Lo spettacolo del calcio, un po’ di storia
Tutto accade il 26 Ottobre 1863 quando in una taverna della capitale britannica si riuniscono dodici membri di alcune società sportive inglesi per dar vita alla Football Association (attuale Federcalcio Inglese) e codificare le regole che avrebbero avviato il gioco del calcio. Nella taverna si decide che il calcio si sarebbe dovuto giocare soltanto con i piedi e che anche i calci negli stinchi dovevano essere considerati falli. Da allora sono state pochissime le modifiche in questi 150 anni: le regole sono passate da 9 a 17, per il resto si gioca con lo stesso spirito e lo stesso entusiasmo.
In quegli anni affascinanti per lo sviluppo del calcio si ricorda l’Ungheria di Puskas, il Real Madrid di Di Sfefano e il Santos di Pelè, i quali troneggiano nel tempio dello spettacolo e dei successi. Dagli anni cinquanta con il fascino dei gol di Gunnar Nordhal, pompiere svedese, divenuto centravanti del Milan, si gusta il piacere del campo sportivo. Ci riferiamo ad una visione spettacolare e appassionata che regala gioco, dribbling e vero calcio. Il fascino cala con l’avvento dell’allenatore Helenio Herrera dell’Inter, il quale riesce ad ottenere buoni risultati per la propria squadra a danno del bel gioco: marcatura a uomo molto stretta; un altro peggioramento si riscontra con i catenacci delle difese di Nereo Rocco; tuttavia il gioco rimaneva sempre a livelli di grande spettacolo e di trainante trasporto.
La fioritura calcistica sorge in Italia con diversi campioni. Gianni Rivera, la mezz’ala del Milan e della nazionale, che incantava con i suoi traversoni in grado di vanificare cinque avversari; Mario Corso che ha inventato il calcio d’angolo “a foglia morta” il quale faceva impennare il pallone e poi all’improvviso lo lasciava cadere in rete; il “libero” Armando Picchi un gladiatore dell’Inter, il quale spazzava via qualsiasi pallone sfuggito alla difesa; Gigi Riva implacabile goleador del Cagliari e della nazionale. Si conoscevano egregi calciatori anche all’estero: Bobby Charlton del Manchester United, Franz Beckenbauer (Germania), Eusebio da Silva Ferreira del Benfica; un nome acclamato è Edson Arantes Do Nascimiento (nome ufficiale Pelè) ricordato come una punta di diamante nel firmamento calcistico; Pelè ha inventato il nuovo gol e lo spettacolo. Nella schiera dei fuoriclasse ricordiamo Omar Sivori, che ha fatto impazzire i tifosi della Juventus e successivamente Michel Platini imperante nelle file bianconere; George Best, fantasioso attaccante del Manchester United; Johann Cruyff, capo carismatico della squadra olandese che negli anni settanta mette a soqquadro i moduli di gioco adottati a quel tempo; Diego Maradona, con estro, poesia e tecnica sopraffina, apprezzato pure in Italia per aver elevato il Napoli allo scudetto per ben due anni. Nella schiera dei giganti calcistici si rammenta l’ala destra brasiliana Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha, un vero tormento per le difese; un eroe del calcio che riesce a dribblare tutti da centro campo e tornare indietro per ridribblare; forse il maggior giocoliere che ha calpestato i campi da gioco. Il ruolo che ha evidenziato i maggior talenti è stata la mezzala sinistra, il n.10, come ad esempio Maradona, Messi, Cruyff, Zidane, Platini, Sivori e il nostro Rivera.
Il calcio conferisce l’estasi per la sua movimentazione. All’incredibile generazione di campioni che è stata portatrice di un’idea di calcio offensivo e altamente spettacolare, insomma moderno, non si può non ricordare ancora la grande Ungheria (dal ’50 al ’55), l’oro alle Olimpiadi del ’52, la grande vittoria contro l’Inghilterra, la sconfitta inverosimile contro la Germania Ovest (forse falsata da droghe) nella finale mondiale del ’54 e la rivolta d’Ungheria. Puskas viene dato addirittura morto durante la rivolta del ’56, ma anche lui come molti compagni aveva preferito non tornare, aveva preferito la libertà ai carri armati russi. Quando nel ’58 lo chiama il Real Madrid di Kopa e Alfredo Di Stefano ha 31 anni e un fisico da pensione, ma l’orgoglio effettua il miracolo e Puskas riprende a giocare e segnare come prima, vincendo anche tre coppe dei Campioni con il Real Madrid[1].
Ai giorni nostri emergono Cristiano Ronaldo e Lionel Messi: Ronaldo non dribla poiché evita l’avversario che scansa con la sua finta per rientrare col destro; Messi ha giocato in una sola squadra e l’ha resa la migliore del mondo.
