SE DICO NO È NO
SE DICO NO È NO, di Annamaria Piccione 33 pagine, costo € 12,00 Matilda editrice, illustrazioni di Viola Gesmundo
SE DICO NO È NO, è un libro molto simpatico e accattivante. Con copertina cartonata e coloratissimo, è reso ancora più gradevole dalle illustrazioni di Viola Gesmundo, architetta ed illustratrice foggiana.
È una storia di bambine e di donne, raccontata da un bambino e, anche se destinata ad un pubblico di giovanissimi lettori e lettrici, potrebbe insegnare a molti adulti, sia di genere maschile che femminile, come comportarsi in alcune situazioni.
In particolare, si propone di insegnare alle bambine a dire NO. Un NO a chiare lettere maiuscole stampatello, che vuole contrapporsi a tutti gli stereotipi che sin dalla prima educazione imperano sui due generi.
Un NO che si oppone alle prepotenze del bullo che solo perché è grosso e maschio vuol prendersi il posto a sedere occupato da una bambina nella scuolabus, che continua con il rifiuto del “bacetto” giusto per compiacere l’amichetto di turno per finire alla scelta di suonare la tromba piuttosto che il violino.
Sono molti i richiami alla realtà nonché gli spunti di riflessione, volti a richiamare l’attenzione sulle discriminazioni di genere.
Nulla di complicato: è una storia per bambine e bambini, non c’è violenza né paura; anzi, una piacevole atmosfera rende il racconto del piccolo Nico sereno e significativo nello stesso tempo.
All’autrice Annamaria Piccione, ho posto alcune domande.
Credo che lei sia stata molto brava a racchiudere un tema come le discriminazioni di genere in un libro per bambini e bambine.
Se ne notano le tracce tra un episodio e un altro della vita dei protagonisti e questo rende bene il significato dei concetti.
Quali sono, a suo parere, le maggiori sfere di influenza che agiscono sugli stereotipi e sulle discriminazioni di genere?
Sono sempre stata del parere che stereotipi, pregiudizi e discriminazioni di genere siano tutti conseguenza dell’ignoranza, nel senso letterale del termine, ossia come “non conoscenza” di un determinato argomento. Se si esclude, infatti, qualche filosofo illuminato, le persone di solito non ammettono le proprie lacune e le compensano con invenzioni, intuizioni, supposizioni tanto fantasiose quanto illusorie. Il primo luogo dove si annidano gli stereotipi è spesso la famiglia, nucleo formativo della maggior parte degli esseri umani, dove l’ancoraggio alle tradizioni è particolarmente forte, per cui un atteggiamento è considerato giusto solo perché “si è sempre fatto così”: non a caso i figli che non condividono le scelte dei genitori sono spesso definiti ribelli o irrispettosi. Anche scuola e chiesa, purtroppo, si rivelano a volte ostili ai cambiamenti, sebbene possano diventare, in alcuni casi, l’esatto contrario e da baluardi di conservatorismo convertirsi in araldi di innovazione. Dipende dai singoli, come in ogni altro ambito. Negli ultimi anni un ruolo preminente nella formazione di qualsiasi opinione, dunque anche degli stereotipi, è affidato ai social. Capita che l’esternazione su facebook di un presunto leader trasformi una baggianata in verità acclarata. Un esempio emblematico è dato dal fenomeno migranti, che sono percepiti come pericolosi semplicemente perché sono descritti come tali persino da chi non ne ha mai incontrato uno!
Indipendentemente dalle conquiste e da come oggi le donne compiano le proprie scelte, è ancora difficile insegnare loro a non fare rinunce e a dire NO?
Oggi molto è cambiato anche rispetto a pochi anni fa, ma la propensione al sacrificio inteso come qualità positiva connaturata all’essere donna è dura da scardinare, quasi che bontà e propensione alla rinuncia siano sinonimi. Su un social, in un post che promuoveva questo libro, sono stata accusata di esortare i bambini – e soprattutto le bambine – a essere egoisti. Io penso che un “no” non significhi chiusura agli altri, ma consapevolezza nel proprio agire. I sì sono più convinti quando sono spalleggiati da no consapevoli e, viceversa, i sì sono più consapevoli se accompagnati da no convinti. Consapevolezza è una parola chiave nelle relazioni e anche questa, a mio avviso, è una forma di conoscenza. Delle proprie qualità, forze, limiti. E non ultimi, dei propri dubbi. Sono fermamente convinta che molti stereotipi aumentino in proporzione alla sicurezza delle proprie opinioni. Qualsiasi cosa diciamo o facciamo, dovremmo sempre tener presente che possiamo commettere degli errori. Ecco perché al compiaciuto “cogito, ergo sum” cartesiano, ho sempre preferito il più cauto “dubito, ergo sum”.
Nel racconto è inserito anche un gatto. So che lei ama molto i cani e i gatti e vorrei chiederle una sua considerazione riguardo la sensibilità dei nostri amici a quattro zampe e quanto siano importanti nelle relazioni con i bambini. Forse perché entrambi sono senza stereotipi e pronti ad amare?
Secondo me la visione antropocentrica che considera l’essere umano superiore e, in quanto tale, legittimato al dominio sulle altre specie, è uno degli stereotipi più gravi nella storia del mondo. Non mi sono mai posta nei confronti dei miei compagni a quattro zampe come una “padrona” che concede graziosamente affetto e cure, ma come un soggetto di un dialogo paritario tra esseri diversi. Il rapporto quotidiano con i miei gatti o i miei cani è fondamentale nella mia personale ricerca della felicità: dunque sì, poiché gli animali sono “utili” in qualsiasi circostanza e a qualsiasi età, lo sono anche per aiutare i più piccoli a superare gli stereotipi. Nominare in tutti i miei libri la parola gatto non è un semplice portafortuna, ma un’attestazione di gratitudine a chi mi regala tanto ogni giorno. I gatti mi hanno insegnato molte cose: a godermi le coccole, ad apprezzare il riposo, a cercare l’ombra nelle ore calde e il sole nei giorni freddi, sia realisticamente che metaforicamente. Ma soprattutto da loro ho imparato a tirar fuori le unghie al momento opportuno… soprattutto se devo combattere contro uno stereotipo!
Grazie ad Annamaria Piccione e complimenti.
Maria Paola Battista
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