La grande guerra. Una lingua di trincea per il canto degli italiani

Per il convegno Musica, arte e grande guerra al Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino studiosi e docenti i sono incontrati e confrontati a 100 anni dalla fine del conflitto, ponendo sul tavolo lo stato dell’arte e nuovi interrogativi

Il convegno che si è svolto il 3 e 4 ottobre al Conservatorio irpino Domenico Cimarosa, organizzato dal Dipartimento di Musicologia, a cura di Tiziana Grande e Antonio Caroccia, ha presentato ai partecipanti studi e ricerche su aspetti finora sconosciuti del primo conflitto mondiale. Mentre la guerra falcidiava una intera generazione, la vita continuava per chi rimaneva a casa. Qui la guerra veniva declinata nel quotidiano e nelle espressioni artistiche. Canti di guerra, nuove tecnologie, cinema e pittura hanno così raccontato quell’infausto periodo con non minore forza di quanto fossero capaci coloro che ne presero parte al fronte.

Dopo i saluti del prefetto di Avellino Maria Tirone, del colonnello Gianluca Zulini, comandante 232° reggimento trasmissioni di Avellino, del maggiore Claudio Rosa, del comando provinciale dei Carabinieri di Avellino, dell’ing. Parente, del comando provinciale dei Vigili del Fuoco, a confrontarsi nella due giorni dedicata all’argomento sono stati: Flavio Giacchero, ricercatore di etnomusicologia, con una relazione dal titolo “Il meridione nel canto della Grande Guerra”; Anita Pesce, musicologa e storica del disco, con “Il disco a 78 giri nel periodo della Prima Guerra Mondiale”; Mariangela Palmieri, studiosa di fonti audiovisive, con “Il cinema italiano e la Grande Guerra”;  Gaia Salvatori, critica d’arte, con “La Grande Guerra fra pittura e illustrazione: la battaglia di Bligny in posa”; Fiorella Taglialatela, docente di drammaturgia musicale al Cimarosa, con “Raffaele Viviani: echi di guerra tra voci di quartiere”; Giuseppe Camerlingo, docente di Laboratorio di formazione orchestrale presso il Cimarosa, con “La musica nuova e l’antica: Napoli 1911-1920”; Ignazio Macchiarella, docente di etnomusicologia presso l’Università di Cagliari, con “Le voci ritrovate. Registrazioni sonore di canti e narrazioni di prigionieri italiani della grande guerra”; Tiziana Grande, bibliotecaria e docente del Cimarosa, con “Piedigrotte di guerra”; Giovanni Vacca, critico musicale, con “Canzone ‘e surdate: immaginario collettivo e posizionamento sociale della canzone napoletana nella prima guerra mondiale”; Antonio Caroccia, docente del Cimarosa, con “Si vide il Piave rigonfiar le sponde!: E.A. Mario e la canzone patriottica”; Consuelo Giglio, bibliotecaria del Conservatorio di Trapani, con “Tra Napoli e Parigi: canzoni e caricature della Grande Guerra in una collezione siciliana”; Luigi Izzo, docente di Basso tuba del Cimarosa, con “Il suono del cannone: le bande musicali e la Grande Guerra”. Emilio Jona, che avrebbe dovuto trattare con Giacchero l’argomento, Marco Pizzo, con “Pittori-soldato nella Grande Guerra: tre casi esemplari (Bucci, Carli, Lombardi)”, Roberto Calabretto, con “Carosello napoletano tra realismo e quadri allegorici” e Patrizia Maniscalco, che avrebbe presentato l’argomento con la Giglio, non essendo intervenuti personalmente, hanno inviato le loro relazioni.

Giacchero

A uscire in questi giorni è proprio il libro di Emilio Jona, Franco Castelli e Alberto Lovatto “Al rombo del cannon, grande guerra e canto popolare”, frutto di una lunga ricerca iniziata nel 1962 raccogliendo registrazioni dalla voce di chi aveva vissuto il tempo o le azioni della prima guerra mondiale; ricerca nata dalla mancanza di una raccolta di canti del Sud e isole. A presentare i contenuti del libro e campioni delle registrazioni allegate Flavio Giacchero che ha commentato le suggestive atmosfere e gli adattamenti parodistici su motivi popolari. Canti, ha spiegato, che permisero agli uomini provenienti dalle varie regioni italiane di comunicare in trincea nonostante i dialetti così diversi. La ricerca di un modo di comunicare portò questi uomini al fronte a costruire un italiano contaminato dalle influenze regionali, la lingua dei canti di guerra con cui i soldati, che combattevano con parassiti e malattie oltre che col nemico, si davano coraggio nella comune difesa del suolo natio. Incredibile lo scambio culturale che le trincee operarono in Italia molto prima che ci provasse la televisione.

