituzione del-l’Associazione avvenne sull’ondata emotiva della tragedia di Matt-mark in Svizzera (30 agosto 1965), quando una valanga si riversò su un cantiere, provocando numerose vittime (tra le quali 17 bellune-si), e fece pensare in Italia alla dura vita dei suoi emigrati. Sempre in Svizzera, a Zurigo, nel mese di dicembre 2011 è stato celebrato il 50° anniversario della Libreria Italiana, fondata da Sandro e Lisetta Rodoni, che per molti anni costituì un rifugio per i simpatizzanti della sinistra, allora non bene accetti. Furono in molti a frequentare questa libreria, tra cui diversi personaggi famosi come Carlo Levi e Leonardo Sciascia. Lo scrittore Saverio Strati, trasferitosi in Svizzera nel 1964, ha iniziato il suo quinto romanzo Noi lazzaroni (1972), ambientandolo proprio in questa libreria.
Tra le cose che i connazionali dovettero sopportare vi furono i diversi referendum promossi, tra il 1965 e il 1974, contro il cosiddetto “inforestierimento” (Ueberfremdung) perché la presenza straniera da molti veniva considerata eccessiva nonostante il fondamentale rapporto, non solo economico, assicurato alla Svizzera.
Ricorrono anche diversi anniversari centenari, come quello della fer-rovia più alta del mondo. Il 1° agosto 1912, dopo che i lavori erano iniziati nel 1896 e dopo che nel mese di febbraio cadde l’ultimo dia-framma della galleria che portava alla stazione più alta d’Europa (a 3.454 metri sullo Jungfraujoch, un passo delle Alpi bernesi), entrava in funzione la ferrovia a cremagliera di 9,34 km. Questo ardito e riu-scito investimento turistico (ben 765.000 turisti nel 2011) fu reso possibile dall’opera degli italiani nei lavori ferroviari (45.321 su poco più di 70 mila addetti), che erano pressoché i soli ad affrontare il duro lavoro dello scavo. A realizzare l’ultima galleria furono 200 ita-liani, ben pagati ma confinati a 3.400 metri di altezza per ben 4 anni, collegati al resto del mondo solo dal telefono e dal cavo dell’e-nergia elettrica, ed esposti a una temperatura costantemente sotto zero e a un uso estremamente pericoloso della dinamite. In 16 anni di lavoro i feriti furono circa 100 e i morti 30 (tutti italiani eccetto uno), cosicché il grande vescovo degli emigrati mons. Geremia Bonomelli, recatosi in visita al cantiere, poté dire ai connazionali senza alcuna enfasi: «Senza il vostro possente aiuto quest’opera gigan-tesca non potrebbe compiersi»; questa era anche la convinzione della società appaltatrice dei lavori. Una storia di eroi senza nomi, che ha fatto grande l’emigrazione italiana.
Un’altra città emblematica è Wolfsburg, in terra tedesca, che cele-bra, nel 2012, il cinquantesimo anniversario dell’arrivo in città degli italiani, venuti in gran parte per lavorare nello stabilimento della Volkswagen. Gli italiani, considerati inizialmente solo ospiti (Gastar-beiter), si sono ben integrati in questa città, pervenendo a una parte-cipazione attiva nel consiglio di fabbrica della famosa industria auto-mobilistica, nel comune, nei partiti, nelle associazioni e in altre orga-nizzazioni socio-culturali. Ormai, in tutta la Germania, gli italiani vengono guardati con riconoscenza per l’apporto dato allo sviluppo locale, senza più essere considerati stranieri. «L’emigrazione è stata una scuola di internazionalismo e fratellanza fra i popoli, fatta da mino-ranze che non vanno dimenticate ma esaltate, perché hanno conquista-to nuovi orizzonti morali che superano i nazionalismi» (Peter Kamme-rer, docente all’Università di Urbino, Convegno promosso dal Museo dell’Emigrazione Italiana il 9 novembre 2011 sul tema “Il ruolo dell’emigrazione italiana nell’unità nazionale”). È finito il tempo del cartello “Eintritt für Italiener verboten!”, che un ristorante di Saarbrücken mise in bella vista con una traduzione italiana ancora più imperiosa: “Proibito rigorosamente l’ingresso agli italiani!”.
La rassegna degli anniversari non può non considerare anche quelli, numerosi, relativi alle Missioni Cattoliche Italiane, spesso portate avanti dai sacerdoti che, con senso del dovere e coraggio, vissero in solitudine e povertà, come ci viene ricordato per la Scandinavia, area parimenti raggiunta dagli emigrati italiani. Il RapportoMigrantes 2012 ricorda anche i 50 anni di vita della Missione di Kreuzlingen in Svizzera o quello dell’Istituto delle missionarie scalabriniane, fondato a Solothurn nel 1961, che ha visto la partecipazione, durante i festeggiamenti, di oltre 400 persone provenienti da ben 33 paesi diversi.
A fronte di questa lunga storia di emigrazione, ci si deve chiedere se
il tempo della maturità storica rischi di equivalere all’accentuazione
della crisi nei rapporti tra gli emigrati e l’Italia.

