Dittatura scempio dell’etica. Il Focus di Giuseppe Rocco

Nell’architettura di trasgressione della democrazia si intravvedono germi di perversione che agiscono in maniera subdola per circuire il popolo. Richiamando la fine dell’Ottocento, si rinvengono come protagoniste della società industriale le masse operaie e i ceti medi, rispetto alle quali l’ideologia liberale, incentrata sull’esaltazione della libertà individuale e dell’iniziativa privata, sembra quasi dissiparsi. Più adeguate a soddisfare gli interessi e i bisogni della massa appaiono allora il nazionalismo e il socialismo. La personalità cosciente svanisce, mentre i sentimenti e le idee si orientano nella medesima direzione; ciò rende la folla impersonale e anonima in modo che agisca con contenuti irrazionali, mossa da impulsi originati dall’inconscio e sfuggenti a qualsiasi controllo da parte della coscienza. L’individuo inserito in essa non solo perde la personalità cosciente annullandosi in una sorta di anima collettiva, ma acquisisce un tale senso di potenza da lasciarsi andare agli istinti. Quando si trova in una folla, prende coscienza della forza che gli viene dal numero, e cede immediatamente alla prima istigazione al massacro o al saccheggio.

Irriverente e condizionabile, incapace di volontà e di pensiero, soprattutto priva di capacità critica, la folla ha bisogno di un leader che la guidi nel modo di pensare e di agire. Il vero dittatore – affermava Le Bon – si presenta alle masse come idoneo a incarnare e realizzare le loro aspirazioni; benché ciò sia irrealizzabile, l’arte pregnante è di lasciarlo credere, perché le folle non si persuadono con ragionamenti ma mediante immagini e sensazioni. [G1] [G2] 

Per questo gli irruenti trascinatori, non sono intellettuali ma uomini d’azione. Il buon oratore si affida non al ragionamento logico, ma a tutto ciò che serve a sedurre, adulare ed esaltare la massa: metafore, similitudini, esclamazioni in grado di suscitare reazioni emotive. Poco incline al ragionamento, la folla si dimostra adattissima all’azione: una volta manipolata, rischia di agire quasi sempre contro il proprio interesse. Proprio la manipolazione della coscienza collettiva, insieme alla negazione della libertà individuale e all’imposizione autoritaria di un capo carismatico, rappresenta la caratteristica dei regimi autoritari-dittatoriali novecenteschi. Con la propaganda, l’uguaglianza viene considerata un falso valore, la libertà deleteria perché ingestibile dalle folle. Ai valori democratici vengono contrapposti gli ideali nazionalistici e collettivistici, per i quali il soggetto della storia non è più il singolo ma il popolo. A preparare il terreno a tali ideologie contribuisce la crisi della cultura positivista. I giovani provati dall’esperienza della Grande Guerra rifiutavano il razionalismo, la fiducia nella bontà umana e nel progresso, la credenza idealistica in un determinismo delle leggi storiche. Inoltre, in quanto reduci dal fronte, essi si sentono autorizzati a usare la violenza come strumento per opporre al moralismo e all’utilitarismo piccolo-borghese, il libero dispiegarsi dell’istinto vitalista e irrazionale.

Le avanguardie artistiche del primo Novecento (come il Futurismo) si ispirano alla filosofia nietzscheana, alimentano tali tendenze, esaltano la vita come lotta e manifestazione della volontà di potenza, il relativismo morale, il culto dell’individuo superiore, la religiosità naturalistica, le tendenze razziste. Negli anni del dopoguerra – in cui vincitori e vinti devono fare i conti non solo con le distruzioni e la povertà, ma anche con l’esplosione di conflitti sociali che mettono in crisi le tradizioni democratiche e lo Stato liberale – le ideologie nazista e fascista promettono di instaurare un nuovo ordine economico-politico e morale. Per ottenere ciò Hitler e Mussolini propongono la via autoritaria e nazionalista, alternativa al capitalismo e al comunismo: vengono rinnegati gli ideali ugualitari; disprezzati l’individualismo della società borghese liberale e il moderatismo della democrazia parlamentare; esaltati il culto del capo e delle élites cui è assegnato il compito di guidare e plasmare le masse. Esautorando progressivamente i principi liberaldemocratici e i diritti fondamentali (libertà di stampa, di informazione, di associazione) si arriva all’instaurazione di regimi politici a partito unico, organizzati in forma gerarchica; ai valori dell’individualismo liberale vengono opposti il primato della nazione e l’interesse del popolo, da perseguire mediante la cooperazione di tutte le classi sociali.

I regimi cercano di appropriarsi in modo totale della società, creando consenso attraverso la propaganda, l’imposizione di idee e modelli di comportamento, l’inquadramento della popolazione nelle diverse categorie sociali e professionali, le cerimonie pubbliche e le sfilate finalizzate a coinvolgere emotivamente le masse. Proprio in questo consiste la novità del fascismo: mentre le dittature avevano dominato le masse escludendole dalla vita politica, il fascismo lo fa sentire protagonista del nuovo ordine politico e sociale. In via imitativa, pongono in essere delle manifestazioni di folla simili alle processioni cristiane, quindi a guisa di una religione.

