La leggenda della volpe a nove code
Nelle vecchie storie popolari dell’Asia occidentale, vi sono numerose figure affascinanti e ricche di mistero, una tra queste è la volpe a nove code (Jiǔwěihú in Cina; Gumiho in Corea; Kyūbi no Kitsune in Giappone).
In ognuna delle tre culture è presente questa figura, che però è vista in modo differente o, per meglio dire, assume nature diametralmente opposte.
Se per la cultura cinese, infatti, la Jiǔwěihú è un essere benevolo e portatore di fortuna piuttosto che foriero di nascite reali, raffigurata come un umano dalla voce infantile, per le storie giapponesi le Kyūbi no Kitsune possono essere sia benevole che maligne, rappresentate come esseri possessori di numerosi poteri come quello di prendere sembianze umane, di entrare nei sogni, di creare illusioni così complesse da non distinguere la realtà o addirittura di piegare il tempo e lo spazio per portare alla follia i nemici.
Nella cultura coreana, invece, una volpe si trasforma in gumiho dopo aver vissuto cento anni. Questo è un essere essenzialmente maligno che prende sembianze umane, (quasi sempre di bellissime e giovani ragazze) per avvicinare gli umani e nutrirsi delle loro carni.
La storia forse più conosciuta, che ha come protagonista proprio una Kyūbi no Kitsune, è senza dubbio quella di origine nipponica di Tamamo-no-mae, la donna preferita del padre dell’imperatore Konoe (che regnò dal 1142 al 1155).
Ella era per bellezza, fascino ed intelligenza superiore a qualunque donna del regno, ma quando entrambi i reali si ammalarono misteriosamente, l’esorcista di corte Abe no Yasuchika comprese immediatamente che si trattava di una maledizione lanciata da Tamamo che, rivelatasi essere una volpe a nove code, fu catturata e giustiziata.
Dopo essere stata uccisa, dal suo corpo nacque una pietra magica, Sessho-seki, mortale per chiunque la toccasse.
Questa figura leggendaria ha ispirato molti libri, drama e addirittura manga e manhwa (fumetti rispettivamente giapponesi e coreani), decisamente affascinante e piena di mistero, questa resta la figura più enigmatica della cultura asiatica.
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