Ignazio Macchiarella e Tiziana Grande

Ignazio Macchiarella e Tiziana Grande

Anche il prof. Macchiarella è in procinto di pubblicare il suo libro e ne ha parlato in questa occasione. La ricerca, da cui nasce la pubblicazione, parte di un progetto europeo che coinvolge diversi istituti,  ha mostrato l’esistenza di una singolare iniziativa del Kaiser Guglielmo II, che utilizzò i prigionieri di guerra per registrare i canti regionali e trascriverne i testi sia in diletto che nella corrispondente lingua nazionale. La banca dati avrebbe permesso alla Germania di conoscere meglio i popoli che contava di sottomettere. La lodevole idea culturale, senza precedenti, condotta con una tecnologia allora all’avanguardia (registrazioni su cilindro di cera con fonografo) ci permette oggi di assistere a testimonianze dirette della musica che veniva cantata in trincea.

Gaia Salvatori e Antonio Caroccia

Gaia Salvatori e Antonio Caroccia

Anche la pittura fu testimone di ciò che accadde. Ma, ci ha raccontato Gaia Salvatori, non tutti coloro che ritrassero scene di guerra andarono al fronte. Così per Ugo Matania che ne illustrò le azioni per il settimanale The Sphere, parallelamente a quanto faceva Achille Beltrame per la Domenica del Corriere. Tuttavia alcuni pittori furono soldati che ritrassero l’azione fermandola in schizzi, sviluppandoli in seguito, vere e proprio foto d’autore, come sottolineato da Marco Pizzo.

A Napoli, nel frattempo, la guerra era lontana ma si faceva sentire comunque e anche la pizza, emblema e protagonista della vita cittadina dà, ridotta com’è dalla guerra, l’occasione a Raffaele Viviani di fare della satira, un cui saggio è stato proposto in audio ed analisi da Fiorella Taglialatela.

Mariangela Palmieri

Mariangela Palmieri

Il cinema racconta nel dopoguerra, ma in modo marginale, il conflitto ed è già controllato dal regime fascista che non vuole presentare agli italiani l’orrore della guerra. A parlarne è stata Mariangela Palmieri conducendoci in un percorso nella trasformazione della narrazione della guerra fino all’interpretazione dell’antieroe di Gassman e alla critica dissacrante di Massimo Rosi.

Protagonisti della scena musicale sono, nella grande guerra, le Piedigrotte, le manifestazioni musicali napoletane che consacravano il successo delle canzoni grazie al consenso popolare, come ha illustrato  Tiziana Grande nel suo intervento. Piedigrotte cui la bibliotecaria ha dedicato una piccola,  ma interessante, mostra, attingendo ai fondi della Biblioteca con canzoni del tempo di guerra. Alla mostra è stata affiancata la proiezione di una inedita selezione di fotografie e musiche del campo di prigionia di Mauthausen degli anni 1915-1918, curata da Beniamino Cuomo.

Autore indiscusso del periodo E. A Mario, al secolo Giovanni Ermete Gaeta, prolifico compositore di musiche di successo, a cominciare da La canzone del Piave e La canzone di trincea, anche lui esonerato dal servizio militare ma pronto a saltare ad ogni occasione sul treno per il fronte per suonare il mandolino e cantare per i soldati. Fu il generale Diaz, ha raccontato Antonio Caroccia,  a scrivergli: «La vostra canzone del Piave qui al fronte è più di un generale».

Anche le bande musicali svolsero una funzione importante in tempi in cui non esistevano grandi motivi per festeggiare. È quanto ha raccontato Luigi Izzo spiegando che proprio quando il genere bandistico stava evolvendo con organici più completi, la guerra privò le bande di uomini e strumenti. Nonostante questo, le formazioni nei paesi venivano utilizzate per alzare il morale dei cittadini.

Tante e notevoli le relazioni del convegno, che hanno restituito un apparato piuttosto completo di visuali artistiche su un periodo bellico di cui, rispetto al secondo conflitto mondiale, non sappiamo molto, sia perché le fonti sono più scarse sia perché le testimonianze dirette sono ormai perse.

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About Eleonora Davide

IL DIRETTORE RESPONSABILE Giornalista pubblicista, è geologa (è stata assistente universitaria presso la cattedra di Urbanistica alla Federico II di Napoli), abilitata all’insegnamento delle scienze (insegna in istituti statali) e ha molteplici interessi sia in campo culturale (organizza, promuove e presenta eventi e manifestazioni e scrive libri di storia locale), che artistico (è corista in un coro polifonico, suona la chitarra e si è laureata in Discipline storiche della musica presso il Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino). Crede nelle diverse possibilità che offrono i mezzi di comunicazione di massa e che un buon lavoro dia sempre buoni risultati, soprattutto quando si lavora in gruppo. “Trovo entusiasmante il fatto di poter lavorare con persone motivate e capaci, che ora hanno la possibilità di dare colore e sapore alle notizie e di mettere il loro cuore in un’impresa corale come la gestione di un giornale online. Se questa finestra sarà ben utilizzata, il mondo ci apparirà più vicino e scopriremo che, oltre che dalle scelte che faremo ogni giorno, il risultato dipenderà proprio dall’interazione con quel mondo”.