Mare Nostrum, il ruolo dell’Italia
Il Mediterraneo è un mare che ha una storia, una storia gloriosa da non dimenticare. L’attuale posizione dell’Italia non appare certo rapportata alle gesta degli antichi romani. Il confronto oggi non è più bellico ma di natura economica.
Sul mediterraneo insistono 19 Stati e l’Italia può contare su una felice posizione geografica per tessere le fila dei rapporti commerciali e per vivere di una rendita di posizione. L’apporto italiano, per dinamica evoluzione economica nel secondo dopoguerra, potrebbe costituire una sorta di coordinamento del bacino mediterraneo.
Una simile disegno economico fa perno su una delicata strategia politica, in grado di creare le condizioni per accordi bilaterali e multilaterali, idonei a volgere un ruolo da leader nel mare nostrum.
Inoltre tale progetto, portato avanti in parallelo con l’Unione europea, avrebbe posto il nostro Paese come interlocutore privilegiato nei rapporti commerciali e sulla base del potere economico, certamente dirompente, avrebbe potuto proporsi come “conciliatore” nei recenti conflitti commerciali e bellici.
La strategia politica è ambiziosa e va oltre al desiderio di gestire politiche mediterranee: costituirebbe la base necessaria per risolvere in modo prodigioso i problemi di squilibri economici e quindi sociali all’interno della nostra Penisola.
La modesta distanza dei popoli mediterranei dal sud Italia avrebbe agevolato lo scambio anche per la comprensibile riduzione dei costi di trasporto. La scarsa consistenza delle imprese sudiste nel commercio estero viene determinato anche dal lungo tragitto verso l’Europa, soprattutto nel traffico stradale, con comprensibili sprechi di capitali e di risorse. In altre parole innescare quei meccanismi di vicinato, che hanno consentito alla Regione veneta negli ultimissimi anni il successo delle esportazioni verso il mercato della ex Jugoslavia. In questo caso la storia recente conferma che l’occasione poteva essere colta, con un piccolo sforzo in termini strategia politica.
Qualcosa si può ancora rimediare, anche se quote di mercato sono state già acquisite da altre Nazioni. Nel campo degli interventi nazionali e internazionali vanno poste le esigenze diversificate e delineate in uno scenario secondo una scaletta di valori, connessi a ritorni temporali e a canalizzazioni produttive.
Puntando sulle nuove funzioni della Simest, riformata per incentivare le correnti esportative e per agevolare investimenti all’estero, non occorrerebbero grossi sforzi creativi e nuove strutture organizzative.
L’Italia portatrice dello sviluppo del Mediterraneo e contemporaneamente artefice della costruzione di una Europa unita sono due orientamenti che possono essere complementari e sinergici, in una visione multirazziale e in chiave futuristica.
Come conseguenza di questo impegno, sarebbero scattate preziose opportunità di investimento che avrebbero favorito lo sviluppo endogeno degli altri Paesi e avrebbero evitato l’invasione di immigrati sempre più numerosi. In tale disegno un occhio particolare viene rivolto alla vicina Albania, nella cui terra sarebbe stato molto agevole un flusso di capitali italiani con i comprensibili fattori moltiplicatori. Le coste pugliesi potevano divenire rigogliosi porti di appoggio allo sviluppo e non ricettacoli di sbandati, come avviene in questi ultimi anni.
Ci si rende conto che operazioni del genere non sono eccessivamente facilitate, ma non è il caso di rinunciare. Certo qualche anno fa la strategia poteva incontrare meno ostacoli alla realizzazione. Una posizione egemonica nello scacchiere mediterraneo e l’affermazione di un proprio modello culturale commerciale pongono l’Italia in una condizione di forza nell’Unione europea anche nei confronti di concorrenti (Germania e Francia) che aspirano a posizioni di guida.
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