Ricordare la Liberazione per praticare la liberazione: memorie in dialogo
‘Le Quattro Giornate di Napoli’, indicano quella specifica forma di resistenza cittadina che si sviluppò lungo tutto il mese del settembre 1943, mescolando momenti insurrezionali e modalità di lotta che presero la forma di una vera e propria resistenza civile. Considerate da sempre come momento aurorale della lotta per la Liberazione nazionale, le Quattro Giornate di Napoli sono uno dei momenti storici fondamentali per comprendere la liberazione dal nazifascismo.
Il 25 aprile del 1945 è la data che segna la fine dell’occupazione nazista e la caduta del regime fascista, ed essa è l’esito di molteplici processi di resistenza, alcuni dei quali restano ancora poco indagati e riconosciuti. Le Quattro Giornate di Napoli, ad esempio, comprendono nei loro vari aspetti e per la loro collocazione geografica, la fine del settembre più intenso della storia italiana, un periodo ricco di movimenti di reazione, rivolta e insurrezione che hanno caratterizzato la liberazione del Sud, una liberazione a cui le popolazioni meridionali parteciparono attivamente.
L’elemento meno noto all’intento delle narrazioni relative alla liberazione dal nazifascismo è la cosiddetta ‘Resistenza dei femmenielli’: per 4 giorni, tra il 27 e il 30 settembre del 1943, un gruppo di almeno dodici «femminielli» di San Giovanniello — la zona della città che si trova alle spalle di piazza Carlo III — si unì ai partigiani e alle centinaia di persone che organizzarono la rivolta armata contro le truppe di occupazione tedesche. Antonio Amoretti, presidente dell’Anpi, ha ricordato la loro presenza sulle barricate e il contributo che diedero alla lotta di liberazione dal nazifascismo. Questa pagina di storia è stata riportata alla luce grazie alle testimonianze di Amoretti e la ricostruzione di questa parte della memoria, ci permette oggi di analizzare i movimenti e le pratiche che diedero vita alla resistenza al nazifascismo da punti di vista inediti.
Nonostante il regime fascista, a differenza del regime di Hitler, non abbia mai costituito un vero e proprio reato penale per identificare e punire le soggettività che non si adeguavano alle norme di genere e orientamento sessuale, è da ricordare che c’erano comunque numerose modalità per addomesticare/punire queste esperienze. I comportamenti considerati devianti, infatti, venivano puniti con il confino e la reclusione negli istituti manicomiali. Basti pensare che, negli archivi del manicomio della città di Aversa, sono stati ritrovati cartelle cliniche di ‘matti travestiti’, interi settori degli ospedali psichiatrici quindi, erano adibiti a contenitori silenti di queste soggettività.
Quando scoppiarono le insurrezioni a Napoli, i femminielli scesero in strada al fianco di donne e ragazzi e questo è un importante tassello per la ricostruzione della storia della resistenza italiana e, allo stesso tempo, della resistenza contro tutte le forme di assoggettamento della persona e delle sue libertà. La barricata a San Giovanniello, come ricorda Amoretti, vedeva i femminielli in prima linea, queste infatti, dopo aver subito violenza e sopraffazioni non avevano niente da perdere: ripudiati dalle famiglie, oppressi dal regime, avrebbero potuto “restituire” il favore dell’indifferenza ad una società che li marginalizzava e invece scelsero di resistere e combattere. Abituati, come erano a fronteggiare la polizia e il potere, i femminielli non si tirarono indietro davanti all’occupazione nazista e scelsero di moltiplicare il senso della liberazione.
Il ricordo della liberazione è dunque un ricordo plurale, un evento che raccoglie in sé movimenti, soggettività, stili di resistenza differenti e molteplici. Questo giorno e il suo forte valore simbolico ci ricorda la necessità di metterci insieme, di fare alleanze, di creare spazi fatti di azioni frattali perché la resistenza all’abuso, alla violenza, possono nascere solo dall’ improvviso e imprevisto trovarsi di-fianco all’altro. Nessuna liberazione è possibile nello spazio angusto delle categorie dominanti e tra le parole dei padroni, nessuna liberazione è definitiva e soprattutto nessuna liberazione può dirsi completa se essa non contempla la presa in carico delle istanze dell’assolutamente altro da noi. L’invito ai lettori, per questa giornata, è quello di pensare a come connettere gli archivi della memoria, le pratiche disseminate nello spazio e nel tempo, per rendere attuale e praticabile la liberazione come attività costante e non come atto finito e definitivo.
L’augurio è quello di una sollevazione consapevole, che abbia forme diverse e che si opponga a tutte quelle forme di oppressione che ancora oggi invadono il campo dell’agire individuale e collettivo. L’assolutamente altro, solo apparentemente non è in noi, esso infatti è già con noi. Nell’attraversare questa consapevolezza, forse, riusciremo a riconoscere le differenze, senza costruire architetture del privilegio e saremo capaci di immaginarci e di costruirci come attori di pratiche e forme sempre nuove di liberazione.
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