Migranti, ONG e diritto internazionale. Il Ministero degli Interni e la linea del governo Meloni
“Le nuove regole per le ONG che solcano il Mediterraneo servono a dire basta alla tratta di esseri umani.” È quanto dichiara il Ministero attraverso il sottosegretario Emanuele Prisco (FDI), che argomenta la decisione del governo Meloni di limitare le operatività delle organizzazioni che si occupano di salvataggio migranti in questo modo: “E’ chiedere troppo se l’Italia pretende che si rispettino le regole del diritto internazionale, impedendo ad alcune organizzazioni di facilitare l’immigrazione clandestina facendo la spola con gli scafisti? Il diritto internazionale non prevede infatti la “raccolta organizzata e diffusa” ma piuttosto sancisce che se durante la navigazione incontri dei naufraghi sei tenuto a raccoglierli e portarli in salvo: e questo è proprio l’orientamento del Governo. Con l’entrata in vigore del decreto, cambia l’approccio al problema: chi rischia davvero la vita in mare deve essere ovviamente aiutato ma no ai salvataggi multipli da parte di navi che tornano in porto solo quando sono a pieno carico. Se si incontrano dei naufraghi, essi vanno portati subito in salvo. Altro aspetto determinante è che da ora in avanti le navi saranno passibili di controlli e dovranno svolgere attività coerenti con quelle per cui sono registrate: una nave commerciale difficilmente potrà essere usata per fare la spola in mare per raccogliere gruppi di migranti. Inoltre, in ogni caso lo screening delle persone tratte in salvo va fatto a bordo delle navi, in maniera da fornire sin da subito alle autorità italiane le informazioni utili sulla provenienza e sullo status dei naufragi già al momento dell’arrivo in porto, a garanzia della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Insomma, regole semplici che intendiamo far rispettare, perché non intendiamo renderci complici degli scafisti. In caso di mancato rispetto delle regole internazionali, l’ingresso nelle acque internazionali non sarà autorizzato e, in caso di violazione del divieto, le imbarcazioni potranno essere sottoposte a fermo amministrativo per due mesi e poi, in caso di ulteriori violazioni, saranno sequestrate per poi essere confiscate. L’Italia fa ovviamente la sua parte ma è ovvio che l’obiettivo finale è quello di arrivare ad una strategia europea per fermare le partenze”.
La dichiarazione segue le critiche avanzate dal decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023 che il governo ha varato per un nuovo assetto giuridico per le ONG che trasportano i migranti nel nostro territorio nazionale. Agire sulla mobilità delle navi soccorso, limitandone le funzioni, dovrebbe, secondo il governo, arginare le partenze dei migranti dai luoghi di provenienza. La questione però rimane aperta, perché è lecito pensare che i problemi non si risolvano a valle. E l’obbligo di tornare in porto a ogni soccorso chiaramente è stato introdotto per scoraggiare il monitoraggio sistematico delle rotte normalmente seguite dagli scafisti, cui peraltro non importa della vita o della morte di coloro che hanno già pagato il viaggio.
Il vero problema è che qui si parla di uomini, donne e bambini, vittime di una sistema di sfruttamento dell’emergenza, che non troveranno giustizia nelle regole e nei difficili rapporti che l’Italia ha con gli altri paesi europei in tema di migranti. La soluzione purtroppo non si palesa perché sarebbe necessario intervenire a monte del problema, ma purtroppo gli interessi economici degli stati occidentali nella storia ha penalizzato la vita di coloro che oggi chiedono un rifugio sicuro, questo non dobbiamo mai scordarlo, e ora è tardi per tornare indietro. Potremmo pensare, piuttosto che a continuare a colonizzare il mondo e i paesi più poveri con le nostre armi, a farla finita e a guardare al futuro dell’umanità.
Fatte salve queste speranze, la regolamentazione delle ONG e il monitoraggio continuo delle loro attività da parte del governo e dei governi è sacrosanta, poiché ogni azione anche volta alla salvaguardia delle vite umane deve essere soggetta a rendicontazione e al rispetto di regole che rispondano al Diritto internazionale, alla convenzione di Ginevra, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alla nostra Costituzione.
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