Mentre in Germania il nazismo si impone completamente sulla società tedesca, in Italia il fascismo convive con le strutture statali, assumendo la forma di una “rivoluzione “legale”. Ciò persuade gli italiani, almeno inizialmente, che il Duce abbia a cuore il rinnovamento della patria e il desiderio di riportarla alla gloria dell’antica Roma dopo secoli di schiavitù sotto le potenze straniere. Si tende di realizzare una rivoluzione antropologica allo scopo di creare una razza di conquistatori e dominatori. Per conseguire tale risultato ogni aspetto della vita privata viene subordinato al bene dello Stato. La massa rimane suggestionata dal mito della nazione, creato in modo tale da confluire in una sorta di religione laica e politica attraverso cerimoniali, ideali di guerra e di sport, spirito di sacrificio, fedeltà e disciplina, culto dei martiri, fusione mistica del popolo.  Violando la libertà e i diritti umani e attuando una politica estera aggressiva e violenta, sia Mussolini che Hitler promettono non solo di riportare l’ordine nell’esistenza umana raddrizzare il corso della storia e della natura. A parere del dittatore tedesco, alcuni popoli devono essere sterminati perché inutili o addirittura dannosi nel piano di riordino della specie; altri – i popoli slavi – trasferiti perché il destino li ha assegnati a vivere in un luogo sbagliato. E l’effetto della sua esistenza è proprio quello dei parassiti: dovunque si installi, il popolo che lo ospita prima o dopo muore. Così l’ebreo in ogni tempo ha vissuto negli Stati di altri popoli, e lì ha formato un proprio Stato, che è rimasto mascherato sotto la forma della “comunità confessionale”, fino al momento in cui le circostanze non gli hanno consentito di palesare la sua vera natura.

Pur essendo l’ideologia stalinista-leninista opposta a quella nazista-fascista, in quanto si vuole affermare una società senza classi, con estinzione dello Stato e con il primato del proletariato – utilizza i medesimi strumenti (la violenza, il terrore e il sospetto), la stessa negazione della libertà e dei diritti umani. Se nel piano nazista devono essere sterminate le razze inferiori a quella tedesca, secondo l’ideologia comunista bisogna sbarazzarsi degli inaffidabili, ossia di coloro che pensano e agiscono in maniera non conforme ai dettami del regime a partito unico. Un nemico interno dunque, di cui non ci si può fidare, appartenente allo stesso popolo sovietico. Chiunque può essere sospettato e diventare oggetto di denuncia; non sono mancati figli che hanno denunciato i padri perché infedeli al regime. All’interno della stessa gerarchia comunista alcuni dirigenti, autori e al tempo stesso vittime della lotta per il potere, vengono accusati di crimini mai commessi.

Dal clima di sospetto e denuncia all’uso del terrore e della violenza il passo è breve; strumenti di cui si è servito ogni regime autoritario e totalitario della storia. Autoritario non è sinonimo di totalitarismo: il regime autoritario attraverso uno spietato potere poliziesco nega la libera partecipazione ed espressione dei cittadini e reprime qualsiasi forma di dissenso, limitando l’autorità del Parlamento, la libertà di stampa e di associazione; un regime totalitario mira anche all’unificazione delle coscienze sotto le direttive di un capo carismatico, al vertice di un partito unico che si identifica con lo Stato. Il tutto è sostenuto da un’ideologia onnicomprensiva, nella quale il singolo perde la propria connotazione individuale per diventare massa. Per ottenere ciò viene messa in moto un’efficiente macchina propagandistica, che rieduca gli uomini nuovi attraverso il monopolio dell’istruzione, della cultura e dei mezzi di comunicazione, uniformandone idee e comportamenti. Mentre dunque il regime autoritario reprime il dissenso, quello totalitario pretende il consenso. Entrambi esigono coscienze obbedienti ed educabili; entrambi negano la libertà, l’uguaglianza e la democrazia. Non c’è spazio per l’individualismo borghese, non c’è modo di valorizzare l’unicità di ogni esistente. Se l’Ottocento quindi era stato il secolo della democrazia liberale e parlamentare, sorta dagli ideali della Rivoluzione francese, il Novecento, in nome della razza pura (Hitler) e di una società senza classi (Lenin), diventa il secolo dei regimi repressivi, che negano i principali diritti umani, perché non c’è società ordinata senza paura e umiliazione, non c’è dominio umano sul mondo senza calpestare la dignità umana e sterminare la libertà umana, non c’è lotta contro l’indisciplinata contingenza della condizione umana che non renda alla fine superfluo l’uomo. Si conferma che l’ascesa novecentesca dei regimi totalitari viene favorita in parte dalle avanguardie intellettuali che all’inizio del secolo criticano aspramente la cultura positivista e gli ideali del liberalismo.

