L’8 MARZO SERVE A RIFLETTERE

L’8 marzo presta l’occasione per affermare ancora la grande disparità che nel mondo esiste tra diversi.

Tra ricchi e poveri, tra neri e bianchi, tra sani e malati, tra uomini e donne. La diversità, fonte di ricchezza di un Paese civile, ha diverse letture. Quando si tratta di stato sociale o di salute o di ciò che lega l’uomo ai suoi reali limiti, allora non si può parlare di ricchezza, ovviamente, se non nei termini in cui si affrontano queste differenze. Per una società civile, normata da leggi giuste, infatti, è la comunità a doversi far carico dei bisogni dei più deboli, anche adeguando gli spazi e la distribuzione della spesa pubblica alle reali necessità di tutti indistintamente….

Non sempre, come sappiamo, ciò si realizza appieno e non dappertutto, vuoi per incapacità di amministrare, vuoi per scelte politiche sbagliate, vuoi per ladronerie che decurtano le risorse e gettano discredito sulle istituzioni che si occupano dei servizi sociali. E tutto finisce in quel menefreghismo generale che ottenebra le menti dei più.

Per quanto attiene alle differenze legate a razza o genere, che fanno davvero la ricchezza di una nazione, la questione è decisamente diversa, perché a incidere sulla disparità di trattamento non sono le scelte politiche sbagliate, ma la mentalità e il retaggio primordiale delle supremazie irrazionali e concettualmente superate (talvolta solo in apparenza) dal comune senso del pudore. La differenza, cioè, viene avvertita in seno al privato, quando non ci si trova addirittura in un paese che esplicitamente non tutela queste differenze.

Nel caso specifico della differenza di genere, e il discorso torna attuale oggi, come dicevo, la faccenda riguarda non una minoranza ma una metà della popolazione mondiale che viene discriminata, dove più dove meno, in vari modi e in situazioni diverse. La questione fonda le sue radici su un’antica, tanto da poterla considerare primordiale, concezione della donna come essere inferiore o, nel migliore dei casi, soggetto naturalmente svantaggiato.

Il fatto di mettere al mondo dei figli non è, di fatto, uno svantaggio sociale – un tempo veniva considerato l’unico scopo per il quale la donna era stata creata – ma uno svantaggio per la donna che vuole lavorare al pari dell’uomo nel mondo moderno, usufruendo degli stessi spazi e delle stesse retribuzioni. Di fatto, diciamocelo, lo svantaggio esiste davvero, perché la società, per quanto moderna, non è organizzata in modo da venire incontro alle  esigenze della donna mamma, se non in alcuni luoghi e in modo sperimentale. Nel quotidiano, le cure parentali, irrinunciabili per una sana crescita dei figli, gravano ancora essenzialmente sulla donna, anche perché le politiche di conciliazione, che prevedono spazi accuditivi per i padri, non sono sempre e adeguatamente applicate sul posto di lavoro. E soprattutto in piena crisi. Così le scelte coraggiose riguardano le famiglie che, pur volendo mettere al mondo dei figli psicologicamente sani, non sono disposte a rinunciare al lavoro di entrambi e alla realizzazione professionale della donna, sobbarcandosi di uno stress che fa male alla salute.

Oggi il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha tenuto un discorso per la Giornata Internazionale della Donna, toccando lo spinoso argomento della violenza sulle donne, promettendo un impegno energico per debellarla dal mondo intero e ponendolo come primario obiettivo dell’ONU.

Ma, siccome la violenza domestica e quotidiana non si combatte con le armi, il lavoro che bisogna fare è lungo e difficile e parte come sempre dalle mamme e dai papà. Perché parte dall’educazione dei bambini che un giorno saranno grandi, e dalle istituzioni, come la scuola – dove la famiglia è il maestro peggiore – l’educazione al rispetto e all’amore, affinché diventino per ogni coscienza la base per il vivere civile.

                                                                                                                                             Eleonora Davide

 

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