SVILUPPARE LE CAPACITÀ DI DIALOGO CON I FIGLI
Una mamma scrive: Ieri mio figlio (in primo liceo) mi ha portato un bel regalo: un 4 in matematica. “Ecco – gli ho detto – tu hai avuto 4 ma io ho avuto 10: saranno mille volte che ti dico che sei troppo superficiale nello studio”. Mio figlio mi fa arrabbiare tantissimo perché non mi ascolta, glielo dico in tutti i modi ma non c’è nulla da fare. Ecco vorrei proprio sapere come riuscire a farmi ascoltare di più. Grazie, Anna.
Risponde per wwwitalia, Emma Labruna, Professional Life Coach:
“Spesso i genitori si lamentano del fatto che i figli non li ascoltano. Sebbene
… diano i consigli giusti, gli avvertimenti e siano anche disponibili a sostenerli fattivamente, i figli da parte loro alzano un muro. Questi genitori, animati dalle migliori intenzioni, hanno in realtà un gran timore per il futuro dei loro figli: hanno paura che non riescano bene nello studio, che perdano occasioni per formarsi, per imparare e per costruirsi quella sana autostima che deriva dal buon esito scolastico.
I genitori talvolta però, sentono di essere i responsabili e quindi i colpevoli, del cattivo rendimento scolastico dei figli e si identificano talmente con gli eventuali problemi dl ragazzo da perdere il senso che si tratta di un problema del ragazzo.
Nell’essere animati da tali buone intenzioni, i genitori trasmettono in realtà ai figli un senso di mancanza di fiducia nella capacità di questi ultimi di saper riconoscere e risolvere i propri problemi. Inoltre, il particolare ruolo del genitore fa sì che il comportamento giusto non venga suggerito ma preteso. Ed è contro questa espressione di potere che i ragazzi spesso si ribellano.
Accettare il fatto che il problema appartenga al ragazzo non significa non preoccuparsi , interessarsi o offrire aiuto, ma essere consapevoli che il ragazzo è una persona distinta da sé ed aver fiducia che ha le risorse interne necessarie per risolvere i propri problemi .
In generale, sappiamo che quando qualcosa in un’altra persona (e anche in un figlio) ci entusiasma o ci irrita particolarmente, racconta sempre qualcosa di noi. A volte il timore e la sfiducia che abbiamo nei confronti dei figli ci rimanda (come in uno specchio) la sfiducia e la paura che noi stessi nutriamo nei confronti della vita. Ma questa disperazione uccide la speranza e la fiducia in se stessi dei ragazzi. C’è dunque da rallegrarsi se si ribellano e protestano: vuol dire che sono sani, integri, che hanno ancora sogni e speranza nel futuro!
Quello che noi genitori dovremmo ricordarci di fare è invece impegnarci per costruire una vita più felice per noi stessi, prendendoci la responsabilità di realizzare i nostri bisogni e desideri. Possiamo infatti dare solo ciò che abbiamo e se non siamo felici non potremmo dare felicità ai figli.
E il primo passo è proprio imparare ad ascoltare noi stessi, a comprendere i nostri sentimenti e prendere consapevolezza dei nostri pensieri, in secondo luogo prenderci la responsabilità della realizzazione del nostro personale concetto di vita felice. Consentiremo così anche ai figli di fare lo stesso: di prendersi la responsabilità di comprendere ciò che è bene per loro.
I ragazzi sono i primi a dispiacersi per un brutto voto: vivono il rapporto con i professori, con i compagni e con il successo scolastico come una prima forma di definizione della propria identità. Una volta compreso ciò, noi genitori abbiamo la possibilità di aiutarli ad affrontare e superare l’eventuale difficoltà, senza tuttavia sostituirci a loro. Le avversità nella vita accadono, sta a noi trasformarle in una occasione per imparare e crescere insieme.
Imparare a praticare l’ascolto attivo nei confronti dei nostri figli può essere una occasione di crescita anche per i genitori. Ecco le fasi principali:
1) Considerare il figlio come una persona distinta da noi che espone un suo disagio o problema;
2) Ascoltare con attenzione sospendendo il giudizio (astenersi dal valutare come dovrebbe essere o non essere, come dovrebbe fare o non fare, ecc);
3) Comprendere e accettare il suo stato d’animo e chiedere al ragazzo se si è ben compreso;
4) Lasciar emergere le possibili soluzioni. In questa fase è importante non ridicolizzare o giudicare;
5) Valutare insieme le soluzioni emerse e scegliere la migliore ( nel nostro caso potrebbe essere quella di offrirsi per un’ulteriore interrogazione in matematica);
6) Programmare
e attuare la soluzione;
7) verificare il risultato.
Costringendoci ad imparare un modo di ascoltare e di comunicare diverso con loro, i nostri figli ci regalano la possibilità di conoscere meglio anche noi stessi e di progredire e svilupparci sia come genitori che come persone”.
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a cura di Maria Paola Battista
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