A VOLTE MI RITROVO SOPRA UN COLLE
A volte mi ritrovo sopra un colle
Racconti da un carcere
a cura di Maria Rosa Tabellini,
Marcianum Press, pagine 221, costo € 16,00
Gli appassionati di lettura, quelli magari “non troppo eruditi”, scelgono un libro in base all’autore, al titolo, alle descrizioni recate in seconda e in quarta di copertina. Qualcuno è attratto dal disegno della copertina, dalla qualità della carta oppure, anche, dal suo profumo.
Così, già prima di iniziare la lettura, immaginano qualcosa del libro scelto: il contenuto, il protagonista e, leggendo le prime pagine, capiscono già se continueranno o meno. Se, cioè, la loro scelta è stata giusta.
Di qualsiasi genere sia un libro, il risultato è sempre quello di arricchire il bagaglio intellettivo del lettore.
Io, ad esempio, scegliendo A volte mi ritrovo sopra un colle il cui sottotitolo è Racconti da un carcere, mi aspettavo di leggere tristi e patetiche storie di carcerati.
È chiaro che la mia aspettativa fosse influenzata dal pregiudizio: carcerato→ bruto→ ignorante.
Eppure ho scelto di leggerlo, forse perché il suo titolo mi diceva, sotto sotto, che mi sbagliavo.
E, infatti, sin dalle prime pagine lette, questa sensazione è diventata certezza.
Il libro è il risultato di un reading tenuto nel carcere di alta sicurezza di Ranza, dal quale sono scaturite produzioni letterarie varie e estremamente significative, frutto di una perfetta mescolanza di insegnamento, vita vissuta, ispirazione e fantasia.
La premessa è l’importanza della scrittura come elemento per “qualificare” la propria personalità.
Man mano che andavo avanti nella lettura e ne terminavo un racconto, mi scoprivo stupefatta da tanta capacità. Ma, più che vera e propria capacità, era il legame affettivo scrittore-prodotto che veniva fuori dai racconti a incantarmi.
Deve essere stato difficile e impegnativo il lavoro svolto dalla curatrice Maria Rosa Tabellini e da coloro che hanno prestato le proprie capacità.
I racconti sono raggruppati intorno a nuclei tematici come, ad esempio, la sezione nata dai lavori scritti dai corsisti traendo spunto da una vecchia fotografia e sono sorprendenti per l’immaginario espresso.
Alcuni autori tornano alla loro vita prima del carcere, altri raccontano un sogno, altri ancora una sorta di sceneggiatura ma da tutti si evince un sentimento nostalgico che trova nella scrittura la sua libertà di espressione.
Il libro, bellissimo per la peculiare varietà dei contenuti, mostra il proficuo impegno della curatrice che ha seguito sin dai primordi tutto il lavoro, e di altri collaboratori, uomini di cultura come Alessandro Fo e Giovanni Gennai di cui sono riportate, in conclusione, le loro considerazioni.
Maria Paola Battista
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