Cani e detenuti: il progetto “Fuori dalle gabbie”

Di solito i cani di canile sono gli ultimi tra gli ultimi mentre noi, invece, portiamo avanti il concetto che abbiano bisogno di assistenza, di servizi e di accudimento di alto livello.

Il progetto “Fuori dalle gabbie” in attuazione a Spoleto è nato grazie alla Fondazione Cane Canem con la collaborazione e l’ausilio della dott.ssa Chiara Pellegrini, direttrice della Casa di Reclusione di Spoleto, la dott.ssa Chiara Nicchinonni, Direzione Ambiente e Turismo di Spoleto, la dott.ssa Federica Andreini, istruttrice dell’Ufficio Ambiente del Comune di Spoleto, il Commissario Marco Piersigilli, comandante della Polizia Penitenziaria e il dott. Pietro Carraresi, responsabile dell’area trattamentale.

La notizia dell’attuazione del progetto mi ha immediatamente coinvolto e sorpresa data la realtà in cui si svolge, cioè la casa circondariale di Spoleto, e la finalità che esso persegue. Grazie al progetto, infatti, alcuni detenuti hanno la possibilità di accudire dei cani bisognosi di cure, affetto e educazione, presso un piccolo rifugio allestito in carcere grazie alla Fondazione. Il progetto coinvolge professionisti del settore qualificati e responsabili.

L’argomento, come scrivevo prima, mi ha incuriosito per cui ne ho parlato con l’avvocato Federica Faiella Vicepresidente dell’Associazione che si è davvero, con grande gentilezza e disponibilità, prestata a spiegarmi come, dove e perché esiste “Fuori dalle gabbie”.

Cane Canem è una fondazione. Qual è la differenza tra un’associazione e una fondazione? La fondazione è un ente giuridico, nel nostro caso erogatore, è un’organizzazione non lucrativa che viene costituita per la cessione di un patrimonio finalizzata a un preciso scopo. La differenza principale tra associazione e fondazione è che, nel caso della fondazione, l’elemento centrale è il patrimonio mentre, invece, nel caso dell’associazione l’elemento caratterizzante è la componente umana e, quindi, i soci. La fondazione Cane Canem Onlus è un’impresa sociale al femminile in quanto al timone ci siamo Adriana Possenti e io, di generazioni diverse, unite dalla passione per gli animali. Adriana da tempo aveva il sogno di investire il proprio patrimonio nella Fondazione e lasciare qualcosa che valga nel tempo, come le piace spesso dire, mentre io ho le competenze in materia di tutela degli animali. Insieme portiamo avanti la Fondazione che oggi conta comunque trenta collaboratori nonostante sia nata solo due anni fa ed è sopravvissuta al Covid. È, quindi, una bellissima realtà femminile che funziona bene e nella quale non c’è spazio per le discriminazioni e le chiacchiere. Diciamo che cerchiamo di portare i risultati.

E vedo che ci riuscite benissimo. Il progetto “Fuori dalle gabbie”, affida dei cani a dei detenuti. Senza nasconderci dietro il falso buonismo, ma credendo anche nel recupero, è chiaro che per essere in carcere è necessario aver commesso qualche reato, come è anche chiaro che i cani, si sa, sono animali ingenui che si affezionano anche ai più feroci aguzzini. Quindi le chiedo qual è stato il criterio con cui avete selezionato i detenuti a cui sono stati affidati i cani. I nominativi dei detenuti sono stati forniti alla Fondazione dall’area trattamentale e dalla direzione dell’Istituto penitenziario, secondo dei criteri di equilibrio e di buona condotta. La Fondazione, a sua volta, poi, ha effettuato un iter di selezione dei nominativi forniti dal carcere. Una commissione costituita da un avvocato, tre educatori cinofili e una psicologa ha sostanzialmente coinvolto i detenuti in questo iter selettivo a seguito del quale si è provveduto alla somministrazione di questionari scientifici per valutare il grado di tendenza a mentire e di psicoticismo, per accertare che non potessero costituire un pericolo per gli animali. Non c’è la componente di Pet Therapy né di interventi assistiti con gli animali perché non abbiamo le competenze e perché l’obiettivo è quello di fornire un servizio agli animali. Dopodiché se anche gli umani ne traggono un beneficio in termini di formazione, riscatto sociale e recupero noi siamo contentissime ma l’obiettivo è che i cani abbiano un servizio di qualità.  Di solito i cani di canile sono gli ultimi tra gli ultimi mentre noi invece portiamo avanti un concetto che abbiano bisogno di assistenza, di servizi e di accudimento di alto livello.

