La Folgorite, tutta la potenza della natura

Immaginate una notte di tempesta. Il vento sibila sollevando i granelli di sabbia, le onde si gonfiano rompendo i margini, divorando metri e metri di spiaggia. Il boato dei tuoni manifesta tutta la potenza dell’Universo quando all’improvviso il nero denso del cielo notturno viene squarciato da un fulmine che si schianta sulla sabbia rilasciando una lunga scarica elettrica.

Il forte calore ustiona la spiaggia, fonde la sabbia silicea ricca di quarzo.

Al mattino sulla spiaggia deserta e stremata per la sua estrema battaglia un tubicino, più tubicini, pietrificati, del suo stesso colore, si mimetizzano tra i granelli. Il diametro varia da qualche millimetro a pochi centimetri e la lunghezza può raggiungere anche alcuni metri. Piedi distratti li calpestano riducendoli in frantumi, ma occhi attenti sanno bene che hanno davanti qualcosa di raro e prezioso; una Folgorite (dal latino Fulgur = folgore), un fulmine pietrificato.

Tecnicamente non è un cristallo ma un mineraloide, una massa vetrosa chiamata Lechatelierite; un quasi cristallo che a differenza dei solidi cristallini, non ha una struttura ordinata e ripetitiva, non ha nessun tipo di ripetizione, un po’ come me, come la mia natura più profonda.

Ricordo ancora il giorno in cui una mia allieva (una ragazza straordinaria che nell’ambito degli oli essenziali è diventata un punto riferimento) mi si avvicinò con una scatoletta. La apro, al suo interno adagiato con cura un tubicino grigio che mi ricorda la sabbia.

“Prof., ti ho portato questa pietra, perché ho pensato a te. Guadala, tu ci dici sempre di essere un osso cavo per lasciar scorrere tutto l’Universo in noi, per canalizzare senza filtrare le energie dell’altro attraverso il nostro pensiero, giudizio, visione. Questa pietra ti ricorderà di me.”

Mai un’emozione più forte. Uso la folgorite per ricaricarmi della potenza dei fulmini, della saggezza del mare, per ricordarmi di essere un osso cavo e della mia alunna prediletta.

IL LIBRO

Parlando di sabbia e di magia non posso non ricordare il libro di Sabina Pelanconi, In un mare di plastica, edizioni Il Papavero. Il racconto narra, soprattutto attraverso immagini spettacolari, la storia di Ippo, un ippocampo, e di Larinae, un bianco gabbiano. L’uccello dalle immense ali e il becco giallo sta perlustrando dall’alto la superfice del mare nella speranza di trovar qualche pesciolino da mangiare quando la sua attenzione viene catturata da uno strano luccichio che brilla in quell’immensa distesa azzurra. È qualcosa di nuovo e sconosciuto. Cosa sarà mai? È bellissimo ma nasconde grandi pericoli, si chiama plastica ed è uno dei nemici più pericolosi per il mondo animale, uomo incluso. In quel luccichio c’è imprigionato un piccolo cavalluccio marino, un ghiotto boccone per Larinae che si tuffa in picchiata per afferrare la preda ma… ma il suo becco resta incastrato in quel luccichio che altro non è che una bottiglia di plastica che sta decretando la sua condanna a morte. Cosa accadrà? Larinae riuscirà a salvarsi? E Ippo sarà il pranzo di Larinae? Scopriamolo insieme immergendoci “in un mare di plastica”.

©Riproduzione riservata

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About Donata De Bartolomeis

Editore, giornalista, Naturopata ai sensi della legge 4/2013. “Non sono ciò che faccio, sono semplicemente ciò che sono. E spesso mi ritrovo a guardare il mondo a testa in giù.” http://edizioniilpapavero.it/altraformazione/benessere e il numero di tel. 3387780160