Berlin, Brandenburger Tor 1989. Intervista a Massimo Golfieri

La mostra che si è aperta ieri a Bologna, e che resterà aperta presso lo Studio Cenacchi fino al 28 novembre,  con i suggestivi scatti dell’artista romagnolo è stata sottoposta agli allievi dell’Università Irpina del Tempo Libero – Associazione della Terza Età di Avellino,guidata da Rita Imbimbo,  con cui stiamo proponendo un ciclo di lezioni dal titolo “Giornalisti…in web”, pensato per educare gli adulti alla lettura consapevole delle notizie disponibili online. Il laboratorio di redazione, parte del corso, si è soffermato sul comunicato da noi pubblicato qualche giorno fa con cui si annunciava la mostra. La proposta delle foto che l’artista avrebbe esposto è stata occasione per riflettere sulle immagini e per formulare insieme alcune domande da sottoporre al maestro Massimo Golfieri che è stato così gentile da rispondere, mostrando apprezzamento per le motivazioni del corso, poiché anche lui è impegnato in progetti nelle scuole per educare i ragazzi alla lettura delle immagini «perché sono capaci di raccontare, perché tra l’immagine e chi la guarda passa sempre un pensiero ma in questo momento storico – ci ha spiegato – le immagini sono difficili da discernere».

Abbiamo visto tutte le foto della mostra insieme agli allievi del corso. Ci ha colpito la naturalezza degli scatti che danno l’idea di un vero e proprio reportage, anche se è ben visibile l’impressione artistica sulle foto. Sembra di essere lì in quel giornata coperta ma carica di attesa. E l’attesa si percepisce negli sguardi delle persone che ha fotografato, ma vorremmo sapere lei, che era lì, cosa pensava, cosa sentiva?

Noi viviamo sempre in momenti storici ma non ce ne rendiamo conto, normalmente. Quella volta avvertii chiaramente che ero in un momento storico. Il 9 novembre ero ad Amsterdam e sentii che era caduto il muro e, visto l’affetto che conservavo per Berlino, dove avevo già esposto, presi il treno della notte e andai lì e mi ci trattenni due mesi. Vissi un momento molto intenso. I media di allora raccontavano solo di abbracci e baci tra i berlinesi, io mi fermai con il muro alle spalle a fotografare la gente che guardava il muro alcuni giorni dopo l’apertura ufficiale, quella politica. Avevo già avuto modo di vedere le foto pubblicate di quei baci e di quegli abbracci, ma quello che vedevo e che sentivo era diverso. C’era grande emozione e l’attesa, in germanica compostezza; c’era quello che i media non avevano raccontato e cercai di fotografare questa realtà, anche con quella pioggia insistente. Decisi di dare un taglio completamente diverso al servizio fotografico cogliendo quell’attesa composta davanti a un evento bello ma inquietante che poneva nuovi interrogativi, il futuro non era scontato.

Cosa aspettavano secondo lei? Cosa leggeva in quegli sguardi?

Se prendo un paio di quelle foto delle persone che aspettano, posso farle passare per foto fatte a Medjugorje in attesa dell’apparizione della Madonna, solo che, mentre a Medjugorje aspettavano un’apparizione, a Berlino aspettavano una scomparsa. Le espressioni erano le stesse.

Le foto sembrano velate, la luce è soffusa. Si tratta di un effetto voluto per esprimere qualcosa o solo di un effetto estetico?

Il sottotitolo della mostra è “Fotografie in bianco e nero con i colori della memoria”. E la memoria sappiamo che può anche velarsi col tempo, quindi la tecnica che ho usato mi ha aiutato a riprodurre questa sensazione di velatura.  I colori, non essendo coprenti, mantengono le vere ombreggiature degli scatti originali. Quindi sì, l’effetto della memoria è stato voluto.

Ha elaborato le foto a distanza di tanti anni aggiungendo il colore che mancava del tutto. Volevamo sapere se ha filtrato, con questo suo lavoro artistico, i suoi sentimenti di allora alla luce di ciò che la storia ha compiuto dopo quel giorno?