Positivismo e liberalismo si fondano l’uno sulla fiducia incondizionata nel progresso e nelle possibilità della ragione, l’altro sul valore della libertà individuale e sul principio della libera concorrenza. Questi principi sono considerati la causa dei mali della società moderna: inurbamento, povertà, criminalità, devianza, ma soprattutto perdita dei valori in favore della morale individualistica prodotta dalla classe borghese. Il ceto protagonista della società moderna in effetti aveva innescato nuovi valori: l’affermazione personale, il successo economico, la reputazione sociale, il prestigio familiare.

Tale morale viene giudicata utilitarista e materialista e accusata di tenere a freno il libero dispiegarsi della personalità perché promuove una visione della vita governata dalla razionalità scientifica. Ad essa le avanguardie oppongono i valori dello spirito: l’esaltazione dell’istinto e dell’energia il primato dell’azione sulla dottrina, l’idea di vita come lotta e affermazione della volontà di potenza, la celebrazione dell’individuo superiore, il culto delle élites destinate a guidare le masse. Alla ricerca di nuovi ideali, nascono le cosiddette Avanguardie intellettuali, favorite dal Decadentismo e dal Futurismo, denominate anche filosofie dello spirito, le quali ritengono che la vita non possa divenire oggetto di riflessione razionale, ma debba essere sperimentata nella sua immediatezza come atto creativo, intuitivo, prerazionale e istintivo.

In tale prospettiva la possibilità di dominio è riservata a colui che sa sfruttare l’anima collettiva delle masse: si afferma il mito del capo, del leader, del superuomo. Non solo, la libertà è giudicata deleteria, l’uguaglianza un falso valore, astratto e apparente; si combattono la libertà e l’uguaglianza in nome della fraternità della nazione. Nasce l’ideologia nazionalista. Il Futurismo italiano, in particolare, propone una pedagogia eroica in grado di rigenerare gli italiani e rafforzarne il senso di appartenenza nazionale. I futuristi vogliono rompere con il passato per conquistare il futuro e imporsi alla storia con la forza; desiderano sfidare il destino mediante l’audacia, la ribellione, il coraggio e l’anticonformismo. Conseguiamo la rivolta dello spirito contro la materia, in opposizione al moralismo e alla democrazia. Agli ideali religiosi e a quelli della rivoluzione francese, vengono contrapposti la ricerca del piacere e della bellezza; l’estetica diventa un’arte, un dovere morale. A tutto ciò si aggiunge l’esaltazione della guerra, sacralizzata in quanto igiene del mondo in grado di purificare la razza e creare italiani virili, scevri da debolezze e sentimentalismi.

La guerra insegna i valori della patria, l’unità tra i cittadini e lo spirito di obbedienza, che non ammette l’espressione di opinioni personali. Gli italiani devono diventare eroi per la patria: il sacrificio è celebrato come virtù suprema. I veri italiani – dicono i Futuristi – sono interventisti, accettano la sfida perché la guerra rende il popolo migliore e sottomette la razza inferiore. I neutralisti invece sono codardi, nemici della patria. Ispiratore del movimento futurista, nonché profeta della crisi razionalista di fine Ottocento, è F. Nietzsche, portavoce di una nuova visione della vita fondata sull’irrazionalismo e sull’esaltazione dell’energia vitale.

Nella caduta invertebrata delle aspirazioni e della distruzione dell’etica, non vi è appannaggio dell’Europa. Un triste ricordo arriva dalla Cambogia di Pol Pot, addestrato nelle Università di Londra e tornato nella sua terra per seminare terrore. Il regime di Pol Pot in Cambogia è durato solo 4 anni dal 1975 al 1979 ma è stato uno dei più terrificanti della storia. Ha assassinato due milioni persone su un totale 7 milioni di abitanti. Il 20 percento dei cambogiani è stato ucciso o morto a causa delle carestie e delle privazioni. Ha abolito la proprietà privata, gli ospedali, le professioni liberali; i cambogiani furono deportati dalle città nelle campagne e messi a lavorare in gigantesche fattorie collettive. Per essere ucciso, bastava conoscere l’inglese o portare gli occhiali: ogni forma di cultura poteva far conoscere all’estero l’ignominia del regime.

A parte le condizioni dell’Africa, ove si assiste a continui colpi di Stato, in Occidente, fenomeno contradditorio e inconcepibile, i tiranni sono stati votati e scelti dal popolo. Il momento storico confuso, la capacità di un leader capace di catturare l’attenzione, stimoli di rivolta incontrollabili sono apparsi elementi determinanti a creare situazioni di dittature.

Questi esempi dimostrano come l’etica può scadere, ma al livello degli esempi l’etica non esisteva.

©Riproduzione riservata


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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.