Non è lo Spread: perchè il pomo della discordia di Palazzo Chigi non è quello che vogliono farci credere
Le temperature basse di un Maggio poco disciplinato descrivono in maniera pertinente il gelido clima di Palazzo Chigi. Perchè, checchè se ne dica, questo governo esce con le ossa rotte da quella che avrebbe dovuto essere la campagna elettorale della riappacificazione gialloverde. Ma non si faccia l’errore di credere che la frattura porti la firma di questo o quell’Onorevole, o, peggio ancora, che il nervosismo dell’esecutivo sia da attribuire alla posizioni differenti dei vicepremier in relazione allo sforamento deficit-pil. Alle questioni pratiche, in politica, si pone rimedio cercando un compromesso. E quando la posta in gioco è alta, il compromesso si trova.
Non si faccia nemmeno l’errore di credere che il caso Siri fosse un regolamento di Conti: troppo poco varrebbe la figura del solo ex sottosegretario a pareggiare una storia di litigi che va avanti da Marzo 2018. O, forse, ancor da prima.
QUESTIONE DI SPREAD: DI MAIO LO TEME, SALVINI LO IGNORA – Lo spread – che, per noi comuni mortali, altro non è che il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e i Bund emessi dalla Germania – gioca un ruolo principale nella contesa delle idi di Maggio. Almeno all’apparenza. Perchè il Vicepremier Di Maio, che rappresenta inevitabilmente la corrente moderata dell’esecutivo, ha dichiarato che ” L’obiettivo è quello di far aumentare il salario degli italiani, lo stipendio degli italiani con la legge sul salario minimo orario, non lo spread“.
Il Vicepremier Salvini, che in tanti definiscono “populista” ma che di certo non è da considerarsi un moderato, ha invece optato per il più irriverente dei “Me ne infischio”: “Superare il 3 %? Non solo si può, si deve!” ha commentato il titolare del Viminale. Con fare provocatorio. O forse con la verve di chi, in linea con le imminenti elezioni per il Parlamento Europeo, ha intenzione di far passare un messaggio chiaro di disaccordo nei confronti delle politiche comunitarie degli attuali vertici di Bruxelles. Ai quali strizza invece l’occhio l’ormai ex alleato Silvio Berlusconi. Ma questa è un’altra storia.
LE RAGIONI DELLA DISCORDIA – Non si faccia l’errore di credere che gli eventi sopracitati siano i reali fattori di disaccordo alla base della perenne deadline dinamica dell’esperienza governativo Di Maio – Salviniana, come si diceva in precedenza. Perchè – e la storia ce lo insegna – non esistono esecutivi “rose e fiori”. Guai se fosse così, aggiungiamo, perchè a farne le spese sarebbe il dibattito.
Ma non esistono nemmeno questioni irrisolvibili. E se l’ordinario finisce per diventare insormontabile, allora vuol dire che dietro alle onde si celano gli scogli. Come i sondaggi, che proiettano un Salvini sempre più in crescita, tanto da concedere al sempreverde Giorgetti il ruolo di profeta in patria: “Se il livello di litigiosità resta questo dopo il 26 maggio è evidente che non si potrebbe andare avanti”. Ipse dixit.
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