UNA STORIA DI IMPEGNO UMILE E DI CASI DI SUCCESSO
Le condizioni d’insediamento degli emigrati furono spesso penose, anche nei paesi nei quali attualmente le collettività italiane si sono inserite a livelli apprezzabili. Nel 1971, nei “block” newyorkesi di Mulberry Street o Bayard Street, il famoso fotoreporter Jakob Riis (1849-1914) contò 1.324 italiani ammucchiati in 132 stanze.
Pur partendo in maniera così sfavorevole, la maggior parte degli emigrati si adoperarono strenuamente con dedizione per il bene della propria famiglia e riuscirono a far apprezzare anche il proprio paese, diventandone umili ma efficaci ambasciatori.
Nel passato non era insolito per gli italiani spostarsi verso l’Est Euro-pa, non solo come manovali ma anche come muratori e scalpellini.
Questo avvenne tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento in occasione della costruzione della Transiberiana che, con i suoi 9.288,2 km, rappresentò la più lunga ferrovia del mondo e un can-tiere bisognoso di numerosi operai provenienti dall’estero, tra i quali, a centinaia dal Friuli, originari soprattutto di Vito d’Asio, Clauz-zetto, Osoppo e Montenars.
Uno sbocco migratorio tra i più antichi fu la Francia. Il cantautore Gianmaria Testa, intervistato nel Rapporto Migrantes,si sofferma sulle sofferenze patite dagli emigrati in quel Paese: Ritals, uno dei suoi pezzi più drammatici, ricorda il termine dispregiativo con cui gli ita-liani venivano chiamati e, con il suo messaggio musicale, insegna che non ha futuro chi non tiene conto della storia.
Gli emigrati italiani sono, quindi, persone da non dimenticare ma, a loro volta, sono persone chiamate a ricordarsi dell’Italia.
Il Rapporto Italiani nel Mondo 2012 presenta storie di successo, che mostrano l’apprezzamento riservato, all’estero, sia ai prodotti con-trassegnati dalle famose “4 A” del made in Italy(arredamento, auto-mazione meccanica, abbigliamento e alimentare), sia a numerose
figure di imprenditori, archeologi, architetti, uomini di cultura, ope-ratori sociali e politici. Ad esempio, il palazzo reale, il parlamento e altri edifici pubblici di Bangkok furono ideati e realizzati negli anni ’20 del Novecento, prendendo a modello Torino, dal fiorentino Cor-rado Feroci (1892-1962), così come lo scultore cremonese France-sco Riccardo Monti (1888-1958) fu autore dei più prestigiosi monu-menti di Manila negli anni ’30.
Gli oltre 4 milioni di italiani residenti all’estero costituiscono un mondo molto differenziato, che va dalle presenze stabili a quelle emporanee, dai marinai ai circensi, per citare due categorie non sempre tenute presenti. Vi sono gli emigrati bisognosi di essere assi-stiti e altri, ben inseriti, in grado di aiutare il loro Paese: con gli uni e con gli altri il compito più urgente consiste nel riuscire a fare rete. Sono chiamati ad adoperarsi a questo riguardo, insieme alla società italiana, i parlamentari eletti all’estero, il Consiglio generale degli ita-liani all’estero, i Comitati degli italiani all’estero e l’associazionismo operante in emigrazione.