Quindi è un primo passaggio che toglie i cani dal canile e li colloca in un luogo in cui essi possono essere accuditi fino all’adozione? Esattamente. Il coinvolgimento dei detenuti è pensato rispetto alla componente tempo perché i detenuti, a differenza degli uomini liberi e di qualsiasi altro operatore volontario, hanno tempo.  La locazione di un canile all’interno del carcere permette di disporre di un lasso temporale davvero molto elevato, da dedicare ai cani.   Ad esempio i primi cani a cui è stato dedicato il progetto, erano molto paurosi, intimoriti, poco socializzati e la presenza costante dei detenuti all’interno del piccolo rifugio ha permesso di dare un’accelerata al processo di socializzazione.

In effetti i detenuti possono andare liberamente dai cani ogni volta che lo ritengono opportuno o quando ce n’è necessità? I detenuti coinvolti nel progetto sono in una condizione di semilibertà e hanno la possibilità di recarsi dalle 7 del mattino fino a tardo pomeriggio all’interno del canile, ovviamente con dei momenti di pausa. Dato che quel rifugio è destinato a mamme con cuccioli, cani anziani o particolarmente malati e traumatizzati, ecco che il livello di assistenza che possono dare i detenuti è davvero singolare, sia a livello di tempo che di competenza poiché sono stati selezionati e formati e ogni settimana un team di educatori cinofili della Fondazione si reca in loco per intensificare il training formativo.

I soldi per l’attuazione del progetto che, effettivamente, è qualitativamente eccellente, provengono esclusivamente tutti dalla Fondazione? In questo caso sì. L’investimento della Fondazione ha permesso di allestire il piccolo rifugio in carcere, prevedere delle borse lavoro per i detenuti. Inoltre una parte dei detenuti che sono stati formati e selezionati in carcere, si sono anche recati nel canile comunale per fare lavori di pubblica utilità con un risparmio significativo per l’amministrazione comunale e l’impegno era che i soldi risparmiati fossero reinvestiti nel canile comunale dove sono stati allestiti nuovi box, aree di sgambamento, formando così un circolo virtuoso.

Il carcere non è un luogo di facile accesso per cui è stata necessaria la collaborazione di tante persone per realizzare il progetto. È stato difficile l’iter burocratico da seguire? No, nella misura in cui ci siamo mossi in tempo.  Tutto è legato a una questione tempistica fra la direzione del carcere, la Fondazione e il magistrato di sorveglianza, in questo caso erano più magistrati di sorveglianza legati a diversi detenuti, ma c’è stata davvero una collaborazione efficiente.  Non ho riscontrato dei gap organizzativi, sono stati tutti molto accoglienti. Nello specifico la casa di reclusione di Spoleto è davvero una struttura valida, nel senso che esiste ed è messa in atto quell’idea di carcere come strumento di riabilitazione del detenuto, non ci sono quei trattamenti di insufficienza, di inumanità, di sovraffollamento delle carceri. Si cerca di garantire l’ovvio previsto dalla legge e di accompagnare i detenuti in un percorso di recupero.  Quando ci sono le basi della dignità, della decenza, della civiltà, allora è più facile costruire su quelle basi, laddove ci sono celle di 2×2 nelle quali i detenuti non possono stare in piedi contemporaneamente, è comprensibile come il percorso riabilitativo sia destinato a fallire dalla base. In questo caso, invece, ci sono gli aspetti cruciali che non dovrebbero mancare, quindi anche l’organizzazione verso l’esterno non ha avuto falle.

