INCONTRO CON … STEFANO SACRIPANTI

Intervista al coach della SIDIGAS SCANDONE AVELLINO

Nonostante i molteplici impegni, il coach Stefano Sacripanti ha rilasciato, con la simpatia e la gentilezza che lo contraddistinguono, un’ intervista per i lettori di WWWITALIA.

D: Lei è un allenatore di successo ma, leggendo la storia della sua carriera nonché partecipando a ciò che   sta facendo con la Sidigas Avellino, mi sono fatta l’ idea che a lei non piacciano le vittorie facili.  Le piacciono le sfide, cercare giocatori sconosciuti, riconoscere che hanno talento e poi lavorare con e per loro per farli diventare grandi. È giusto?

R: Giustissimo, la mia vera passione al di là delle sfide è quella di creare giocatori. Mi piace molto lavorare con i giovani, con chi può apprendere. Sono da 11 anni allenatore della nazionale Under 20 con cui ho fatto sette semifinali, abbiamo vinto tre medaglie in Europa e mi piace poco l’idea di cambiare giocatori durante l’anno, quanto invece cercare di farli partire da una base e poi migliorarli il più possibile. Questo è quello che più mi affascina e diverte, così come anche molto mi affascina   l’adrenalina da sfida, che ormai mi accompagna da  tutta una carriera. Sono tanti anni che sono allenatore di serie A e non ho mai guardato, anche forse sbagliando per la mia carriera, dove andare. Quando ero all’apice del successo a Cantù, ho avuto tante proposte allettanti da città blasonate ma ho preferito rimanere a Cantù perché era la mia città. Quando poi mi ha chiamato Caserta tutti mi sconsigliavano di andare, invece era un progetto che mi affascinava molto nel ricostruire qualcosa di forte e così è stato anche tornando ad Avellino. Quindi non ho mai guardato tanto il nome quanto la possibilità di fare pallacanestro.

D: Il basket oltre ad essere chiaramente un affermato e piacevole sport rappresenta emblematicamente lo sport di squadra: giocare e vincere insieme. Secondo lei diventa modo di vivere il pensare in team?

R: Io ne sono un totale esempio sia come persona, prima da giocatore da ragazzino e poi da allenatore e con tutti i ragazzi che ho avuto. Credo che sia una delle cose più formative possibili se però viene presa nel modo giusto, perché se deve diventare solo ambizione e successo, può anche essere negativo. Si impara il rispetto per le regole, per l’avversario, per l’autorità, per la vittoria e molte volte , ancora più educativo, quello della sconfitta. Diciamo che perdere è un po’ la regola, anche se io ancora non ho imparato benissimo questa cosa, tant’è che continuo a lottarci contro. Poi ti dà delle relazioni sociali, il rispetto per il tuo corpo, la sopportazione al dolore, all’infortunio, agli avversari e poi ritrovarsi anche quando si è adulti ad avere amicizie che ti hanno legato e restano indimenticabili. Io ancora adesso ricordo di più le mie vittorie di quando giocavo con i miei compagni di squadra sedicenni, che magari quando ho vinto la Supercoppa con Cantù. Sicuramente può diventare poi uno stile di vita, dove occorre però,  un valido aiuto dalla famiglia e soprattutto dall’istruttore.

In un mondo fin troppo rude, crudo, violento, con tante disgrazie, tanta sofferenza, credo che l’arte, lo sport, la poesia siano quelle poche cose che possono allietare la vita  e noi che abbiamo la fortuna di farlo credo siamo dei privilegiati.

D: Quanto conta e come viene fuori la fiducia in se stessi in un team?

R: La fiducia è ciò che lega una squadra. Diciamo che diventa gioco di squadra quando un giocatore si fida di un altro, se un giocatore passa volentieri la palla a un altro è perché sa che ne farà buon uso e se in difesa io sono aggressivo sul pallone, perché so che se qualcosa va male c’è un compagno che mi aiuta. Quindi la fiducia è ciò che dà il gioco di squadra; è chiaro che non basta dirlo ma bisogna crearla con tanti allenamenti e un sistema di gioco che possa proteggere tutti e esaltare tutti quanti in maniera che la fiducia l’uno dell’altro si crei in maniera automatica.

D: Lei più volte ha fatto vedere a dei suoi giocatori, un video motivazionale che ricordava loro di essere dei validi giocatori. La psicologia sociale e motivazionale rientra nelle metodologie  di un allenatore?

R: Sì credo che sia molto, molto importante anche perché la grande difficoltà è quella di cercare di trattarli tutti allo stesso modo a livello di giustizia, però avendo a che fare con ben 12 teste diverse. Quindi trovare l’equilibrio tra il saper dire una parola in più a uno, trattare meglio un altro, dare una giustizia di squadra, è una ricerca molto importante. Alla fin fine  il basket è uno sport che vive sull’ emozione perché in un  secondo puoi diventare da campione a perdente o viceversa. L’aspetto emotivo è molto importante e far sentire l’autostima a un giocatore è proprio decisivo. Molte volte, il mio vero successo lo percepisco quando parlo sempre meno con i giocatori, perché sanno già cosa fare in certi momenti e quindi un po’ di sana autogestione evidenzia che il processo di lavoro sta funzionando bene. Potrebbe  sembrare una debolezza ma credo invece sia una grande forza.

