Rapporto DIA sulla Camorra 2.0: Napoli in ostaggio dei baby boss
E’ la camorra degli under il nuovo male di Napoli. Lo dicono le cronache, sempre più strabordanti di omicidi e regolamenti di conti tra teenager del male, lo ribadisce il rapporto semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, che ha fatto emergere in maniera evidente il livellamento verso il basso dell’età media della camorra. E’ il fenomeno evidenziato dall’ascesa delle “paranze dei bambini”, clan di giovanissimi che – armi in pugno – mettono a ferro e fuoco la città coniugando le tradizionali attività camorristiche ad una rinnovata gestione del controllo del territorio.
Il centro storico di Napoli è il teatro in cui gli attori della nuova baby criminalità stanno cominciando ad interpretare il ruolo di protagonisti: tra i vicoli di Forcella si è combattuto nei mesi scorsi una guerra tra i Sibillo e i Mazzarella per il controllo del traffico di droga e altri affari illeciti; nel Rione Sanità un gruppo di scissionisti capitanati dal giovanissimo Walter Mallo ha invece aperto il fuoco contro la storica famiglia dei Lo Russo.
Oltre alla stretta vicinanza territoriale tra i fatti omicidiari registrati, la costante è quella dell’efferatezza delle azioni compiute da camorristi poco più che maggiorenni. Si spara per imporre il pizzo alle bancarelle, per regolare un vecchio conto, o anche per intimorire i militanti dei gruppi rivali . In questa ottica va inquadrato il nuovo fenomeno della “stesa“, l’azione dimostrativa attraverso cui i baby clan tracciano una linea di demarcazione tra il “proprio” territorio e quello “degli altri“. Colpi di pistola vengono sparati all’impazzata contro le vetrine dei negozi, a volte ad altezza uomo, volti ad intimidire gli avversari e gli abitanti delle zone, con il rischio – che nessuno dei baby boss ha paura di correre – di colpire involontariamente persone innocenti. Esemplare è il caso di Genny Cesarano, il diciassettenne innocente ucciso per errore nel Rione Sanità proprio durante una stesa dei Lo Russo nel 2015.
COME SI COMBATTE LA CAMORRA 2.0? – Il quesito non è di facile interpretazione. Le retate di arresti che hanno decimato i clan – consegnando alla giustizia pesci più o meni piccoli del crimine organizzato napoletano – sembrano non bastare più. Le famiglie camorristiche si rigenerano con facilità estrema, e i vecchi capi lasciano il posto a nuovi boss ancor più intraprendenti e, se possibile, addirittura più crudeli. Secondo l’Antimafia Napoli è la città d’Italia in cui si è registrato il maggior numero di morti legati alla criminalità nel primo semestre del 2016: dietro il capoluogo campano (a quota 23) solamente la Sicilia (3), Puglia (1) e Calabria (1). Il dato non è casuale, ma piuttosto riconducibile alla struttura della camorra partenopea, che si differenzia dalle altre mafie per la sua natura orizzontale. L’assenza di una gerarchia piramidale provoca un’instabilità negli equilibri tra famiglie, con conseguenti scontri armati e spartizioni capillari del territorio.
Ma la camorra 2.0, quella governata dai padrini under 20 e dai Kalashnikov usati con assidua frequenza, si combatte innanzitutto con la cultura della legalità. In questo senso è particolarmente attivo Luigi de Magistris, Sindaco Metropolitano della città di Napoli ed ex magistrato, più volte impegnato in una serie di iniziative destinate alla diffusione di una cultura dell’antimafia rivolta non solo alla microcriminalità cosiddetta “da strada“, ma anche ai discussi rapporti tra boss e istituzioni. Proprio in una recente intervista, il Primo cittadino ha dichiarato che “La fine della camorra a Napoli è sempre più vicina“.
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