FURY RECENSIONE (no spoiler)

 

 

 

Fury, il colossal osannato dalla critica, con 200 milioni di dollari incassati in due settimane, non è solo un film di guerra. Mostra in modo profondo i sentimenti umani in situazioni estreme attraverso i soldati impegnati nel secondo conflitto mondiale.

 

La pellicola narra le vicende dell’equipaggio di un carro armato Sherman M4, chiamato “Fury”, della seconda divisione corazzata dell’esercito degli Stati Uniti, impegnato a combattere i nazisti in Germania. Nel corso della storia emerge come personaggio centrale Norman Ellison, interpretato da Logan Lerman (“Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo”, “Noah”), un pivello costretto a sostituire un veterano del gruppo, morto nel corso di una battaglia. La stella del film, Brad Pitt, interpreta il carismatico sergente Don Collier, mentre Shia LaBeouf (“Wall Street”, “Transformers”) è il cannoniere Boyd ‘Bibbia’ Swan . Completano il cast Jon Bernthal, famoso per la serie “The Walking Dead”, che interpreta Grady Travis, e Michael Peña, nei panni del pilota messicano Trini ‘Gordo’ Garcia.

Partendo dall’aspetto più estetico, il film è realizzato con una gran cura dei dettagli, sia per quanto riguarda le armi e i mezzi militari, sia per le tattiche utilizzate dai soldati. Ricorda in questo senso le fasi iniziali de “Il Gladiatore”, in cui le manovre militari ben rappresentate donano solennità all’azione.

Quindi, dal punto di vista bellico è ben realizzato, ma questo è già stato fatto in altri film. “Fury” non si ferma a questo aspetto e non giustifica il tutto con il patriottismo: la guerra è solo una questione di sopravvivenza, e proprio questa necessità spinge gli uomini ad atti eroici.

Norman, in quanto novello carrista, vive per la prima volta il fronte e non riesce ad arrendersi all’ingiustizia di quel che vede. Il suo è un occhio puro in un mondo infernale. Tuttavia, è costretto a far parte di esso e a scendere a compromessi per assicurare la sopravvivenza sua e degli altri membri dell’equipaggio. In questo senso, la pellicola tratta in modo crudo e senza sconti la violenza della guerra, gettandola in faccia al pubblico fin dalla prima scena. D’altro canto, non mancano, nel corso del film, sprazzi di umanità che, nonostante tutto, le persone continuano a mostrare. A tal proposito, una costante che pervade tutto il film è il tema della religiosità: i personaggi discutono a lungo su di essa e per alcuni è l’unico rifugio dalle atrocità.

In definitiva, il cast non delude le aspettative, spettacolare la fotografia e magistrale la regia, capace di alternare pathos e introspezione. David Ayer (sceneggiatore di “Fast and Furious” e regista di numerosi film d’azione) può vantare di aver diretto uno dei migliori film di questo genere.

@Riproduzione Riservata                                       a cura di Flavio Uccello e Francesco Medugno

 

 

 

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