LA RELAZIONE DIFFICILE DELL’ITALIA CON LA SUA DIASPORA
L’alta cultura dell’Ottocento e del Novecento si soffermò solo par-zialmente o episodicamente sull’emigrazione italiana e, nonostante il coinvolgimento di alcuni autori importanti, per lo più si trattò di uno sguardo calato dall’alto. Successivamente, l’interesse specifico agli italiani nel mondo aumentò, come attesta una grande fioritura di titoli loro dedicati e, se già intorno agli anni ’60 (ad esempio con Italo Calvino) si riscontrava una maggiore empatia, negli ultimi 20 anni la letteratura sembra aver riscoperto il contesto migratorio e la memoria del passato.
Il bilancio è problematico anche a livello formativo. In Italia, la cono-scenza del fenomeno dell’emigrazione non è entrata significativa-mente nel circuito scolastico, neppure nel primo periodo del dopo-guerra quando i flussi verso l’estero erano ancora molto elevati.
«Come è possibile– si chiedeva laconicamente, ma con parole ancora valide il prefatore de I figli del Sud(Fabbri, Milano, 1973), libro-reportage sulle migrazione interne e internazionali degli italiani del giornalista e meridionalista Giovanni Russo – che milioni di persone vivano il dramma dell’emigrazione interna dai paesi agricoli del Sud alle periferie industriali del Nord, e i libri per ragazzi non ne parlino? Che milioni di incontri fra compagni di scuola debbano ancora superare l’o-stacolo delle differenze di dialetto, di sensibilità, di abitudini e di reddito familiare, e la scuola non abbia strumenti adeguati per spiegarne le ragioni? […] Come è possibile, infine, non affrontare nella scuola il peri-colo di un atteggiamento discriminatorio, se non razzista, quando i ragazzi vedono coi loro occhi una concentrazione di fatto della mano-dopera meridionale in certi mestieri e in certi quartieri delle città, e nella scuola stessa l’affollarsi dei loro compagni immigrati dal Sud nelle classi differenziali?» (pp. 5-6).
Problematica è anche l’immagine che dell’Italia si ha all’estero, e non solo perché stenta a superare la difficile congiuntura economi-ca. I media esteri spesso presentano l’Italia come un paese litigioso, scarsamente concludente, di scarso rilievo politico e culturale, e di fronte a questo atteggiamento le nostre collettività non possono che restare deluse. In effetti, è ridotta la popolarità degli autori italiani all’estero attestata dall’Index Translationum, una sorta di bibliografia internazionale delle traduzioni, gestita dall’Unesco e informatizzata dal 1979, che consente di monitorare gli ultimi 30 anni per quanto riguarda l’editoria e le traduzioni. Tra i primi 50 autori più tradotti al mondo non figura alcun connazionale. Tra i primi 10 autori in italia-no per numero di edizioni estere, invece, figurano scrittori classici, il “sommo poeta” e anche due personalità religiose (Umberto Eco, Italo Calvino, Dante Alighieri, Emilio Salgari, Carlo Collodi, Alberto Moravia, Gianni Rodari, Carlo Maria Martini, Niccolò Machiavelli e Giovanni Paolo II). Un’altra interessante graduatoria, relativa alle “150 Italie più conosciute nel mondo” e curata da un istituto scolasti-co di Lecce (www.costa.clio.it), mostra l’attenzione riservata a diversi spetti della vita italiana (storia, cinema, moda, musica, sport), men-tre non viene citato alcun uomo politico del dopoguerra, né unalegge importante o una università.

LA LINGUA E LA CULTURA ITALIANA COME LEGAME
La situazione degli italiani nel mondo è molto problematica, come stigmatizzato in diversi capitoli del Rapporto Migrantes 2012: ridi-mensionamento della rete diplomatico-consolare, mancanza di risorse per la promozione della lingua e della cultura italiana, come anche per il sostegno del sistema produttivo italiano e dell’attività dei Comitati degli italiani all’estero. I capitoli di spesa dello Stato riguardanti gli italiani all’estero, da 58 milioni di euro stanziati nel 2008 sono diminuiti a 16 milioni di euro nel 2012 (-72%). La caren-za, però, riguarda le risorse finanziarie e anche le idee progettuali.
La società statunitense, ad esempio, è sempre più attratta dall’Italia e dalla sua lingua, il cui insegnamento però rischia di perdere posi-zioni se non viene adeguatamente sostenuto. Questa situazione preoccupa i singoli emigrati, le loro famiglie, il mondo associativo, la Chiesa e le altre strutture che si occupano del settore. Ferma restando la necessità delle manovre ritenute necessarie per rag-giungere il risanamento economico in questa fase di recessione, non si deve smettere di pensare che la presenza all’estero sia una risorsa: non è solo una questione di investimenti ma anche, e ancor di più, di mentalità. Per mantenere il senso di appartenenza delle collettività e favorire la diffusione della lingua e della cultura italiana è stato ipotizzato che gli Istituti italiani di cultura, nell’ambito di un rinnovato quadro giuridico, possano ampliare competenze e capacità gestionale, assumendo il coordinamento delle attività del settore e cercando di autofinanziarsi, analogamente a istituti esteri similari, quali l’Al-liance Francaise, l’Istituto Cervantes o il Goethe Institut. In questo impegno non si può fallire e perciò, in una sua riflessione, significa-tivamente intitolata “Eutanasia della diaspora italiana nel mondo”, lo scalabriniano padre Graziano Tassello ha scritto che «i giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere», i quali pos-sono rimanere uniti al loro paese di origine solo attraverso la lingua e la cultura (Corriere degli Italiani, 15 febbraio 2012).

