LYNARD SKYNARD

C’era una volta una band. Si chiamavano Lynard Skynard. Potrebbe iniziare come una graziosa favola della buona notte, l’unica cosa che verrà certamente a mancare sarà il lieto fine. Purtroppo.  Siamo nei primi anni ’70 quando il leader Ronnie Van Zant mette su i Lynard Skynard raccogliendo il peggio, nel lato buono del termine, dei musicisti di Jacksonville, Florida. In pieno ambiente sudista la band si forma in una fornace in disuso poco fuori città con l’ispirazione degli Allman Brothers e sul vento della seconda ondata di British che invade gli States. Una band tosta, non manca mai l’occasione di fare a cazzotti, con il pubblico o tra di loro. Ogni battibecco si risolve con bottiglie in testa e denti per terra. Ma d’altra parte c’è il plasmarsi di un sound tosto e cazzuto. La gavetta è abbastanza lunga e la band è sempre vista con un occhio di riserva, i loro capelli lunghi e le frequentazioni dei neri per imparare il blues non sono visti di buon occhio dalla tradizionalista e molto razzista comunità sudista. Il vero cambio di rotta avviene nel 1973 quando un produtorre newyorkese e “per giunta ebreo” li vede esibirsi dal vivo. Il nome corrisponde niente di meno che ad Al Kooper. Nello stesso anno la band ha il suo esordio discografico con l’irriverente titolo dell’ album “Pronounced  Leh-nerd Skin-nerd”. Che sembra essere legato ad una presa per il culo ad una loro vecchia insegnante. L’album è a dir poco splendido, un mix di blues e hard rock con un pizzico di country ma soprattutto con quel capolavoro che diventerà un inno universale: Free Bird. Dal vivo la resa è spettacolare, tre chitarroni che si lanciano in assoli mozzafiato, una goduria per le orecchie. E grazie anche a questa forza che ottengono di aprire i concerti del Tour degli Who. Ovunque si esibiscano si lasciano dietro una scia di stanze d’albergo sfasciate, di liti sul camerino come sul palco tanto che la stampa gli appiccica un’etichetta di burberi del sud: sempliciotti ed aggressivi.

Con il secondo album serve la consacrazione. Il disco non tarda ad arrivare. Nel 1974 esce infatti “Second Helping” e possiamo tralasciare il tutto, basta infatti dire che tra le tracce troviamo “Sweet Home Alabama”. Si cercava la consacrazione e consacrazione è stata. Grazie a questo boom altre band si avvicinano al Southern Rock di cui ormai i Lynard sono band di punta.

Dopo un paio di album non all’altezza dell’aspettative nel 1977 nasce “Street Survivors” un nuovo capolavoro che nasce però sotto cattivi auspici. All’interno la profetica “The Smells” in cui Van Zant sente odore di morte. Mai intuizione fu più giusta. Lo stesso giorno in cui l’album viene presentato i chitarristi Collins e Gary, causa droghe ed alcol, centrano in pieno con le loro auto, da notare separatamente, ognuno per cazzi suoi, degli alberi. In ogni caso si parte il tour, ma dopo solo tre date, il 20 ottobre del 1977 dopo una serata in South Carolina c’è da viaggiare fino in Louisiana, e lo fanno come al solito sul Convair 240 della band. Come per una coincidenza di sfighe esagerate i motori del velivolo vanno a farsi fottere uno dopo l’altro e l’aereo cade in picchiata nelle paludi del Mississippi, tra l’altro infestate da serpenti ed alligatori. E’ un impatto tremendo muoiono sul colpo il pilota e copilota, il road manager, il nuovo chitarrista Steve Gaines e la sorella corista Cassie mentre Van Zant sbalzato fuori dalla carlinga finisce per rompersi definitivamente quella sua testa dura contro un albero. I sopravvissuti di certo non se la cavano meglio: Artimus Pyle, con lo sterno rotto e tre costole di fuori brancola nel buoi alla ricerca di aiuto e si imbatte in un bifolco di zona che prima lo accoglie a fucilate ma poi si lascia convincere dalla storia e da il via ai soccorsi. Fortuna di Pyle che una volta ricoverato se la caverà. Come lui anche il bassista Leon Wilkeson se la cava anche se per la sua mascella rotta, il torace a pezzi e diverse emorragie interne verrà detto morto per tre volte prima di riprendersi definitivamente. Powell riesce a cavarsela solo con il naso staccato che riescono fortunatamente a riattaccargli mentre Rossington ha braccia, gambe, polsi, anca e bacino fratturati e Collins due vertebre del collo rotte e il braccio destro ridotto.

Dopo detta tragedia, non può che calare il sipario sulla band. Ma dopo dieci anni una reunion per un tour ridà il via all’attività incessante dei Lynard Skynard. Ma la maledizione non si ferma, i pezzi infatti si perdono per strada pian piano: Collins rimane su una sedia a rotelle dopo un incidente d’auto in cui muore la fidanzata e muore poi nel 1991 per una polmonite cronica. A Leon Wilkeson qualcuno taglia la gola nel sonno nel 1990, mentre è a bordo del tour bus del gruppo, non ci lascia la pelle, ma non ci è dato sapere chi fosse il colpevole, muore però nel 2001 per cause più o meno naturali, a 49 anni: cirrosi ed enfisema cronici. Dal 1987 il nuovo cantante è il fratellino Johnnie Van Zant, che però salta solo alcune date nel 2006 per una banale appendicite, fortunato. Ed King rientra nella band dall’87 al 96 quando molla per ripetuti collassi cardiaci. È felicemente ritirato. Gli subentra Hughie Thomasson, degli Outlaws. Che poi lascia ma muore nel 2007 per infarto. Bob Burns è ancora incredibilmente vivo.

Che dire hanno già messo su involontariamente la sceneggiatura per l’ultimo sequel di Final Destination. In ogni caso quello che è stato è stato ed anche se ancora oggi c’è una band che suona con questo nome, ma sarebbe meglio chiamarla Brand e non Band, scusate il gioco di parole, quello che conta è che i Lynard Skynard ci hanno lasciato tre grandissimi album con decine di pezzi straordinari. Le varie Free Bird, Simple Man, Sweet Home Alabama hanno di certo lasciato il segno. Classificateli come vi pare, Hard Rock, Southern Rock, Sfiga Rock ma ascoltateli più che potete.

FONTE: MUSICALBLOG.IT

 

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