Questo sport che appassiona tanti cittadini è soggetto alla violenza di scalmanati tifosi, i quali creano problemi sulle gradinate e fuori dal campo sportivo; questi atteggiamenti non hanno nulla di sportivo ma richiamano bullismo e terrorismo. Nello scenario di decadimento citiamo la libera circolazione dei calciatori sul territorio europeo, in forza di una sentenza emanata nel 1995 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Una svolta che mescola le carte e ci regala squadre infarcite di stranieri in uno scellerato carosello di caduta del tasso di affetto verso i colori della maglia, elemento imprescindibile per attirare la passione dei cittadini. Peraltro vi è un danno sostanziale: la presenza di stranieri riduce il parco giocatori italiani e pregiudica la ricerca di talenti da collocare nella nostra nazionale.
La cosa peggiore diventa il cambio della cultura calcistica: da squadra spettacolo si passa a squadra ad armatura di guerra, in cui contano più le spinte e le aggressioni che il bel gioco. Il principio edonistico di ottenere il massimo risultato con il minore sforzo trasforma la partita in un match strano, a metà strada fra calcio e rugby, in cui il piacere di assistere all’incontro decade visibilmente. Questa tipologia accresce gli incidenti in campo, al punto che ogni squadra deve contare su due formazioni per poter sostituire continuamente quelli infortunati. La cultura degli anni sessanta risulta ancora affascinante non solo nella musica ma anche nel calcio. Il calcio migliore, infatti, è stato quello degli anni ’70, il perfetto connubio tra l’agonismo esageratamente inutile di oggi, e la mentalità concreta e vincente degli albori, combinati con la tecnica imperitura che non cambia mai.
Il calcio “antico” e quello “moderno” hanno subito qualche piccola modifica dal punto di vista regolamentare e grandi modifiche dal punto di vista dello stile calcistico. Si può dire che il calcio di oggi sia soltanto fisico, né appassionante e né affascinante da guardare, anzi probabilmente non è più nemmeno calcio, troppo inclinato alla violenza in campo. In effetti i cambiamenti sono visibili: il terreno di gioco, la forma del pallone, la chimica del suo tessuto. Quando giocava Pelè si era ancora al pallone di cuoio con dentro una camera d’aria; quando pioveva il peso raddoppiava, da quattro e mezzo saliva fino a sfiorare il chilo. Oggi la pelle è artificiale, leggera e impermeabile, più veloce, meno prevedibile nella traiettoria.
Si sente dire che il vecchio calcio era molto lento, i giocatori poco rapidi, ma i calciatori del passato non erano lenti perché incapaci di usare la loro rapidità, bensì perché non ne avevano bisogno: con due tocchi erano in grado di fare quello che oggi un calciatore medio non riesce a fare in novanta minuti.
Infine attualmente troviamo un calcio molto cambiato dal punto di vista economico. Le società di calcio si sono man mano configurate come società di servizio; dal 1996 la legge sancisce la finalità del lucro per le società calcistiche italiane) cambiando, di pari passo, il modo in cui le società guardano al loro pubblico: non più, e non solo, appassionato o tifoso, ma potenziale consumatore. È soprattutto la vendita dei diritti tv e la conseguente possibilità di vedere sullo schermo di casa propria le partite a far affiorare un pubblico nuovo, disposto a spendere; per le società diventa così prioritario non solo rispondere alle esigenze di questo nuovo pubblico, ma anche stimolarlo ed indirizzarlo. A questo fine si è reso anche necessario un ripensamento ed un ridisegno delle forme e delle strutture tradizionali degli stadi, diminuendo i posti.
Con la modifica del gioco, particolarmente imbruttito, con il cambiamento delle associazioni in società economiche, con l’elargizione di cifre milionarie ai calciatori non giustificate dal buon senso sociale, è caduta l’estetica dell’atleta: presunti campioni favoriti dalla sorte si presentano con vistosi e angoscianti tatuaggi da rinnegare l’essenza della bellezza e della magia del calcio.
[1] Volendo azzardare una formazione virtuale e immaginaria in tutto l’arco di tempo, privilegio questa ipotesi: Beara (ex Jugoslavia) o Yashin (Russia), F. Baresi (Italia), Cervato (Italia), Bozsik (Ungheria) o Beckenbauer (Germania), B. Moore (Inghilterra), Liedholm (Svezia), Garrincha (Brasile), Puskas (Ungheria), Meazza(Italia) o Di Stefano (Argentina), Pelé (Brasile), Finney (nordIrlanda).
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