All’accademia avevo fatto pittura e ci tengo tanto, la ritengo più profonda della fotografia. Ho ripreso in mano di nuovo i colori proprio per queste fotografie. Ho pensato: oggi le notizie sono in linea in tempo reale, posso io presentare un reportage dopo 30 anni? Queste foto sono state chiuse in archivio per tutto questo tempo. In trent’anni ho capito cose che non avevo capito in quel momento. Allora conservai quelle foto e oggi invece ho capito che c’è una storia da raccontare e queste immagini hanno acquistato un valore diverso e ho presentato alla fine foto che descrivono una storia trentennale. Un amico che vive a Berlino, che viveva nel settore est, mi ha raccontato che alcune ferite sanguinano ancora e che tra la parte ovest ed est esiste ancora un rapporto di subordinazione ai danni di coloro che vivevano ad est, nonostante l’inclusione avvenuta dopo la caduta del muro.

Cosa è cambiato dall’altra parte di quell’obiettivo in questi 30 anni?

Non è facile giudicare questi 30 anni ma, a livello superficiale, sono cambiate tante cose a Berlino. La povertà di quei quartieri dell’Est è finita, lo si vede già nelle architetture e nei palazzi ma mi accorgo di alcuni particolari come quando vedo i berlinesi andare a una mostra: si infilano gli occhiali, guardano con attenzione, con serietà. Qui in Italia alle mostre la gente scorre, qui abbiamo avuto Michelangelo, è un’altra storia. A Berlino è rimasta l’attenzione, hanno vissuto storie veramente dense e questo ha inciso, sono storie che imbiancano più di un capello, c’è una sensibilità diversa, vedo una costanza germanica anche nei legami, nelle amicizie. Non sono cose che passano.

Ha più sentito le stesse cose in altre parti del mondo o in altre situazioni, può fare un paragone in base alle sue esperienze professionali?

Non come quel giorno a Berlino. Ma un lavoro che ho compiuto per 15 anni nei manicomi, grazie all’aiuto di un amico medico che mi ci ha fatto entrare, mi è rimasta dentro in modo indelebile. Ho fotografato gli spazi e non le persone perché la follia la puoi trovare anche fuori da quei luoghi. Non mi andava di fotografare persone che avevano subito l’elettroshock o che erano legate a un letto da anni, non ne avrei avuto il coraggio, i luoghi parlavano di loro. Questo medico applicava con anni di anticipo la legge 180 e veniva visto come un pazzo perché queste strutture facevano comodo alle amministrazioni. A sostegno delle sue denunce, si mossero anche persone in vista come Dacia Maraini e Paolo Villaggio, ricordo.

Si sente più fotografo o artista?

Nasco con la pittura ma non mi considererei un artista, alla fotografia da reportage cerco solo di aggiungere qualcosa di diverso, di non convenzionale, per raccontare meglio le cose.

TITOLO: Berlin, Brandenburger Tor 1989 

con fotografie inedite in bianco e nero colorate con i colori della memoria di Massimo Golfieri

A CURA DI: Jacopo Cenacchi

DOVE: Studio Cenacchi, Via Santo Stefano 63, Bologna

INAUGURAZIONE: 31 ottobre 2019, ore 18.00

DATE DI APERTURA: 31 ottobre – 28 novembre 2019

ORARI: Da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19.00 e su appuntamento 

APERTURA STRAORDINARIA: venerdì 1 novembre dalle 15.30 alle 19.00

CHIUSURA STRAORDINARIA: sabato 2 novembre

©Riproduzione riservata WWWITALIA

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About Eleonora Davide

IL DIRETTORE RESPONSABILE Giornalista pubblicista, è geologa (è stata assistente universitaria presso la cattedra di Urbanistica alla Federico II di Napoli), abilitata all’insegnamento delle scienze (insegna in istituti statali) e ha molteplici interessi sia in campo culturale (organizza, promuove e presenta eventi e manifestazioni e scrive libri di storia locale), che artistico (è corista in un coro polifonico, suona la chitarra e si è laureata in Discipline storiche della musica presso il Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino). Crede nelle diverse possibilità che offrono i mezzi di comunicazione di massa e che un buon lavoro dia sempre buoni risultati, soprattutto quando si lavora in gruppo. “Trovo entusiasmante il fatto di poter lavorare con persone motivate e capaci, che ora hanno la possibilità di dare colore e sapore alle notizie e di mettere il loro cuore in un’impresa corale come la gestione di un giornale online. Se questa finestra sarà ben utilizzata, il mondo ci apparirà più vicino e scopriremo che, oltre che dalle scelte che faremo ogni giorno, il risultato dipenderà proprio dall’interazione con quel mondo”.