L’APPORTO DEGLI ITALIANI NEL MONDO
L’intensificarsi degli scambi ha reso relativo il concetto di sovranità nazionale ed ha accentuato l’importanza della mobilità umana.
L’attaccamento alle proprie origini culturali, anche da parte degli italiani che hanno programmato una permanenza stabile all’este-ro, porta a interrogarsi sul loro auspicabile apporto alla società italiana, assicurando i benefici di una “emigrazione di ritorno” (non necessariamente in senso fisico). Questa è la prospettiva da far valere in un mondo globalizzato, dalle reti molto ramificate, pervenendo alla consapevolezza che i risultati finora raggiunti non sono confortanti.
Invece, questa esperienza transnazionale costituisce un’opportu-nità per l’Italia. Il prof. Riccardo Campa, docente all’Università Jagellonica a Cracovia, in una intervista rilasciata a www.lombar-dinelmondo.it, ha precisato al riguardo: «Ho anche l’impressione che noi italiani all’estero, proprio per la nostra possibilità di fare con-fronti con ciò che accade in altri paesi, e per il fatto che cerchiamo di tenere saldo il legame con la madrepatria, siamo molto più informati e più in grado di capire la situazione italiana di chi non ha mai messo il naso fuori dall’Italia”».
A sua volta Maurizio Molinari, autore del volume Gli italiani di New York(Laterza, Roma-Bari, 2011), ha affermato: «Ho maturato la convinzione che ogni italiano d’America ha cognizioni, competenze e voglia di fare che potrebbero trasformarsi in un grande motore di cre-scita per il nostro Paese».
Va in questo senso il programma avviato nel mese di aprile 2012 dal Ministero degli Affari Esteri per creare una piattaforma web (crowdsourcing), con il coinvolgimento dei 22 addetti scientifici in servizio presso le ambasciate e i consolati, al fine di consentire ai talenti espatriati di restare in contatto con l’Italia e contribuire al superamento della crisi e alla crescita economica.
Il Rapporto Italiani nel Mondo 2012 della Fondazione Migrantes rac-comanda a chi è rimasto in Italia di inserire la presenza italiana all’estero nel circuito formativo e culturale, e a chi vive all’estero di mostrare un maggiore attaccamento alle vicende italiane, non facendo mancare suggerimenti mirati in occasione dei molteplici incontri organizzati dal governo, dalle regioni e dalle associazioni.
Nel 2011, secondo la Banca d’Italia, sono entrati in Italia oltre 70 milioni di persone provenienti dall’estero (e tra di essi molti italia-ni), di passaggio o per trattenersi uno o più giorni, offrendo ulte-riori occasioni per rinsaldare i legami con l’estero.

DATI DI SINTESI
Residenti italiani all’estero (01.01.2012):
Consistenza: 4.208.977
Incidenza sulla popolazione italiana: 6,9%
Caratteristiche socio-anagrafiche
Donne: 2.017.167 e incidenza del 47,9% sul totale AIRE
Minori: 664.666 e incidenza del 15,8%
Over 65enni: 797.619 e incidenza del 19,0%
Celibi: 53,7%
Coniugati: 38,9%
Iscritti per espatrio: 54,0%
Iscritti per nascita: 38,3%
Acquisizioni di cittadinanza: 3,2%
Luoghi di partenza e mete di arrivo
Primi 5 Paesi di residenza all’estero: Argentina (664.387),
Germania (639.283), Svizzera (546.614), Francia (366.170)
e Brasile (298.370).
Prime 5 Regioni di partenza: Sicilia (674.572),
Campania (431.830), Lazio (375.310), Calabria (360.312)
e Lombardia (332.403).
Prime 5 Province di partenza: Roma (289.556),
Cosenza (147.601), Agrigento (142.985), Salerno (115.822)
e  Napoli (110.703).
Primi 5 Comuni di partenza: Roma (266.652), Milano (58.107),
Napoli (36.975), Torino (36.346) e Genova (29.950).
Flussi riguardanti l’Italia
Iscrizioni dall’estero 2000-2010: 404.952
Cancellazioni per l’estero 2000-2010: 450.161
Iscrizioni dall’estero 2010: 28.192
Cancellazioni per l’estero 2010: 39.545
Flussi riguardanti il Meridione
Trasferimenti al Centro-Nord (2009): 109.000
Regioni di destinazione: Lombardia, Emilia Romagna, Lazio
Regioni di partenza: Campania, Sicilia, Puglia, Calabria
Protagonisti: età media32,5 anni, per il 32,5% laureati
Trasferimenti all’estero (2009): 12.000
Paesi di destinazione:Germania, Svizzera e Regno Unito
Pendolarismo di lungo raggio (2010): 134 mila (dato 2010)
Verso il Centro Nord: 121 mila
Verso l’estero:13,2 mila

Rapporto Italiani nel Mondo
c/o Centro Studi e Ricerche IDOS
Via Aurelia 796, 00165 Roma
Tel. 0039.06.66514345 – cell. 0039.335.1817131 – Fax. 0039.06.66540087
e-mail: idos@rapportoitalianinelmondo.it

 

 

 

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