Nel vostro caso, quindi, l’organizzazione era tale per cui voi siete stati bene accolti in quanto si è compresa l’utilità del progetto e c’erano le basi per poter applicare tutto quello che voi avevate proposto nel progetto. E, a proposito di questo, al momento il progetto è in atto anche in altre città. Come funziona? Ve ne occupate sempre voi o lo avete affidato a volontari e formatori del luogo? Anche nelle altre città opera il nostro team. A Secondigliano di Napoli abbiamo fatto rete tra canile comunale di Napoli, carcere di Napoli Secondigliano e Comune. In questo progetto è coinvolta anche l’Università degli Studi di Napoli Federico II, l’Associazione dei medici veterinari e l’ASL. Anche a Secondigliano l’area trattamentale è formata da educatori che lavorano all’unisono e non vi sono criticità.  Non so se noi siamo stati fortunati, ma a me capita di sentire parlare delle carceri sempre evidenziandone le situazioni di disumanità, violenza, criticità, che sicuramente ci sono, mentre è difficile che si parli anche di quelle realtà che potrebbero essere definite virtuose. La fondazione è intervenuta a Napoli quando il canile, che si chiama La collina di Argo, era vuoto. Loro cercavano di aprire dal 2018 senza riuscirci.  Quando siamo intervenuti noi, abbiamo messo a supporto dell’amministrazione un team di nostri professionisti per facilitare le attività di avviamento e, anche in questo caso, uno stanziamento di fondi significativo per permettere l’allestimento del canile finanziando l’acquisto di cucce coibentate, pedane, ciotole, cibo, materiale di consumo per l’assistenza veterinaria.

Indiscutibilmente il progetto che state attuando è innovativo e anche utile perché vede il recupero e la cura sia delle persone che degli animali. Quali sono le vostre aspettative e le vostre speranze? Il nostro obiettivo è quello di portare avanti un’azione di facilitazione investendo soldi e coinvolgendo professionisti, mettere a sistema le situazioni particolari collegate ai canili rifugio, collaborando con chi è sul territorio, permettere di impostare il sistema di collaborazione che funzioni e poi andare via e passare ad un’altra organizzazione.

Quando andate via chi continua il lavoro che avete iniziato? Diciamo che non abbandoniamo mai del tutto, anzi continuiamo a seguire a distanza. A Napoli, ad esempio, la convenzione con la Fondazione terminerà a dicembre però, sicuramente, continuerà il nostro affiancamento. Un po’ come i procuratori di calcio, noi durante questi progetti andiamo a caccia anche di validi professionisti, quindi di persone eventualmente da coinvolgere nella Fondazione.  Per il progetto che noi abbiamo per il canile Valle Grande di Roma abbiamo sostanzialmente inglobato dodici risorse, educatori cinofili che abbiamo potuto osservare sul campo e che poi sono stati formati dal nostro dog trainer manager. Nel caso di Cambio rotta, un progetto a favore di minori a rischio, cioè ragazzi che hanno compiuto un reato quando erano di minorenni e oggi non lo sono più, a cinque di loro stiamo erogando una borsa lavoro e tre sono in lista per essere assorbiti dalla Fondazione. Quindi diciamo che la Fondazione vuole essere anche una fucina di opportunità professionali.

Bene. Cosa c’è da aggiungere? A me sembra davvero un sogno, aver ascoltato tutto questo. Conoscere progetti che affrontano realtà difficili come quelle “in gabbia” per farle diventare virtuose unisce lungimiranza e competenza ad un fattore fondamentale che è l’attenzione per le persone e l’amore per gli animali. Personalmente sono onorata e orgogliosa di aver conosciuto nella persona dell’avvocato Faiella la Fondazione e mi auguro che il progetto possa continuare perseguendo, così, i suoi nobili obiettivi.

Grazie a Cane Canem Onlus.

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About Maria Paola Battista

Amo ascoltare, leggere, scrivere e raccontare. WWWITALIA mi dà tutto questo. Iniziata come un’avventura tra le mie passioni, oggi è un mezzo per sentirmi realizzata. Conoscere e trasmettere la conoscenza di attori, artisti, scrittori e benefattori, questo è il giornalismo per me. Riguardo ai miei studi, sono sociologa e appassionata della lingua inglese, non smetto mai di studiare perché credo che la cultura sia un valore. Mi piace confrontarmi con tutto ciò che è nuovo anche se mi costa fatica in più. Attualmente mi sto dedicando alla recensione di libri e all'editing. Ho scritto, inoltre, diverse prefazioni a romanzi. Grazie ai lettori di WWWITALIA per l’attenzione che riservano ai miei scritti e mi auguro di non deluderli mai. mariapaolabattista@wwwitalia.eu