D: Attualmente lo sport riveste anche un importante ruolo sociale considerando il fatto che i giovanissimi e i giovani che frequentano una palestra frequentano meno la strada, maturano una coscienza sociale, dei valori di solidarietà e comunicazione. In diverse grandi città esistono delle associazioni che tramite lo sport cercano di aiutare le fasce socialmente deboli a emergere in qualche modo, affidando poi le giovani promesse a chi ha maggiori competenze.

Che ne pensa?

R: Io sono molto favorevole a questo tipo di iniziative. Infatti sono stato a Napoli per un progetto,  ad allenare diverse volte dei gruppi  di ragazzi di strada.

Credo che si possa fare qualcosa di molto educativo dando dei sani valori ai ragazzi,  esaltando poi il campione che potrà diventare professionista.

Ovviamente risulta allo stesso modo formativo il lavoro di chi invece lo fa esclusivamente per un discorso ludico e dello stare insieme agli altri.

Certo che la cosa di cui sento sempre di più la mancanza è un progetto che riguardi la fascia di età dai  16 ai 22 anni. Fino a quando si fa minibasket ci sono molti partecipanti, poi man mano che si va avanti e si arriva ad un’età in cui i ragazzi vivono  una fase in cui hanno più distrazioni, c’è un calo notevole di partecipazione e anche di educatori di una certa forza. Io, in maniera anche molto critica, quando sento tutti questi istruttori di minibasket che si vantano di avere un rapporto  bellissimo con i bambini dico che non è poi molto difficile, ci mancherebbe altro. Credo che il difficile sia misurarsi con i ragazzi più grandi di 15  -16 anni che iniziano ad avere un momento di ribellione, lì bisognerebbe avere istruttori più bravi.

Negli Stati Uniti, ad esempio, i veri santoni sono quelli che educano, che hanno qualche capello bianco in più, e che vengono pagati più degli allenatori dell’ NBA, per l’importanza del ruolo che svolgono.

Tornassi indietro, sarei molto più bravo nei confronti dei ragazzini, adesso che sono più maturo e ho più esperienza di quando ho iniziato a 19 anni.

Qui invece si ragiona un po’ al contrario: finché sono bambini diamoli al primo venuto, poi quando arrivano i grandi diamoli a quelli bravi. Mi piacerebbe che ci fosse, quindi, uno studio maggiore per i ragazzi che hanno un’età difficile. Infatti abbiamo un numero spropositato di base larga fino a 10 – 15 anni e un abbandono sia dei ragazzi che degli allenatori nelle fasce di età superiori. Anche qui ad Avellino, ad esempio, c’è una grande vivacità fino a 12 anni poi dopo 13 è un po’ più facile perderli.

D: Le faccio una domanda che può sembrarle banale ma è dovuta al fatto che non sono un tecnico. Penso che una cosa molto difficile da fare per un allenatore sia capire, durante una partita, che sta andando male, che c’è qualcosa che non va. Una formazione sbagliata, un gioco non adatto, uno schema ripetitivo. Come fa un allenatore a rendersene conto durante una partita e soprattutto come avviene la scelta dei correttivi ?

R: Non è affatto banale come domanda. La gente pensa che uno va in  campo e gioca la partita. Invece ci sono due fattori importanti: uno è un grandissimo studio pregara che si attua guardando almeno le ultime quattro partite precedenti degli avversari, tutti i loro giochi di attacco , le nostre scelte difensive e offensive, a seconda della loro difesa. Questo già porta ad avere un piano gara abbastanza preciso. Successivamente, durante il piano gara, per le cose che non vanno bene bisogna avere un po’ di talento nel capire al momento giusto qual è la scelta giusta e rischiare. Poi chiaramente è sempre quella che non fai la scelta giusta, almeno per la maggior parte dei tifosi.

Credo sia un discorso di preparazione, di competenza e anche di istinto, di sentire la partita proprio come se fosse una sfida tra un allenatore e un altro, una partita a scacchi, di capire al punto giusto cosa fare e, ogni tanto, scegliere anche delle cose non logiche che hanno un senso in quel momento perché magari un giocatore è particolarmente ispirato.  Ci sono delle situazioni che magari  non hai stabilito ma che affiorano nell’ immediato e ti portano a fare delle scelte diverse da quelle preventivate.

D: Infine una semplice curiosità…perché tutti  la chiamano Pino se all’anagrafe risulta  Stefano?

R: La verità è molto banale, perché quando ero piccolino nel cortile c’era uno Stefano e io ero Stefanino, poi un giorno a qualcuno venne fuori un diminutivo Nino, da Stefanino, Nino,  poi Pino e con un gioco di parole Pino è rimasto affiancato ai ricordi adolescenziali di cortile.

Grazie coach e buon lavoro.

Maria Paola Battista

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About Maria Paola Battista

Amo ascoltare, leggere, scrivere e raccontare. WWWITALIA mi dà tutto questo. Iniziata come un’avventura tra le mie passioni, oggi è un mezzo per sentirmi realizzata. Conoscere e trasmettere la conoscenza di attori, artisti, scrittori e benefattori, questo è il giornalismo per me. Riguardo ai miei studi, sono sociologa e appassionata della lingua inglese, non smetto mai di studiare perché credo che la cultura sia un valore. Mi piace confrontarmi con tutto ciò che è nuovo anche se mi costa fatica in più. Attualmente mi sto dedicando alla recensione di libri e all'editing. Ho scritto, inoltre, diverse prefazioni a romanzi. Grazie ai lettori di WWWITALIA per l’attenzione che riservano ai miei scritti e mi auguro di non deluderli mai. mariapaolabattista@wwwitalia.eu

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